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Kurdistan: quello che il referendum nasconde

Milioni di elettori non curdi sono già stati mandati via dalle loro case e non potranno tornarvi. Nei seggi elettorali, solo gli indipendentisti controlleranno lo scrutinio [Thierry Meyssan]

Kurdistan: quello che il referendum nasconde
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26 Settembre 2017 - 08.05


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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°258

di Thierry Meyssan

 
In un mondo in cui le immagini contano più che le realtà, la stampa evoca un referendum democratico per l’indipendenza del Kurdistan iracheno. Tuttavia, oltre al fatto che costituzionalmente questo referendum dovrebbe tenersi in tutto l’Iraq e non solo nella zona indipendentista, molti milioni di elettori non curdi sono già stati mandati via dalle loro case e non potranno tornarvi. Nei seggi elettorali, solo gli indipendentisti controlleranno la regolarità di questo scrutinio. Thierry Meyssan rivela questa truffa e gli interessi che nasconde.
 
Su questo manifesto elettorale, la mappa del “Kurdistan indipendente” trabocca dalla regione autonoma irachena fino ai territori iracheni e siriani.
 
DAMASCO (Siria)  –  Il referendum per l’indipendenza del Kurdistan è un gioco truccato. Gli Stati Uniti, che lo sostengono sottobanco, gli si oppongono in pubblico. La Francia e il Regno Unito fanno lo stesso, sperando che Washington realizzi il loro vecchio sogno. La Russia è ben piazzata, lasciando intendere che, sebbene sia contraria a qualsiasi cambiamento unilaterale, potrebbe sostenere l’indipendenza… almeno se tutti ammettono l’indipendenza della Crimea e di conseguenza il suo ricongiungimento a Mosca.
Il grado di ipocrisia dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza è tale che non sono giunti a prendere una decisione su questo tema, nonostante la loro apparente unanimità. Non hanno adottato una risoluzione (cioè un testo avente la forza del diritto internazionale), né una dichiarazione presidenziale (vale a dire una posizione comune dei membri del Consiglio), solo un insipido comunicato stampa in occasione della loro riunione del 19 settembre [1].
Attualmente esistono otto stati non riconosciuti: Abkhazia, Cipro Nord, Nagorno-Karabakh, Kosovo, Ossezia del Sud, Sahara occidentale, Somaliland e Transnistria. Mentre due regioni europee sperano per la loro indipendenza: la Catalogna e la Scozia. Qualsiasi cambiamento dello status del Kurdistan iracheno avrà conseguenze su questa decina di altri paesi.
L’indipendenza del Kurdistan iracheno comporterebbe un tour de force, in quanto si tratterebbe di spostare il Kurdistan, così come riconosciuto dalla Conferenza di Sèvres nel 1920, dall’attuale territorio turco al territorio iracheno. È vero che tutti si sono abituati a usare la parola Kurdistan per designare quella regione in cui Londra e Washington dal 1991 hanno supervisionato una lenta e continua pulizia etnica.
