di Aldo Giannuli.
Beppe Grillo ha fatto una delle sue sparate definendo il Parlamento un “Tomba†o una “scatola di tonno vuotaâ€. Manco a dirlo si è scatenata la solita buriana di commenti “politicamente corretti†che accusano Grillo di essere un emulo del Mussolini del 3 gennaio 1925, qualcuno addirittura ipotizza che ordini di bruciare il Parlamento come fece Hitler con il Reichstag e via di seguito con il consueto coro di sepolcri imbiancati. Anche qualche dissidente grillino ha preso le distanze (ma temo che in questo caso si sia trattato di una dinamica divaricante che conosco bene, per cui, se dici bianco devo dire nero perché ormai è una partita a scacchi a mosse obbligate) e, questa volta, poteva risparmiarselo. Come al solito, Grillo dice le cose in modo da scoprire il fianco alle accuse più spropositate, ma, nel merito, siamo sicuri che abbia proprio torto?
Che da almeno un secolo ci sia una critica del Parlamentarismo non solo di destra, ma anche di sinistra (Lenin, tanto per citare un nome) mi pare un fatto assodato. Quindi, non si può dire che, in generale, Grillo inventi nulla o la sua debba necessariamente essere una posizione di destra. Peraltro parlare in incendio del Reichstag e di discorso sul “bivacco per manipoli†è del tutto fuori luogo, perché, Grillo dice piuttosto chiaramente che il Parlamento “così come è†non serve a nulla e che tanto vale abolirlo, ma contestualmente, propone di rifondarlo.
Quindi si capisce che la sua posizione è quella di ripensare il principio di rappresentanza, non abolirlo. Allora, siamo sicuri che stia dicendo cose così fuori della realtà ?
Lasciando da parte il dibattito classico sul parlamentarismo (su cui, però, forse sarà il caso di tornare) e venendo alla storia dell’Italia Repubblicana, vediamo come stanno le cose. La Costituzione vigente, per dirla con Ghisalberti, disegna un sistema basato “sulla divisione dei poteri nella prevalenza del legislativoâ€.
Ma questo non è mai stato vero nella concreta realizzazione della Costituzione materiale: la spaccatura sull’asse dell’anticomunismo, con il conseguente corollario di escludere, per quanto possibile, il Pci ed i suoi alleati dal potere decisionale, spostò subito gli equilibri di potere a favore del governo, che divenne subito il vero cuore del sistema politico-istituzionale. Dunque, la prevalenza spettò nei fatti all’esecutivo, ben presto titolare unico delle funzioni di indirizzo politico (a cominciare dalla politica estera) e poi, via via, dominus dei procedimenti legislativi, soprattutto attraverso il crescente uso ed abuso della decretazione di urgenza.
La presenza di una maggioranza precostituita, garantita dal vincolo di disciplina partitica dei parlamentari (anche per questo, stiamo attenti a reclamare l’abolizione del voto segreto nelle aule parlamentari) contribuirono a sminuire la funzione del Parlamento a mera cassa di registrazione di decisioni prese altrove. Allo stesso modo, il vincolo disciplinare vanificava ogni potere di controllo del Parlamento, perché, ovviamente, la maggioranza (che era la stessa che votava la fiducia al governo) respingeva ogni iniziativa dell’opposizione in merito.
Sino al 1977, il Parlamento ha regolarmente respinto qualsiasi proposta di messa in stato d’accusa dei ministri (si pensi agli scandali dei tabacchi, delle banane, di Fiumicino, ecc.) perché regolarmente la maggioranza si compattava intorno agli inquisiti.
