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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°250
di Thierry Meyssan.
La classe dirigente statunitense si sente minacciata dai cambiamenti internazionali sospinti dal Presidente Trump. Si è appena coalizzata per sottoporlo all’autorità del Congresso. In una legge approvata quasi all’unanimità, ha introdotto sanzioni contro la Corea del Nord, l’Iran e la Russia e ha fracassato gli investimenti dell’Unione europea e della Cina. Per essa si tratta di fermare la politica di cooperazione e di sviluppo del presidente e tornare alla dottrina Wolfowitz di contrasto e di signoria sovraordinata.
BEIRUT (Libano) – È uno scandalo senza precedenti. Il segretario generale della Casa Bianca, Reince Priebus, faceva parte della congiura intesa a destabilizzare il presidente Trump e preparare la sua rimozione. Ha alimentato le fughe di notizie quotidiane che perturbano la vita politica statunitense, tra cui la presunta collusione tra la squadra di Trump e il Cremlino [1].
Nel farlo dimettere, il presidente Trump è entrato in conflitto con l’establishment del Partito Repubblicano, di cui Priebus è l’ex presidente.
Osserviamo di passaggio che nessuna di queste soffiate in merito alle agende e ai contatti degli uni e degli altri ha apportato la benché minima prova delle accuse.
La riorganizzazione della squadra di Trump che ne è seguita è avvenuta esclusivamente a spese di personalità repubblicane e a vantaggio di militari opposti alla tutela dello Stato profondo. L’alleanza che era stata conclusa facendo buon viso a cattivo gioco dal partito repubblicano con Donald Trump in occasione della convention di investitura, il 21 luglio 2016, è morta. Così ci si ritrova con l’equazione di partenza: da una parte il presidente outsider dell’«America profonda», dall’altro, l’intera classe dirigente di Washington sostenuta dallo Stato profondo (cioè dalla parte dell’amministrazione incaricata della continuità dello Stato al di là delle alternanze politiche).
Ovviamente questa coalizione è sostenuta dal Regno Unito e da Israele.
Quel che doveva arrivare alla fine è arrivato: i leader democratici e repubblicani si sono intesi nel contrastare la politica estera del presidente Trump e preservare i loro vantaggi imperiali.
Per fare questo, hanno approvato al Congresso una legge di 70 pagine che introduce formalmente sanzioni contro la Corea del Nord, contro l’Iran e contro la Russia [2].
Questo testo impone unilateralmente a tutti gli altri Stati del mondo di rispettare questi divieti commerciali. Queste sanzioni quindi valgono tanto per l’Unione europea e la Cina quanto per gli Stati ufficialmente presi di mira.
Solo cinque parlamentari si sono dissociati dalla coalizione e hanno votato contro questa legge: i deputati Justin Amash, Tom Massie e Jimmy Duncan e i senatori Rand Paul e Bernie Sanders.
Le disposizioni di questa legge proibiscono grosso modo all’esecutivo di ammorbidire queste interdizioni commerciali sotto qualsiasi forma. Donald Trump è teoricamente legato mani e piedi. Certo, potrebbe opporre il suo veto, ma secondo la Costituzione, al Congresso basterebbe votare di nuovo il testo negli stessi termini per poterlo imporre al Presidente. Costui quindi lo promulgherà senza imporsi l’affronto di doversi mettere al passo del Congresso. Nei prossimi giorni inizierà una guerra senza precedenti.
I partiti politici USA intendono cancellare la “dottrina Trump”, secondo cui gli Stati Uniti devono svilupparsi più velocemente degli altri per mantenere la leadership mondiale. Intendono invece ripristinare la “Dottrina Wolfowitz” del 1992, secondo la quale Washington deve conservare il proprio vantaggio sul resto del mondo rallentando lo sviluppo di qualsiasi potenziale concorrente [3].
Paul Wolfowitz è un trotskista messosi al servizio del presidente repubblicano Bush per lottare contro la Russia. Divenne dapprima Vice Segretario della Difesa, dieci anni più tardi, sotto il figlio di Bush, poi presidente della Banca Mondiale. L’anno scorso ha dato il suo sostegno alla democratica Hillary Clinton. Nel 1992 scrisse che il concorrente più pericoloso degli Stati Uniti era l’Unione Europea e che Washington doveva distruggerla politicamente, cioè economicamente.
La legge rimette in questione tutto ciò che Donald Trump ha fatto nel corso degli ultimi sei mesi, compresa la lotta contro i Fratelli musulmani e le loro organizzazioni jihadiste, la preparazione dell’indipendenza del Donbass (Malorossiya), e il ripristino della Via della seta.
Come prima ritorsione, la Russia ha chiesto a Washington di ridurre il personale della sua ambasciata a Mosca al livello della propria ambasciata a Washington, ossia 455 persone, espellendo 755 diplomatici. Secondo le nostre informazioni, ci sarebbe una pletora di diplomatici statunitensi in Russia, tra 1.100 e 1.500. In questo modo, Mosca intende ricordare che se anche avesse interferito nella politica americana, questo non avrebbe misure paragonabili con l’importanza dell’ingerenza degli Stati Uniti nella propria vita politica.