Durante l’operazione “Desert Storm”, questa regione ospitava una maggioranza di iracheni curdi. Londra e Washington ne fecero una zona di non sorvolo interdetta alle forze armate del presidente Hussein. Vi installarono al potere uno dei loro collaboratori della guerra fredda, Mas’ud Barzani, che avviò lo spostamento di popolazioni non curde. Lo stesso Barzani, ancorché sia stato eletto due volte da allora, è stato in carica per oltre due anni senza un mandato. L’Assemblea Nazionale, che esige la sua partenza, è stata convocata solo una volta dalla fine del suo mandato, per votare il principio del referendum, ma in assenza del Gorran, un partito che denuncia costantemente il sistema feudale dei clan Barzani e Talabani, nonché il nepotismo e la corruzione che ne derivano. Di fatto, Mas’ud Barzani è al potere ininterrottamente da 26 anni.
Dal 1991 al 2003, i non-curdi hanno lasciato gradualmente la zona di non sorvolo, di modo che è stato proclamato il Kurdistan iracheno in occasione della disfatta del presidente Hussein.
Il 1° giugno 2014, i servizi segreti dell’Arabia Saudita, degli Stati Uniti, di Israele, della Giordania, della Regione autonoma del Kurdistan iracheno, del Qatar, del Regno Unito e della Turchia hanno organizzato ad Amman, in Giordania, un incontro preparatorio per l’invasione dell’Iraq da parte di Daesh. Sappiamo dell’esistenza di questa riunione dal documento turco che Özgür Gündem ha pubblicato immediatamente [2]
Questo quotidiano – con cui ho collaborato – è stato chiuso dal “sultano” Recep Tayyip Erdoğan [3].
Secondo questo documento, è stato deciso di coordinare Daesh e la regione del Kurdistan iracheno. Il primo ha lanciato un’offensiva fulminea per impadronirsi di Mosul, mentre la seconda si è appropriata di Kirkuk. Il presidente Barzani si era recato in Giordania quattro giorni prima per incontrare i partecipanti all’incontro. Fu attento a non prendervi parte, ma fu rappresentato dal figlio Masrour, capo del suo stesso servizio di intelligence.
Quando Daesh ha invaso la parte dell’Iraq che gli Stati Uniti gli avevano precedentemente assegnato, di passaggio ha fatto prigionieri gli Yazidi riducendoli in schiavitù. La stragrande maggioranza degli Yazidi è curda, ma secondo l’accordo di Amman, i Barzani – pur vicini – non sono intervenuti, perfino quando alcuni sono scappati verso i monti Sinjar. Questi fuggiaschi sono stati salvati in ultima analisi dai comandanti del PKK turco. I curdi turchi li hanno salvati che fossero curdi o meno. Hanno utilizzato questa vittoria per chiedere il riconoscimento da parte degli occidentali (che li considerano terroristi sin dalla Guerra fredda). La presente riscrittura di questa vicenda da parte dei Barzani non può cancellare questo crimine commesso contro il proprio popolo [4].
Un altro celebre curdo ha partecipato alla riunione di Amman: l’islamista Mullah Kerkar. Costui era stato imprigionato in Norvegia, dove scontava una pena di cinque anni per aver minacciato di uccidere la futura Prima Ministra Erna Solberg. È andato in questo summit a bordo di un aereo della NATO ed è ritornato alla sua cella nei giorni seguenti. Ha rivelato allora la sua fedeltà a Daesh. Non è stato giudicato per la sua appartenenza a un’organizzazione terroristica, ma ha beneficiato di una riduzione di pena di due anni ed è stato rilasciato. Ha poi diretto Daesh in Europa, da Oslo, sotto la protezione della NATO. Ovviamente, la rete Stay-behind dell’Alleanza Atlantica è tuttora in funzione [5].
Avendo annesso Kirkuk, il governo regionale del Kurdistan iracheno ha esteso la pulizia etnica che i suoi membri avevano svolto nella zona di non sorvolo dal 1991 al 2003.
 
