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'Macché Primavera d''Egitto'

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28 Novembre 2011 - 08.28


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cairo-insurrezdi Sherif El Sebaie.

Di seguito un “collage” delle dichiarazioni rese alla stampa in questi giorni da Tariq Ramadan, uno degli intellettuali musulmani più acclamati in occidente.

Inutile dire che si attesta su posizioni identiche a quelle che sostengo da mesi.

«Preferisco utilizzare il termine insurrezione invece di rivoluzione. Inoltre, non vedo alcun segno di una Primavera araba.

La situazione dell”Egitto oggi è fragile ed esplosiva insieme. Soprattutto, non è ancora chiaro se quel che sta succedendo in Egitto sia davvero una rivoluzione. O solo una rivolta abortita.

Non credo che al Cairo si possa parlare di primavera araba. I laici si presentano come i difensori della democrazia con una visione liberale della religione, ma molti di loro provengono da un”élite facoltosa, distante dalla realtà e sovente legata ai dittatori.

Sul fronte opposto, i movimenti islamici pretendono – non sempre a ragione – di avere una legittimità basata sul contatto diretto con la popolazione. Mi disturba il fatto che questa contrapposizione legittima ciascuna delle due parti, senza che vi sia la benché minima autocritica. I nuovi regimi dovranno essere giudicati sulla base dei programmi economici e sociali che saranno in grado di attuare.

Per ora, Ennahda (movimento islamico uscito vincitore dalle elezioni in Tunisia, ndr) acconsente a tutto: al suffragio femminile, allo Stato di diritto, alla collaborazione con il Fondo monetario internazionale. Ed è proprio questo che lascia perplesso l”Occidente: dobbiamo restare vigili».

 

Fonte: http://salamelik.blogspot.com/2011/11/macche-primavera-degitto.html.

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Egitto: non liquidare i segnali.

Due giorni prima delle dimissioni di Mubarak, invitavo alla mediazione tra le varie fazioni politiche in Egitto in vista di una transizione ordinata, sottolineando l”ovvio, ovvero che “il popolo egiziano non è monolitico come lo vorrebbero dipingere i media e i blog italiani che delineano un quadro in cui si sta “O con la feroce dittattura o con la piazza unita”. Non ci fu invece nessuna mediazione e tantomeno una transizione ordinata. Ed eccoci qui, sull”orlo di una guerra civile:

Giovani con la stessa grinta e lo stesso sorriso. Anche le bandiere sono le stesse, a strisce rosse, bianche e nere, così come i fuochi d” artificio e i venditori ambulanti di ciambelle. Ma al Cairo e in Egitto, in queste ore, si stanno misurando (per ora a prudente distanza) due concezioni del futuro prossimo del Paese.

In piazza Tahrir sono arrivate centinaia di migliaia di persone (il solito «milione», secondo gli organizzatori) che, per il settimo giorno consecutivo, hanno chiesto l”immediato passaggio dei poteri dal Consiglio supremo delle forze armate a un governo di civili.

Ma una decina di chilometri più a est di questa sterminata megalopoli, nel quartiere di Abbasiya dove ha sede il ministero della Difesa, a partire da mezzogiorno si sono ritrovate diverse migliaia di cittadini (circa 50-60 mila nel corso dell” intera giornata, a tarda sera ce n” erano ancora 20 mila circa) schierate a sostegno dei militari. Sul piano dei numeri, come è evidente, il confronto tra Tahrir e Abbasiya non regge.

Ma dal punto di vista politico (e sociale) i rapporti di forza in questo Paese da ottanta milioni di abitanti non sono altrettanto scontati. E sarebbe, dunque, sbagliato liquidare frettolosamente il segnale che arriva «dall” altra» manifestazione. Bastava fare un giro e scambiare due chiacchiere con i vari Samir (42 anni), dirigente della Procter & Gamble, Ahmed, 31 anni, gestore di un club di tiro a segno, o Ibrahim, 40 anni, impiegato in un” azienda di forniture medicali, per rendersi conto che Abbasiyanon è stato il raduno di comparse prezzolate dal maresciallo Mohamed Hussein Tantawi. 

 

Fonte: http://salamelik.blogspot.com/2011/11/egitto-non-liquidare-i-segnali.html.

 

 

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