A questo proposito, è stato appena il 27 febbraio scorso che il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, annunciava alla Duma che le forze armate russe sono ora in grado anch’esse di organizzare “rivoluzioni colorate”, con 28 anni di ritardo sugli Stati Uniti.
Gli europei si rendono conto con stupore che i loro amici di Washington (i democratici Obama e Clinton, i repubblicani McCain e McConnell) hanno appena stoppato ogni speranza di crescita nell’Unione. Lo shock è certamente pesante, ma ancora non hanno ammesso che il presunto “imprevedibile” Donald Trump è in realtà il loro migliore alleato. Completamente storditi da questo voto, sopraggiunto durante le loro vacanze estive, gli europei si sono messi in stand-by.
Salvo reazione immediata, le aziende che hanno investito nella soluzione adottata dalla Commissione europea per l’approvvigionamento energetico dell’UE sono rovinate. Wintershall, E.ON Ruhrgas, N. V. Nederlandse Gasunie, e Engie (ex GDF Suez) si sono impegnate a raddoppiare il gasdotto North Stream, ora vietato dal Congresso. Perdono non solo il diritto di competere in gare d’appalto USA, ma perfino tutti i loro beni negli Stati Uniti. È loro negato l’accesso alle banche internazionali e non possono continuare le loro attività al di fuori dell’Unione.
Per il momento, solo il governo tedesco ha espresso il suo sgomento. Non si sa se riuscirà a convincere i suoi partner europei e a organizzare l’Unione contro la signoria USA che la sovrasta. Mai una tale crisi si è verificata, e quindi non v’è alcun elemento di riferimento precedente che consenta di anticipare il seguito degli avvenimenti. È probabile che alcuni Stati membri dell’Unione difenderanno gli interessi degli Stati Uniti, così come sono concepiti dal Congresso, contro i loro partner europei.
Gli Stati Uniti, come ogni Stato, possono vietare alle loro aziende di commerciare con l’estero e alle società straniere di commerciare con loro. Ma, secondo la Carta delle Nazioni Unite, non possono imporre le proprie scelte in materia ai loro alleati e partner. Eppure questo è ciò che hanno fatto a partire dalle loro sanzioni contro Cuba. A quel tempo, sotto la guida di Fidel Castro -che non era un comunista – il Governo rivoluzionario cubano aveva lanciato una riforma agraria alla quale Washington intendeva opporsi [4].
I membri della NATO, che nulla avevano a che fare con questa piccola isola dei Caraibi, ne seguirono l’esempio. A poco a poco, l’Occidente, sempre più pieno di sé, ha considerato cosa normale affamare gli Stati che osavano resistere al suo potente signore. Ecco quindi che – per la prima volta – l’Unione europea è direttamente toccata da quel sistema che essa stessa ha contribuito a mettere in campo.
Più che mai, il conflitto Trump/Establishment prende una forma culturale. Esso oppone i discendenti di immigrati alla ricerca del “sogno americano” a quelli dei puritani del Mayflower [5].
Da qui, per esempio, la denuncia da parte della stampa internazionale del linguaggio volgare del nuovo responsabile della comunicazione della Casa Bianca, Anthony Scaramucci. Fin qui Hollywood si era perfettamente accomodata alle maniere degli uomini d’affari di New York, ma improvvisamente questo linguaggio da carrettieri è presentato come incompatibile con l’esercizio del Potere. Solo il presidente Richard Nixon si esprimeva così. Fu costretto a dimettersi da parte dell’FBI che ha organizzato lo scandalo del Watergate contro di lui. Eppure, tutti sono d’accordo nel riconoscere che è stato un grande presidente, ponendo fine alla guerra del Vietnam e riequilibrando le relazioni internazionali con la Cina Popolare contro l’Unione Sovietica. È sorprendente vedere la stampa della vecchia Europa riprendere l’argomento puritano, religioso, contro il vocabolario di Scaramucci per giudicare la competenza politica della squadra di Trump, e il presidente Trump stesso licenziarlo appena nominato.
Dietro quella che può sembrare solo una lotta fra clan, si gioca il futuro del mondo. O rapporti conflittuali e di dominio, o di cooperazione e sviluppo.
NOTE
[1] “State Secrets: How an Avalanche of Media Leaks is Harming National Security”, Senate Homeland Security and Governmental Affairs Committee, July 6, 2017.
[3] «US Strategy Plan Calls For Insuring No Rivals Develop», Patrick E. Tyler, New York Times, March 8, 1992. Il quotidiano pubblica ugualmente larghi estratti del rapport segreto di Wolfowitz a page 14: «Excerpts from Pentagon’s Plan: “Prevent the Re-Emergence of a New Rival”». Informazioni supplementary sono apportate in «Keeping the US First, Pentagon Would preclude a Rival Superpower» Barton Gellman, The Washington Post, March 11, 1992.
[4] «El robo más largo de la historia cometido por un país contra otro », por Jorge Wejebe Cobo, Agencia Cubana de Noticias , Red Voltaire , 19 de julio de 2017.
[5] «Gli Stati Uniti si riformeranno o si lacereranno?», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, Megachip, 25 ottobre 2016.
Traduzione a cura di Matzu Yagi.