C’è da essere rassicurati: l’inamovibile presidente Barzani ha garantito che non avrebbe adottato misure di ritorsione contro gli elettori che avrebbero votato “no”.
 
Il presidente non costituzionale Barzani ha annunciato che tutte le popolazioni del Kurdistan iracheno e dei territori annessi potranno partecipare al referendum. Tutte queste aree ospitavano più di una dozzina di milioni di cittadini nel 2013. Ma ad oggi, tre milioni di cittadini non curdi sono stati costretti a fuggire. Sono quindi degli elettori scelti ad essere chiamati alle urne per decidere il futuro, non solo al posto degli abitanti legittimi espulsi, ma anche di tutti gli altri iracheni.
Per partecipare a questo referendum, è necessario:

– abitare in Kurdistan o nelle regioni annesse;   

– avere più di 18 anni; 

– essersi fatto registrare prima del 7 settembre nei registri elettorali;   

– per i rifugiati all’estero, essersi fatti registrare per poter votare elettronicamente … cosa che presuppone che presentino i loro documenti all’autorità elettorale di quel Kurdistan da cui sono stati espulsi.

Inoltre, i Barzani hanno una particolare concezione delle popolazioni chiamate a votare. Nel 1992 avevano soltanto 971.953 elettori, ma un decennio dopo, nel 2014, erano improvvisamente 2.129.846, e ora 3.305.925, il 25 settembre 2017.
L’indipendenza darà ai clan di Barzani e Talabani mezzi aggiuntivi per continuare i loro affari. Inoltre, offrirà a Israele l’opportunità di attuare alcuni dei suoi obiettivi militari. Dalla fine degli anni ’90 e lo sviluppo dei missili, l’esercito israeliano ha abbandonato la sua strategia di occupazione delle “marche”, ovvero dei territori appena fuori dai suoi confini (Sinai, Golan, Libano meridionale). Al contrario, intende neutralizzare l’Egitto, la Siria e il Libano prendendoli alle spalle. Tel Aviv ha quindi sostenuto la creazione del Sud Sudan nel 2011 per piazzare dei missili puntati sull’Egitto e ora sostiene quella del Kurdistan per piazzare dei missili puntati sulla Siria.
Secondo Israel-Kurd, ampiamente citato dalla stampa turca, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è impegnato presso Barzani a trasferire 200.000 israeliani nel nuovo stato per “aiutare” ad amministrarlo [6].
Secondo la sua logica, per Tsahal l’ideale sarebbe quello di estendere il territorio del Kurdistan iracheno, non solo a Kirkuk, ma al nord della Siria. Questo è il lavoro dell’YPG e del suo “Rojava”. Questo Stato autonomo autoproclamato è un lungo corridoio che unisce il Kurdistan iracheno al Mediterraneo, occupato dalle truppe statunitensi che vi hanno illegalmente installato numerose basi militari.
Otto mesi prima della riunione ad Amman, una ricercatrice del Pentagono, Robin Wright, ha confermato l’accordo del suo paese su questo progetto [7]
A quel tempo, i Barzani difendevano ancora tutti i curdi, inclusi quelli residenti in Turchia e Iran. La signora Wright spiegò dottamente che questo progetto era impossibile, ma pubblicò la mappa del “Sunnistan” attribuito a Daesh e del “Kurdistan” attribuito ai Barzani in Iraq e in Siria.
Il Pentagono ha recentemente pubblicato un bando di gara lo scorso agosto per acquistare e trasferire in Siria 500 milioni di dollari in armi e munizioni prevalentemente ex-sovietiche [8]
I primi 200 autocarri sono stati consegnati all’YPG di Hasakeh l’11 e il 19 settembre attraverso il Kurdistan iracheno senza subire attacchi dai jihadisti [9]
Il Ministero della Difesa russo ha appena rilasciato fotografie satellitari di un campo di forze speciali statunitensi in pieno territorio di Daesh, che sta vivendo in buona armonia con i curdi e i jihadisti.
Ma poiché ci viene detto che questo “Kurdistan indipendente” è un progetto democratico curdo, perché dovremmo dubitarne?
 
 
Thierry Meyssan
 
 NOTE

[1] «Déclaration du Conseil de sécurité sur le Kurdistan iraquien», Réseau Voltaire, 21 septembre 2017.
[2] «Yer: Amman, Tarih: 1, Konu: Musul», Akif Serhat, Özgür Gündem, 6 luglio 2014.
[3] Quelli fra i suoi giornalisti che sono sfuggiti alle purghe e sono riusciti a scappare, hanno creato il quotidiano elettronico Özgürlükçü Demokrasi fuori dalla Turchia.
[4] «La riscrittura del massacro del Sinjar», Rete Voltaire, 12 settembre 2017; traduz. R. Marmetti, Il Cronista.
[5] «La guerre secrète en Norvège », par Daniele Ganser, Réseau Voltaire, 25 juillet 2013.
[6] «200.000 israeliani attesi in “Kurdistan” dopo la proclamazione del nuovo Stato indipendente», Rete Voltaire, 20 settembre 2017; traduz. R. Marmetti, Il Cronista.
[7] Imagining a Remapped Middle East”, Robin Wright, The New York Times Sunday Review, September 28, 2013.
[8] “Heikle Fracht aus Ramstein”, “Millionen Schuss Munition für Kalaschnikows”, Frederik Obermaier & Paul-Anton Krüger, Süddeutsche Zeitung, 12. & 20. September 2017.
[9] «200 camion di armi e munizioni consegnati dal Pentagono a YPG», Rete Voltaire, 22 settembre 2017; traduz. R. Marmetti, Il Cronista.
 
 
Traduzione a cura di Matzu Yagi.
 
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