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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°256
di Thierry Meyssan.
Presentato in Occidente come avveramento di una simpatica utopia, in realtà il nuovissimo “Rojava” è uno Stato coloniale, voluto e realizzato nel sangue da Washington. Obiettivo: cacciare le popolazioni del Nord della Siria per sostituirle con persone non autoctone. Per mettere in atto questa pulizia etnica, Pentagono e CIA hanno mobilitato militanti dell’estrema sinistra europea. Thierry Meyssan svela questo progetto insensato, in corso da un anno e mezzo.
Nell’illustrazione in apertura: – a febbraio 2016, lo ”Zar anti-terrorismo” della Casa Bianca, Brett McGurk, è stato inviato dal presidente Obama a sovrintendere alla battaglia di Aïn al-Arab (Kobanê). In quell’occasione fu decorato dallo YPG, la cui casa-madre – il PKK turco – è tuttavia considerata da Washington “terrorista”.
«La guerra è pace. La libertà è schiavitù. L’ignoranza è forza».
George Orwell, 1984.
DAMASCO (Siria) – Negli anni Ottanta e Novanta la società curda era un’organizzazione marcatamente feudale e patriarcale, mantenuta in uno stato di forte sottosviluppo. Ciò spinse i curdi a ribellarsi alle dittature militari che si succedevano ad Ankara [1].
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) era un’organizzazione marxista-leninista, sostenuta dall’Unione Sovietica, che lottava contro le dittature di generali kemalisti, membri della NATO. Il PKK liberò le donne e si unì alle lotte progressiste. Con l’aiuto di Hafez el-Assad, e sotto la protezione della Forza di Pace siriana, installò un campo di addestramento militare nella pianura libanese di Bekaa, adiacente quello dell’FPLP palestinese.
All’epoca il PKK non trovava mai aggettivi sufficientemente aspri per qualificare “l’imperialismo americano”.
Al momento del crollo dell’URSS, il PKK disponeva di oltre 10.000 soldati a tempo pieno e di oltre 75.000 riservisti. Questa guerra di liberazione causò la distruzione di più di 3.000 villaggi e [provocò] oltre 2 milioni di profughi. Nonostante un sacrificio tanto immenso la sollevazione fu un fallimento.
Arrestato nel 1999 in Kenia, durante un’operazione congiunta dei servizi segreti turchi, statunitensi e israeliani, il leader storico della rivolta, Abdullah Öcalan, venne rinchiuso nella prigione dell’isola di Imrali, nel Mar di Marmara [2].
Il PKK andò in frantumi, diviso tra seguaci del capo in prigione, favorevole a un negoziato di pace, e dei suoi luogotenenti, che della guerra avevano fatto ragione di vita. Ci furono ancora alcuni attentati di cui non si sa quali furono opera dei membri del PKK, che rifiutavano di deporre le armi, quali di una frazione della gendarmeria turca, il JITEM, parimenti contraria al cessate-il-fuoco.
All’inizio della “primavera araba, Öcalan ricostituì dalla sua cella il PKK, fondandolo su una nuova ideologia. Dopo negoziazioni segrete con la NATO nella prigione d’Imrali, Öcalan abbandonò il marxismo-leninismo per abbracciare il “municipalismo libertario”. L’uomo che aveva da sempre lottato contro la Turchia per uno Stato indipendente, il Kurdistan, giudicava ora lo Stato in quanto tale strumento di oppressione [3].
I militanti del PKK costretti a fuggire durante la guerra civile trovarono rifugio nel nord della Siria [4].
Öcalan s’impegnò per iscritto, a nome dei suoi, a non rivendicare territori siriani. Nel 2011, agli inizi della guerra degli Occidentali contro la Siria, i curdi, per difendere il Paese che li aveva accolti e naturalizzati, organizzarono delle milizie.
Ciononostante, il 31 ottobre 2014 uno dei due copresidenti dello YPG, ramo siriano del PKK, Salih Muslim, incontrò segretamente all’Eliseo il presidente francese François Hollande e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan. Gli fu promesso che sarebbe diventato capo di Stato se avesse accettato di impegnarsi a ricostituire il Kurdistan… in Siria.
Immediatamente ebbe inizio il sostegno allo YPG della Coalizione internazionale, appena creata dagli Stati Uniti con il pretesto di combattere Daesh, in denaro, formazione, armi e inquadramento militare. Vennero messi in soffitta gli improperi contro Washington, diventato ora un alleato così utile. L’organizzazione curda cominciò quindi a espellere gli abitanti dalle regioni che aveva adocchiato.
