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Bilancio e prospettive di Donald Trump

Thierry Meyssan spiega la corrente di pensiero di cui Trump è espressione e traccia un bilancio delle sue realizzazioni, ponendo al tempo stesso il problema dei rischi dello smantellamento dell’Impero

Bilancio e prospettive di Donald Trump
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17 Dicembre 2017 - 00.27


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È un grave errore giudicare il presidente Trump con i criteri della classe dirigente di Washington e non tener conto della storia e della cultura degli Stati Uniti. Ed è errato anche interpretare le sue azioni in base agli schemi del pensiero europeo. In effetti, la difesa di Trump del porto d’armi o dei manifestanti razzisti di Charlottesville non hanno nulla a che vedere col sostegno agli estremisti, ma rispecchiano unicamente la promozione della Bill of Rights. Thierry Meyssan spiega la corrente di pensiero di cui Trump è espressione e traccia un bilancio delle sue importanti realizzazioni economiche, politiche e militari, ponendo al tempo stesso il problema dei limiti del pensiero politico statunitense e dei rischi che implica lo smantellamento dell’”Impero americano”.
 
«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°268

di Thierry Meyssan.

Nell’immagine in apertura: Durante la campagna elettorale presidenziale Donald Trump si era impegnato a rispettare le regole del Partito Repubblicano. All’epoca nessuno gli attribuiva capacità di vincere. Tuttavia, Trump condusse una campagna elettorale fondata sulle basi storiche del suo partito, da molto tempo dimenticate dai politici e riuscì a eliminare ogni rivale. Fino alla proclamazione della vittoria, i sondaggi lo davano perdente. Allo stesso modo oggi sostengono che non abbia alcuna possibilità di essere rieletto.

BUENOS AIRES (Argentina) – E’ passato quasi un anno da quando il presidente Trump ha fatto il suo ingresso alla Casa Bianca. Siamo perciò in grado di capire quali siano i suoi obiettivi politici, sebbene negli Stati Uniti continui a imperversare un distruttivo scontro tra i suoi sostenitori e i suoi avversari, a detrimento di tutti.

I fatti sono tanto più difficili da interpretare in quanto lo stesso Donald Trump maschera i propri atti più importanti dietro un flusso di dichiarazioni e tweet contraddittori, mentre l’opposizione, attraverso i media, lo dipinge come un folle.

Innanzi tutto, dai tempi della Guerra di Secessione gli Stati Uniti non sono mai stati così divisi come ora. I campi avversi danno prova di grande violenza e alcuni dei protagonisti mostrano una totale malafede. Per capire cosa sta accadendo, per prima cosa dobbiamo prescindere dagli attacchi alquanto energici che si scambiano i protagonisti e individuare cosa ciascuno di loro rappresenti.

Gli Stati Uniti sono stati creati dai “Padri pellegrini”, i puritani del Mayflower, il cui arrivo viene festeggiato con il Thanksgiving, e, al tempo stesso, da una moltitudine di migranti dell’Europa del nord.

I primi erano un piccolo gruppo, ma avevano un progetto religioso e politico. Volevano costruire una Nuova Gerusalemme, organizzata secondo la legge di Mosè, nella quale tendere alla purezza. Contemporaneamente volevano proseguire nelle Americhe lo scontro tra Impero inglese e Impero spagnolo. I migranti dell’Europa del nord cercavano invece fortuna in una terra che immaginavano vuota, senza abitanti, senza costrizioni, senza un governo che non fosse quello del luogo. L’insieme di questi due gruppi è designato dai sociologi come White Anglo-Saxon and Protestant (WASP, Bianchi, Anglosassoni e Protestanti).

Quando fu stesa la Costituzione, i “Padri fondatori” erano in maggioranza rappresentanti dei puritani. Su impulso di Alexander Hamilton, elaborarono un testo antidemocratico che riproduceva il funzionamento della monarchia britannica, ma che trasferiva il potere della gentry alle élite locali, i governatori. Il testo suscitò l’ira dei migranti nordeuropei cui la Guerra d’Indipendenza era costata il sacrificio di molte vite. Invece di riscrivere la Costituzione e di riconoscere la sovranità popolare, su iniziativa di James Madison vi furono aggiunti una decina di emendamenti, che costituiscono la Bill of Rights [la Carta dei Diritti, ndt]. Questo documento garantì loro il diritto di difendersi nei tribunali contro la Ragione di Stato. L’insieme dei due testi restò in vigore per due secoli, con soddisfazione di entrambi i gruppi.

Il 13 settembre 2001 il Congresso adottò precipitosamente un Codice antiterrorismo molto voluminoso, lo USA Patriot Act. Questo documento, preparato in segreto negli anni precedenti gli attentati di New York e Washington, sospende la Bill of Rights in ogni circostanza connessa al terrorismo. A partire da quella data, gli Stati Uniti del repubblicano George Bush Jr. (egli stesso discendente diretto da uno dei puritani del Mayflower) e del democratico Barack Obama sono stati governati esclusivamente secondo i principi puritani attualizzati (oggi comprendono il multiculturalismo, diritti distinti per ciascuna comunità e un’implicita gerarchia di quest’ultime).

Trump si è presentato alle elezioni come candidato dei nordeuropei, ossia dei WASP non puritani. Ha basato la sua campagna elettorale sulla promessa di restituir loro il Paese confiscato dai puritani e invaso da ispanici che rifiutano di integrarsi nella cultura americana. Lo slogan di Trump America first! deve essere inteso come volontà di restaurare il “sogno americano”, quello di far fortuna, in contrapposizione al progetto imperialista puritano e all’illusione del multiculturalismo.

