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Turchia: una folle ambizione si trasforma in guerra civile

Per realizzare il suo sogno di un Kurdistan fuori dalla Turchia, Recep Tayyip Erdoğan non ha altra scelta che la guerra civile. [Thierry Meyssan]

Turchia: una folle ambizione si trasforma in guerra civile
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3 Agosto 2015 - 09.24


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«Sotto
i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°139

di Thierry Meyssan.

La
ripresa della repressione contro i curdi in Turchia è solo la conseguenza dell”impossibilità
di realizzare il piano Juppé-Wright del 2011. Mentre è stato facile schierare
Daesh (l”ISIS) nel deserto siriano e nelle province di Ninive e al-Anbar
(Iraq), a maggioranza sunnita, si è rivelato impossibile prendere il controllo
delle popolazioni curde in Siria. Per realizzare il suo sogno di un Kurdistan
fuori dalla Turchia, Recep Tayyip Erdoğan non ha altra scelta che la guerra
civile.

DAMASCO (Siria) – Nel giungere al potere ad
Ankara nel 2003, il partito islamista AKP ha cambiato le priorità strategiche
della Turchia. Invece di basarsi sui rapporti di forza post-“Desert
Storm”, Erdoğan aspirava a far uscire il suo paese dall”isolamento in cui si
trovava sin dalla caduta dell”Impero Ottomano. Facendo leva sulle analisi del
suo consigliere, il professor Ahmet Davutoğlu, preconizzò di risolvere i
problemi in sospeso da un secolo con i suoi vicini e diventare via via
l”indispensabile mediatore regionale. Aveva bisogno di diventare sia un modello
politico sia di costruire relazioni con i propri partner arabi, senza perdere
la sua alleanza con Israele.

Iniziata con successo, questa politica — detta di “zero problemi” — non solo ha portato
Ankara a non temere più Damasco e il suo sostegno al PKK, ma perfino a chiederle
di aiutarla addinché si negoziasse un”uscita dalla crisi. Nell”ottobre 2006, il
partito curdo dichiarò una tregua unilaterale e avviò negoziati con il governo
Erdoğan. Nel maggio del
2008, Ankara organizzò negoziati indiretti tra Damasco e Tel Aviv, i primi dopo
il rifiuto da parte di Ehud Barak del piano di Bill Clinton e Hafez al-Assad.
Ma il presidente Bashar al-Assad vi mise fine quando Israele attaccò Gaza, nel
dicembre 2009.

Arrivando a comprendere che non era
possibile mantenere buone relazioni con tutti gli Stati della regione se si
teneva conto del conflitto palestinese, Ankara scelse di sostenere i
palestinesi di fronte a Israele. Questo furono gli episodi di Davos e della
Freedom Flotilla. Disponendo allora di un vasto sostegno popolare nel mondo
musulmano, Ankara si avvicinò a Teheran e accettò, nel novembre 2010, di
partecipare a un mercato comune Turchia-Iran-Iraq-Siria. I visti furono
abrogati; i diritti doganali significativamente ridotti; un consorzio fu
costituito per gestire oleodotti e gasdotti; un”autorità fu creata per gestire
le risorse idriche condivise. L”insieme era così attraente che Libano e
Giordania presentarono una propria candidatura. Una pace duratura sembrava
possibile nel Levante.

Mentre nel 2011 il Regno Unito e la Francia
si lanciarono in una doppia guerra contro la Libia e la Siria, su richiesta e
sotto il controllo degli Stati Uniti, la Turchia vi si oppose logicamente.
Queste guerre, intraprese con il pretesto di proteggere la popolazione, erano in
modo troppo evidente delle intraprese neo-coloniali. Inoltre, attentavano agli
interessi turchi, essendo la Libia uno dei suoi principali partner economici e la
Siria pronta a diventarlo attraverso il nuovo mercato comune regionale.

È allora che tutto si è capovolto …

Come la Francia ha
fatto fare una giravolta alla Turchia

Su iniziativa del ministro degli Esteri
francese, Alain Juppé, Parigi propose segretamente ad Ankara, nel marzo 2011, di
sostenere la sua candidatura all”Unione europea e di contribuire a risolvere il
suo problema curdo qualora la Turchia fosse entrata in guerra a suo fianco
contro la Libia e la Siria. Da parte francese questa proposta era radicalmente
nuova, poiché Alain Juppé si era fortemente opposto all”ingresso della Turchia
nell”Unione all”epoca in cui dirigeva il partito gollista ed era un collaboratore
di Jacques Chirac. Ma, condannato per corruzione in Francia, si era esiliato in
America nel 2005 e aveva insegnato in Québec intanto che seguiva uno stage al
Pentagono. Convertito al neoconservatorismo, era tornato in Francia ed era
stato scelto da Nicolas Sarkozy come ministro prima della Difesa e poi degli
Esteri.