- Pubblicità statunitense
Poiché fino a quel momento non c’era stata alcuna battaglia dello YPG contro Daesh, gli Stati Uniti misero in scena un terribile scontro a Aïn al-Arab, per l’occasione ribattezzata Kobanê, in kurmanji. La stampa internazionale venne invitata all’avvenimento senza però metterla in pericolo. Aïn al-Arab si trova sul confine tra Siria e Turchia, così i giornalisti poterono seguire la battaglia con il binocolo, dalla Turchia. Non si sa cosa sia davvero accaduto ad Aïn al-Arab poiché la stampa non fu mai autorizzata a mettervi piede. Esistono tuttavia immagini filmate con il teleobiettivo che sembrano confermare la ferocia dei combattimenti. Comunque sia, l’Occidente unanime ne trasse la conclusione che i curdi erano gli alleati di cui avevano bisogno per combattere Daesh e Siria.
- «Né Dio, né Stato!», unitevi a noi per difendere lo Stato di “Rojava” e lottare «contro tutte le forze della reazione», a fianco dell’Impero americano.
La stampa occidentale garantisce che, come previsto dallo statuto del PKK/YPG, metà dei soldati curdi sono donne. In realtà la presenza femminile sul campo è rarissima. I giornalisti sostengono anche che le donne suscitino terrore negli jihadisti, perché morire ucciso da una donna è una maledizione che impedisce l’accesso al paradiso. Curiosamente, la medesima stampa non dice che anche l’Esercito Arabo Siriano ha battaglioni femminili, attaccati dagli jihadisti con la medesima ferocia usata contro quelli maschili.
Nonostante le apparenze, il YPG non è così numeroso come ha la pretesa di essere. Molti curdi siriani considerano gli Stati Uniti una potenza nemica e la Siria la nuova patria. Si rifiutano di seguire le fantasie di Salih Muslim. Per questo motivo il Pentagono è stato costretto ad associare ai “suoi” curdi, non solamente mercenari arabi e assiri, anche militanti dell’estrema sinistra europea.
Come ha irreggimentato decine di migliaia di giovani mussulmani occidentali per farne degli islamisti, così la CIA ha iniziato a reclutare anarchici europei per formare Brigate Internazionali, sul modello di quelle che nel 1936 si batterono a Barcellona contro i fascisti. Il Battaglione Antifascista Internazionalista (Europa centrale), la Brigata Bob Crow (Inghilterra e Irlanda), la Brigata Henri Krasucki (Francia), le Forze Internazionali e Rivoluzionarie di Guerriglia del Popolo (Americhe), l’Unione Rivoluzionaria per la Solidarietà Internazionale (Grecia), l’Unità del Partito marxista-leninista (Spagna), tutti i gruppuscoli turchi pro-USA (DK, DKP, MLSPB-DC, PDKÖ, SI, TDP, TKEP/L, TKPML), per citare i più in vista, sono truppe supplementari dello YPG/NATO [5].
- Venite a lottare contro il Capitale nel «Rojava», con le Forze Speciali USA!
La battaglia di Aïn al-Arab, in cui si sostiene che giovani siriani, favorevoli al Califfato, si siano opposti a giovani curdi, è costata soprattutto la vita, da una parte e dall’altra, a giovani europei in cerca di un mondo migliore. I Paesi europei si preoccupano del possibile rientro dei giovani jihadisti, ma non s’inquietano per il ritorno dei giovani anarchici, sebbene altrettanto pericolosi. Probabilmente questi ultimi sono più facilmente manipolabili e potrebbero venire riciclati in nuove avventure imperialiste.
A giugno 2015 il Partito Democratico dei Popoli (HDP), nuova emanazione politica del PKK, ricevette dalla CIA un generoso sostegno finanziario e l’inquadramento per un’efficace opposizione all’AKP di Recep Tayyp Erdoğan. E l’HDP subito sforò il tetto del 10% di voti necessario per entrare alla Grande Assemblea Nazionale, ottenendo 80 deputati.
Il 17 marzo 2016 il YPG proclamò l’autonomia del “Rojava”, ossia del corridoio che, lungo la frontiera turco-siriana, collega il Kurdistan iracheno al Mediterraneo, però unicamente dal lato siriano. Il “Rojava” includerebbe perciò parte della regione d’Idleb, attualmente sotto il controllo di Al-Qa’ida. Questo Stato, proclamato da gente che non vi è nata a danno degli autoctoni, altro non è che un progetto coloniale, assimilabile allo Stato d’Israele, autoproclamato in Palestina da ebrei che vi avevano comperato delle terre. La denominazione “Rojava” è stata scelta per distinguere questo territorio dal “Kurdistan” turco, istituito nel 1920 dalla Conferenza di Sèvres [6].