La difesa della Bill of Rights include il riconoscimento del diritto di manifestare anche a gruppi estremisti (1° emendamento) e il diritto dei cittadini di possedere armi per resistere a possibili eccessi dello Stato Federale (2° emendamento). È perciò perfettamente legittimo che il presidente Trump abbia sostenuto il diritto di manifestare di gruppi razzisti a Charlottesville e abbia espresso il proprio appoggio alla National Rifle Association (NRA). Questa filosofia politica può sembrare assurda a un non-statunitense, ma è espressione della storia e della cultura di quel Paese.

I due principali poteri di un presidente statunitense sono: – la nomina di migliaia di alti funzionari; – l’individuazione degli obiettivi militari.

Ebbene, si dà il caso che Donald Trump disponga solo di qualche decina di fedeli seguaci per occupare migliaia di posti e che il Pentagono abbia già una dottrina strategica propria. Trump è perciò obbligato a individuare le decisioni in grado di modificare il sistema e di concentrarvisi prioritariamente.Dal suo arrivo alla Casa Bianca, Trump agisce per: – sviluppare l’economia e inibire la finanza; – smantellare l’”Impero americano” e ristabilire la Repubblica, ossia l’interesse generale; – difendere l’identità WASP ed espellere gli ispanici che rifiutano di integrarsi nella cultura statunitense.

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Secondo il Premio Nobel per l’Economia, Angus Deaton, l’aspettativa di vita dei Bianchi statunitensi si è andata fortemente abbassando dal 2001, pur progredendo per ogni altra categoria di popolazione degli Stati Uniti.
Ebbene, Donald Trump ha da poco nominato, a capo della Federal Reserve Bank, Jerome Powell. Per la prima volta a presiedere questa istituzione non sarà un economista, bensì un giurista. Il suo compito sarà mettere fine alla politica monetarista e alle regole in vigore dalla disfatta americana in Vietnam e dalla fine della convertibilità del dollaro in oro. Dovrà studiare nuovi regolamenti che rimettano il capitale al servizio della produzione, non più della speculazione.
La riforma fiscale di Donald Trump dovrebbe sopprimere ogni esenzione e far scendere la tassazione delle imprese dal 35 al 22%, se non al 20%. Gli esperti sono divisi nella valutazione di quali classi sociali ne beneficeranno. L’unica cosa certa è che, unitamente a quella doganale, la riforma fiscale farà cessare la convenienza economica dei tanti posti di lavoro delocalizzati e indurrà diverse industrie a rientrare in patria.
Sul piano internazionale Trump ha messo fine al reclutamento di nuovi jihadisti e al sostegno che alcuni Stati loro forniscono, fatta eccezione per Regno Unito, Qatar e Malesia che proseguono in tale politica. In compenso, non ha fermato il coinvolgimento di società transnazionali e di alti funzionari internazionali nell’organizzazione e nel finanziamento dello jihadismo.
Invece di sciogliere la NATO, come aveva inizialmente previsto, Trump l’ha trasformata, imponendole di abbandonare l’uso del terrorismo come metodo di guerra, e l’ha costretta a convertirsi in un’alleanza antiterrorista.
Donald Trump ha anche ritirato gli Stati Uniti dal Trattato Transpacifico, studiato in chiave anticinese. Come ringraziamento, Pechino ha cospicuamente ridotto i diritti di dogana, dimostrando che è possibile sostituire la cooperazione tra Stati allo scontro.
In politica interna, il presidente Trump ha nominato il giudice Neil Gorsuch alla Corte Suprema, istituzione incaricata di far evolvere l’interpretazione della Costituzione, Bill of Rights inclusa. Gorsuch è un magistrato celebre per gli studi sulla valenza originaria di questi testi e, a tale titolo, capace di ripristinare il compromesso originario che ha sancito la nascita degli Stati Uniti.
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Nel 1998 Igor Panarin, allora direttore dei servizi segreti russi, pronosticava, all’incirca per il 2010, una guerra civile e la divisione degli Stati Uniti in sei Stati distinti. Tuttavia, il colpo di Stato dell’11 settembre 2001 ha rimandato il processo. Nel 2012 il giornalista Colin Woodard riattualizzava i dati di Panarin, constatando come gli statunitensi, con la mobilità, tendano a raggrupparsi in 11 comunità culturali separate e coesistenti. I neri invece non formerebbero una propria comunità, bensì si troverebbero inseriti in due di queste 11 comunità, dove sarebbero al tempo stesso integrati e discriminati.
Sebbene questo bilancio sia molto soddisfacente per gli elettori del presidente Trump, è ancora troppo presto per capire se faciliterà l’integrazione dei non-WASP oppure, al contrario, ne provocherà l’espulsione dalla comunità nazionale. Secondo il geopolitico messicano Alfredo Jalife-Rame, due terzi degli ispanici che non parlano inglese abitano in California, ex territorio messicano. Per Donald Trump sarà grande la tentazione di risolvere il problema culturale e demografico degli Stati Uniti favorendo la secessione della California, la “Calexit”. In questo caso la Casa Bianca dovrà fare i conti con i problemi posti dalla perdita dell’industria dello spettacolo di Hollywood, dell’industria del software della Silicon Valley e, soprattutto, della base militare di San Diego. L’operazione condotta dalla Casa Bianca e dalle sue casse di risonanza contro Hollywood con l’affare Weinstein sembra indicare che questo processo è già iniziato.
La secessione della California potrebbe dare avvio a uno smantellamento etnico degli Stati Uniti fino al ripristino del loro territorio iniziale, costituito dai 13 Stati che adottarono la Costituzione, Bill of Rights inclusa. È in ogni caso l’ipotesi, ormai di vecchia data, del geopolitico russo Igor Panarin.
 
Traduzione a cura di Rachele Marmetti  –  Il Cronista 
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