Col senno di poi, il piano Juppé rivela le
intenzioni francesi: si parla di creare un Kurdistan in Iraq e in Siria,
secondo la mappa che sarà pubblicata due anni dopo da Robin Wright sul New York Times e messa in opera
congiuntamente dall”Emirato islamico, dal governo regionale del Kurdistan
iracheno e da ex collaboratori di Saddam Hussein legati ai Fratelli Musulmani.
Il documento, firmato sia da Alain Juppé e sia dal suo omologo turco Ahmet
Davutoğlu, non lascia alcun dubbio sul fatto che la Francia intendesse
ricostituirsi un suo impero coloniale in Siria. Inoltre, aveva collegamenti in seno
ai movimenti terroristici islamisti e prevedeva la creazione di Daesh. Per
garantire il piano Juppé, il Qatar si impegnava a investire pesantemente nella
parte orientale della Turchia, nella speranza che i curdi turchi abbandonassero
il PKK.

Questo piano è rimasto segreto fino ad ora.
Se i parlamentari francesi e turchi riuscissero ad ottenerne legalmente una
copia, la cosa sarebbe ampiamente sufficiente a far perseguire Juppé e Davutoğlu
davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l”umanità.

Contrariamente a una credenza diffusa, i
curdi sono profondamente divisi. In Turchia e in Siria, il PKK di origine marxista-leninista
ha sempre sostenuto un punto di vista antimperialista. Mentre i curdi
dell”Iraq, legati a Israele dai tempi della guerra fredda, sono sempre stati
alleati degli Stati Uniti. I due gruppi non parlano la stessa lingua e hanno
storie assai diverse.

È probabile che, a loro volta, gli Stati
Uniti portino in dote il fatto di promuovere il modello politico turco nel
mondo arabo e di aiutare l”AKP a inquadrare i partiti politici della
Fratellanza Musulmana, così che la Turchia diventi il centro del prossimo Medio
Oriente. In ogni caso, Erdoğan sostenne in
extremis
il progetto della NATO che ha risuscitato l”AfriCom dopo la
rivolta del suo comandante [1].

Immediatamente, Ankara mobilitò gli
abitanti di Misurata in Libia. Questi sono per lo più discendenti di soldati
ebrei dell”Impero Ottomano, gli Adghams, nonché dei nomadi mercanti di schiavi
neri, i Muntasirs, che avevano sostenuto i Giovani Turchi. Formavano l”unico
gruppo significativo di libici per attaccare Tripoli [2].

Simultaneamente, Ankara organizzò diversi
incontri dell”opposizione siriana a Istanbul sin da agosto 2011. In definitiva,
i Fratelli Musulmani costituirono il Consiglio nazionale siriano a ottobre, associandovi
rappresentanti dei vari gruppi politici e delle minoranze.

La NATO rinuncia a invadere
la Siria

Nel constatare il coinvolgimento della Nato
in Libia, Ankara scontava logicamente un identico coinvolgimento dell”Alleanza
Atlantica in Siria. Ma, nonostante numerosi attentati e un’accesissima campagna
stampa internazionale, non è stato possibile né sollevare la popolazione né attribuire
in modo credibile dei crimini di massa al presidente Assad. Soprattutto, Mosca
e Pechino, scottate dal caso libico, si opposero per tre volte al Consiglio di
Sicurezza a qualsiasi risoluzione che pretendesse di “proteggere” i
siriani dal loro governo (ottobre 2011, febbraio e luglio 2012).

Washington e Londra abbandonarono dunque la
partita, anche se Ankara e Parigi hanno continuato a crederci [3]. Entrambi gli
Stati misero in piedi una stretta collaborazione, giungendo perfino nel
settembre 2012 a pianificare un tentativo di assassinio del ministro degli
esteri siriano Walid al-Moallem e del presidente Bashar al-Assad.