Ora che l’emirato di Al-Qa’ida a Idleb e il califfato di Daesh a Raqqa sono in via di disparizione, la NATO prosegue comunque nel proprio piano di smembramento della Repubblica Araba Siriana e mira a creare il “Rojava” nel Qamishli.
La stampa occidentale osserva estasiata il “Rojava”, entità dotata di ogni possibile virtù: pacifista, egalitaria, femminista, ecologista, favorevole alla costruzione di genere, ecc. [7].
Poco importa che lo YPG sia un esercito. Poco importa che lo YPG combatta gli abitanti storici del nord della Siria, che sono arabi e assiri, poiché con loro ha formato, sulla carta, le Forze Democratiche di Siria.
In Siria, le Brigate anarchiche europee combattono sotto il comando degli Stati Uniti.
I programmi dello YPG siriano e dello HDP turco sono consoni alla strategia militare americana. Dal 2001 l’obiettivo a media scadenza del Pentagono è “il rimodellamento del Medio Oriente allargato”, ossia la spartizione dei grandi Stati in piccoli Stati omogenei, non più in grado di opporgli resistenza. Obiettivo a lungo termine del Pentagono è mettere questi piccoli Stati gli uni contro gli altri, fino a far regredire la regione nel caos.
Il “Rojava” non è stato proclamato Stato indipendente perché, secondo Öcalan, tutti gli Stati-nazione sono di per sé un male. Secondo la NATO, il “Rojava” è giusto uno Stato autonomo che dovrà confederarsi con altri Stati autonomi che nasceranno una volta rovesciato lo Stato-nazione siriano. Secondo il teorico di riferimento del “municipalismo”, lo statunitense Murray Bookchin, le comunità libertarie, per funzionare in modo democratico, devono essere omogenee. Ed è in base a questo principio che il “pacifista” YPG sta procedendo alla pulizia etnica del “Rojava”.
C.V.D.
Thierry Meyssan
Traduzione: Rachele Marmetti, Il Cronista
[1] Blood and belief : the PKK and the Kurdish fight for independence, Aliza Marcus, New York University Press, 2007.
[2] Abdullah Öcalan arrivò in Italia il 12 novembre 1998, accompagnato da Ramon Mantovani, all’epoca deputato di Rifondazione Comunista e responsabile Esteri del partito. Öcalan si rivelò subito un problema per Massimo d’Alema, capo del governo dal 21 ottobre, che respinse tutte le richieste di asilo politico avanzate dal leader curdo, perseguitato in patria e cacciato da tutt’i Paesi cui sino ad allora aveva chiesto ricetto. D’Alema motivò il rifiuto con le pressioni internazionali: degli Stati Uniti e della Turchia, che in particolare minacciava di boicottare le aziende italiane che colà facevano affari d’oro. Dopo 65 giorni in Italia, il 16 gennaio 1999, Öcalan fu convinto da emissari governativi a partire per Nairobi, in Kenya. L’intesa prevedeva che il viaggio e la destinazione restassero segreti per il tempo necessario a Öcalan a raggiungere un rifugio definitivo sicuro. Ma pochi giorni dopo, il 15 febbraio 1999, fu catturato dagli agenti dei servizi segreti turchi, spalleggiati dalla CIA e dal Mossad, durante un trasferimento dalla sede della rappresentanza diplomatica greca in Kenya all’aeroporto di Nairobi. Si scrisse che a propiziare la cattura fu una soffiata di d’Alema alla CIA, esito di un’intesa con i governi degli Stati Uniti e della Turchia. ndt
[3] The Political Thought of Abdullah Öcalan: Kurdistan, Women’s Revolution and Democratic Confederalism, Abdullah Öcalan, Pluto Press, 2017.
[4] Per difetto si può leggere: The Kurds in Syria: the forgotten people, Kerim Yildiz, Pluto Press, 2005.
[5] “LGBT Brigades In Syria? Western Anarcho-Leftists Cutting Their Teeth With Western-Backed Kurdish YPG”, Brandon Turbeville, Activist Post, July 27, 2017. “Le Rojava, un califat d’extrême gauche ? Réseaux “antifascistes” et terrorisme : le laboratoire kurde”, Observatoire des extrêmes de gauche, 16 août 2017.
[6] “I progetti di Kurdistan”, di Thierry Meyssan, Traduzione Marco Emilio Piano, Megachip-Globalist (Italia) , Rete Voltaire, 6 settembre 2016.
[7] The PKK: Coming Down From the Mountains, Paul White, Zed Books, 2015. Revolution in Rojava: Democratic Autonomy and Women’s Liberation in the Middle East, Michael Knapp & Ercan Ayboga & Anja Flach, Pluto Press, 2016.