Già nei primi anni sessanta si parlava correntemente di “crisi del Parlamento†con interventi di autori di parte diversissima, dal leader psiuppino Lelio Basso, al politologo liberale Giuseppe Maranini, al radicale Leonardo Piccardi, al conservatore Panfilo Gentile, dal giurista di destra Sandulli a quello cattolico Mortati, dal liberale Bozzi al comunista Ingrao. Ovviamente, ciascuno proponeva un suo rimedio spesso opposto a quello degli altri; la maggior parte di essi additò due difetti strutturali del sistema che contribuivano ad indebolire il Parlamento: il bicameralismo perfetto e la pletoricità delle due assemblee. Ma, nel complesso, le cose restarono come erano. Anzi la marcia verso il depotenziamento dell’istituto parlamentare proseguì imperterrita, con le riforme dei regolamenti parlamentari, con l’ulteriore ricorso alla decretazione d’urgenza, con l’uso del voto di fiducia per stroncare l’ostruzionismo parlamentare, con l’espansione della legge finanziaria che, di fatto, consegnava in mano al governo l’intera politica economica, lasciando al Parlamento la possibilità residua di qualche emendamento, prevalentemente per norme di interesse microsezionale o addirittura personale.
Da questo punto di vista, bei colpi di piccone ai poteri del Parlamento vennero anche dal Pci negli anni della solidarietà nazionale e poi da Craxi, Cossiga e Andreotti negli anni del pentapartito. Nello stesso tempo, l’involuzione di partiti politici, sempre più meri apparati burocratici privi di qualsiasi democrazia interna, contribuiva a svuotare il Parlamento della sua funzione democratica.
Ma, nel complesso, sino al 1993, il parlamento mantenne quantomeno una certa forza politica che gli veniva tanto dalla sua rappresentatività (dovuta alla legge proporzionale) quanto dal sistema parlamentare basato sul gioco delle alleanze fra diversi partiti che lasciava qualche spazio di manovra. Il colpo di grazia venne con il referendum golpista di Segni ed Occhetto che, sostituendo la proporzionale con il maggioritario, introducevano meccanismi distorsivi che avrebbero inevitabilmente ridotto la rappresentatività delle Camere.
In secondo luogo, l’adozione del maggioritario precostituiva coalizioni rigide che azzeravano il gioco parlamentare e sottraevano, tanto al Parlamento quanto al Presidente della Repubblica, la facoltà di scegliere il Presidente del Consiglio che (dal 2001) era quello indicato sulla scheda elettorale. E’ significativo che le uniche due volte che ci sia stato un rovesciamento o una sostanziale modifica della coalizione di maggioranza (governo Dini 1995, governo Monti 2011) ciò sia stato vissuto come un situazione di emergenza contro le quali alcuni parlarono di colpo di mano. La cosa merita di essere rimarcata: ormai il mutamento di maggioranze di governo –come è proprio di un sistema parlamentare- diventava lo “strappo†e la designazione a suffragio diretto del Capo del Governo –come è proprio dei sistemi presidenziali- era la regola.
Questo sostanziale ribaltamento della carta costituzionale si è poi accompagnato al peggioramento –per certi aspetti- della legge elettorale, in particolare con l’ attribuzione al vincitore –e senza alcuna soglia minima- di una rappresentanza pari al 54% della Camera e con l’esclusione del voto di preferenza. Già dal suo esordio (2006) il “Porcellum†dimostrò di produrre un Parlamento di “nominati†privi di qualsiasi consenso popolare. Nelle ultime elezioni, il meccanismo premiale, ha dimostrato la sua totale assurdità , attribuendo ben il 54% dei seggi ad una coalizione che rappresentava solo il 29.5% dei votanti : si ricava che il nostro è il parlamento più disrappresentativo del Mondo.
Quanto alla qualità dei nostri parlamentari, è osservazione comune che essa sia andata calando costantemente e, ormai, si sprecano le trasmissioni stile “Striscia la notizia†dove si documenta che i parlamentari non sanno cosa significano parole come “spreadâ€, “multipolarismoâ€, “geopoliticaâ€, “panachageâ€, “subprimeâ€, “bailoutâ€, di cui danno interpretazioni assai fantasiose ma che riguardano materie su cui sono chiamati a votare.
A questo punto, vi sembra che la sparata di Grillo (al di là dei soliti toni sbraitati) sia poi così infondata?
Fonte: [url””]http://www.aldogiannuli.it/2013/06/grillo-e-la-crisi-del-parlamento/[/url]
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