L”attentato che colpì a Riad il principe
Bandar bin Sultan come rappresaglia per l”uccisione di membri del Consiglio nazionale
di sicurezza siriano nel luglio 2012, lasciò il movimento jihadista
internazionale orfano. Sebbene il principe sia sopravvissuto alle sue ferite, uscì
solo un anno dopo dall”ospedale e non fu mai più in grado di giocare il ruolo
che aveva mantenuto fino ad allora. Recep Tayyip Erdoğan ha colto l”opportunità
di sostituirlo. Ha allacciato un rapporto personale con Yasinal-Qadi, il
banchiere di Al-Qa”ida, che ha ricevuto più volte in segreto ad Ankara. Ha sovrinteso
a numerosi gruppi jihadisti, inizialmente creati da statunitensi, britannici e
francesi.

Nel gennaio 2013, intervenendo in Mali, la
Francia si allontanò dagli jihadisti siriani e quindi abbandonò il campo delle
operazioni militari in Turchia, sebbene abbia mantenuto alcuni legionari in
loco. Poco dopo, l”emiro del Qatar, lo sceicco Ahmad, fu costretto ad abdicare
da Washington, che lo ha accusato – su denuncia russa – di utilizzare le sue
strutture contro gli interessi economici statunitensi. Anche prima che il
figlio, lo sceicco Tamim, gli succedesse, la maggior parte dei finanziamenti
per la guerra contro la Siria è stata ripresa dall’Arabia saudita.

Per beneficiare di questo sostegno e di quello
di Israele, Erdoğan ha cominciato a promettere agli uni e agli altri che gli
Stati Uniti sarebbero passati oltre i veti di Russia e Cina e avrebbero
lanciato la NATO all’assalto di Damasco. Approfittando della confusione, ha
organizzato il saccheggio della Siria, smantellando tutti gli impianti di Aleppo,
la capitale economica, e depredando le macchine utensili. Allo stesso modo, ha organizzato
il furto di tesori archeologici e ha messo in piazza un mercato internazionale ad
Antiochia [4]. Non vedendo ancora arrivare nessuno, organizzò con l”aiuto del
generale Benoît Puga, Capo di Stato Maggiore dell’Eliseo, un”operazione sotto
falsa bandiera per provocare l’entrata in guerra dell”Alleanza atlantica: l’attentato
chimico della Ghoutta di Damasco, nell’agosto del 2013. Ma Londra scoprì subito
l”imbroglio e si rifiutò di impegnarsi [5].

La Turchia partecipò all’operazione di
pulizia etnica e di spartizione dell’Iraq e della Siria, nota con il nome di “Piano
Wright”. La presenza dei servizi segreti turchi nelle riunioni preparatorie di
Daesh ad Amman è testimoniata dalla pubblicazione di un verbale delle decisioni
da parte del PKK. Inoltre, il “Piano Wright” riprende il “piano Juppé” che
aveva convinto la Turchia ad entrare in guerra. Successivamente, Erdoğan ha
preso di persona il comando dell”organizzazione terroristica, garantendole sia
la fornitura di armi che la vendita del suo petrolio.

Mentre osservava con ansia i colloqui tra
Washington e Teheran, Ankara era preoccupata per un accordo di pace che la lasciava
sul ciglio della strada. Sollecitato dal suo omologo russo, Vladimir Putin,
Erdoğan accettò di
partecipare al progetto di gasdotto
Turkish
Stream
mirante
a rompere il monopolio statunitense e aggirare l”embargo europeo. Poi,
prendendo il proprio coraggio a quattro mani, andò a visitare il suo omologo
iraniano, lo sceicco Hassan Rohani. Quest”ultimo lo rassicurò sul fatto che non
aveva di che temere dall”accordo in corso di negoziazione. Ma quando questo è
stato firmato, il 14 luglio 2015, era evidente che non lasciava alcun posto per
la Turchia nella regione.

Non sorprende che il 24 luglio Erdoğan abbia
ricevuto un ultimatum da parte del Presidente Obama che esigeva da lui:

– di rinunciare immediatamente al gasdotto
russo;

– di cessare il suo sostegno a Daesh — di cui è diventato il capo
esecutivo dietro lo schermo del califfo Abu Bakr al-Baghdadi
— e di entrare in guerra
contro di lui.

Per aumentare la pressione, Barack Obama ha
evocato la possibilità di sospendere la Turchia dalla NATO, di concerto con il
Regno Unito, benché una tale situazione non sia prevista dal Trattato.

Dopo essersi profuso in scuse e aver
autorizzato gli Stati Uniti e la NATO a utilizzare la base di Incirlik contro
Daesh, Erdoğan è entrato in contatto con l”inviato speciale per la coalizione anti-Daesh,
il generale John Allen, noto per la sua opposizione all’accordo con l”Iran. I
due uomini hanno deciso di interpretare i propositi del presidente Obama come
un incoraggiamento alla lotta contro il terrorismo, la rubrica in cui hanno incasellato
il PKK. Oltrepassando le sue funzioni, il generale si è impegnato a creare una zona
non sorvolabile ampia 90 km all’interno del territorio siriano lungo tutto il
confine con la Turchia, per un presunto favore ai rifugiati siriani minacciati
dal loro governo, in realtà, per applicare il “piano Juppé-Wright”. Il primo
ministro turco Ahmet Davutoğlu ha rivelato il sostegno statunitense al progetto
sui canali della catena
A
Haber
lanciando
dei bombardamenti contro il PKK.

Il generale John Allen era già riuscito altre
due volte a prolungare la guerra contro la Siria. Nel giugno 2012, cospirò con
il generale David Petraeus e la Segretaria di Stato Hillary Clinton per
sabotare l”accordo raggiunto a Ginevra tra Washington e Mosca per la pace in
Medio Oriente. Tale accordo prevedeva, tra le altre cose, la pace in Siria
— benché Damasco non fosse
stata invitata a questa conferenza
—
ma era inaccettabile sia per i neocon
sia per i “falchi liberal” statunitensi.
Il trio Clinton-Petraeus-Allen si appoggiò sul nuovo presidente francese,
François Hollande, e sul suo nuovo ministro degli Esteri, Laurent Fabius, per
convocare una conferenza degli “Amici della Siria” e rigettare il Comunicato di
Ginevra. In piena campagna elettorale, il presidente Obama non poteva sanzionare
i suoi collaboratori, ma il giorno dopo la sua rielezione, fece arrestare David
Petraeus e John Allen che aveva fatto cadere in una trappola sessuale. Hillary
Clinton si mantenne un paio di settimane e improvvisamente dovette ritirarsi a
seguito di un “incidente”. In definitiva, solo Petraeus fu condannato,
mentre Allen fu ripulito e la Clinton – come Jupeé – si prepara per la sua
prossima campagna elettorale presidenziale.

Il trio Clinton-Petraeus-Allen tentò una
seconda operazione nel dicembre 2014, che riuscì a sabotare la Conferenza di
Mosca. Nel promettere ai Fratelli Musulmani di attuare il “piano Juppé-Wright”,
convinsero la Coalizione nazionale siriana a rifiutare qualsiasi discussione di
pace. Per inciso, questo episodio conferma che l”obiettivo della Coalizione
nazionale siriana non è tanto di cambiare il regime in Siria, bensì di
distruggere questo paese e il suo Stato.

Nell’apprendere i fatti durante il suo
viaggio in Africa, il presidente Obama ha fatto ufficialmente negare l”impegno
del generale Allen, ha riconosciuto il diritto della Turchia a combattere
contro il PKK, ma ha denunciato qualsiasi azione contro di esso che si svolga fuori
dalla Turchia. Il presidente
Erdoğan
ha allora
convocato una riunione del Consiglio Atlantico per
informarlo del suo ingresso nella coalizione anti-terrorismo e della sua doppia
azione contro Daesh e il PKK. Il 29 luglio, gli Alleati gli hanno risposto
freddamente che lo avrebbero sostenuto nella sua azione, ma non gli avrebbero
riconosciuto il diritto di bombardare il PKK in Iraq e in Siria, se non in caso
di “azione di inseguimento”: ossia se il PKK utilizzasse basi
all”estero per lanciare o ritirare truppe contro Turchia.

Inoltre, il presidente Obama ha sollevato
dal suo incarico il suo inviato speciale per la Siria, Daniel Rubinstein, e l’ha
sostituito con Michael Ratney, uno specialista sia in materia di Medio Oriente sia
di comunicazione. Sarà in primo luogo responsabile per il monitoraggio delle
azioni del generale Allen.

La Turchia entra in
guerra civile

Ad oggi, le azioni dell”esercito turco
contro il PKK in Iraq e in Siria non hanno alcuna giustificazione giuridica nel
diritto internazionale. Entrambi i governi hanno denunciato un attacco al loro
territorio. Dal punto di vista statunitense, il PKK e l’Esercito arabo siriano –
cioè quello della Repubblica – sono le sole forze di terra efficaci contro
Daesh. La ripresa della guerra contro la minoranza curda esprime la volontà dell”AKP
di proseguire la messa in opera del “piano Juppé-Wright”, anche dopo il ritiro
parziale del Qatar e della Francia.

Tuttavia, un elemento fondamentale ha
cambiato profondamente la situazione: Israele e l”Arabia Saudita, che sostenevano
fino a poco tempo fa l”idea di creare un Kurdistan e un Sunnistan in Iraq e in
Siria, sono ormai contrari. Tel Aviv e Riad ora sanno che questi due nuovi Stati,
se dovessero un giorno sorgere, non sarebbero controllati da loro, ma da una
Turchia che non nasconde più le sue ambizioni imperiali e che diventerebbe de facto un gigante regionale.

Con uno di quei capovolgimenti di cui il
Medio Oriente possiede il segreto, Israele e Arabia Saudita hanno perciò concluso
un accordo per opporsi alla follia del presidente
Erdoğan e per sostenere
segretamente il PKK, nonostante la sua identità marxista. Inoltre, Israele si è
già riavvicinata ai nemici tradizionali della Turchia, la Grecia di AléxisTsípras
e Cipro di Níkos Anastasiádis.

Non c’è da sbagliare, Erdoğan ha scelto la
guerra civile come unica questione politica personale. Dopo aver perso le
elezioni parlamentari ed essere riuscito a bloccare la creazione di un nuovo
governo, cerca di spaventare il suo popolo nonché a convincere il MHP
(nazionalista) a sostenere l”AKP (islamista) per formare un governo di
coalizione o per indire nuove elezioni e vincerle.

L”operazione antiterrorismo destinata a
combattere sia Daesh sia la popolazione curda è quasi esclusivamente mirata contro
il PKK e il PYG (il suo alter ego
siriano). I bombardamenti che si pretende siano contro l”Emirato Islamico non hanno
distrutto nulla. Allo stesso tempo,
Erdoğan
ha
avviato indagini giudiziarie contro i leader curdi dell’HPD, Selahattin Demirtaş
e Figen Yüksekdağ. L”accusa li incolpa, per prima cosa, di aver fatto appello a
commettere atti di violenza contro i non-curdi
— il che è pura assurdità — e, per seconda cosa, di
sostenere il PYG, milizia della Repubblica Araba di Siria e dunque, secondo il
magistrato, un’organizzazione terroristica.

La guerra civile che comincia non è la
stessa degli anni ’90: sarà molto più vasta e funesta. Sia perché la Turchia
non ha più alleati esterni, sia perché la politica islamista ha diviso la
società turca. Non ci sarà dunque una situazione in cui da una parte avremo le
istituzioni turche sostenute dalla NATO e, dall”altra, il PKK appoggiato dalla
Siria, bensì una frammentazione della società turca: laici contro islamisti; moderni
contro tradizionalisti; aleviti contro sunniti; curdi contro turchi.

NOTE

[1] Inizialmente denominata “Alba
dell”Odissea”, l”operazione contro la Libia era comandata dal generale Carter
Ham nella sua veste di capo di AfriCom. Tuttavia, si è ribellato contro il
ruolo attribuito sul terreno ad Al-Qa”ida per rovesciare la
Jamahiriya
araba libica
mentre la
coalizione pretendeva unicamente di proteggere i civili. Fu sollevato dal suo
incarico per conto della NATO e l”operazione fu allora denominata “Unified
Protector”.

[2] Gli abitanti di Bengasi rifiutarono
di attaccare Tripoli una volta ottenuta la loro indipendenza de facto. Quelli di Misurata furono
inquadrati dai combattenti di al-Qa”ida.

[3] Per essere più precisi, Parigi si
ritirò dalla guerra nel marzo 2012 dopo la caduta dell”Emirato Islamico di Baba
Amr e la restituzione dei legionari francesi che erano stati catturati. Ma il
presidente Sarkozy non riuscì a farsi rieleggere a maggio e il suo successore,
François
Hollande, riprese la
guerra a luglio.

[4] Città conosciuta anche con i nomi
di Antakya o di Hatay.

[5] Il primo ministro mise in scena con
il leader dell”opposizione un dibattito alla Camera dei Comuni in cui i due
leader si diedero la replica leggendo da uno stesso testo. Il Regno Unito poté
così ritirarsi dalla guerra, senza dover accusare pubblicamente la Turchia. Gli
Stati Uniti hanno seguito l”esempio.

Questa “cronaca settimanale di
politica estera” appare simultaneamente in versione araba sul quotidiano“Al-Watan”(Siria),
in versione tedesca sulla “Neue Reinische Zeitung”, in lingua
russa sulla “Komsomolskaja Pravda”, in inglese su“Information
Clearing House”
, in francese e in altre lingue sul“Réseau
Voltaire”
.

Thierry Meyssan, 2 agosto 2015.

Traduzione a cura di Matzu Yagi.

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