Ho già scritto in passato sull’UE e sulle pretese di chi, sentendo di appartenere all’area cosiddetta “antagonistaâ€, sostiene con convinzione che il meccanismo di sfruttamento instaurato dalla finanza globale e dai suoi centri di potere, possa essere frenato e contrastato efficacemente mediante la fuoriuscita di singoli Paesi dall’Unione Europea e dalla moneta unica.
Il mantra del no-euro, che si pretende suffragato da infinite e cogenti riflessioni economiche, non mi ha mai convinto e, a dirla tutta, in esso ravvedo l’apice di un’inconsapevolezza sistemica mascherata da brillante coscienza di classe. Il pericolo già visibile di nuovi fascismi – e credo sia utile che i detrattori di questa lettura delle cose pongano attenzione non solo al sostantivo ma anche all’aggettivo che lo precede – nonché di forme di isolamento crescenti sul piano collettivo e individuale, mi sembra radicalmente inscritto nelle premesse psico-sociologiche di questi ultimi trent’anni.
La globalizzazione economica, condotta in nome di una crescita quantitativa dei profitti e dei consumi che serve solo a mascherare l’impossibilità di uno sviluppo infinito del sistema e della sua sostenibilità sociale e ambientale, ha intorpidito gli animi e lo spirito critico di milioni di persone. Mentre si profilano all’orizzonte sfide mondiali prima impensabili, soprattutto sul versante dei cambiamenti climatici e della ridefinizione delle sfere di influenza geopolitiche, c’è chi propone di tirarci fuori dal circolo perverso di questa Europa e di questo euro senza tener conto delle conseguenze che una rottura unilaterale sortirebbe nella vita concreta delle popolazioni europee.
E se, invece, a uscire dall’Unione fossero più Stati, non si spiega allora perché non combattere da subito per modificare insieme i trattati e mettere sotto controllo democratico i politici mai eletti che legiferano a Bruxelles e, soprattutto, gli istituti bancari che ci stanno togliendo il sangue in nome di un debito impossibile da ripagare.
Più volte mi sono domandato come potessi spiegare, in pochi punti sintetici, perché le proposte di uscita dall’Unione/Euro mi sembrano poco convincenti e altrettanto rischiose quanto lo sarebbe una resa incondizionata all’attuale architettura dell’UE.
È chiaro, tuttavia, che queste sono soprattutto le miemotivazioni “profonde†(coinvolgono infatti il cuore e la mente senza che io debba appellarmi alle pretese scientifiche di un qualunque scuola di pensiero), ma qualcosa mi dice che non sono minoritarie tra quei cittadini che desiderano difendere l’Europa – ovviamente non la sua attuale conformazione politica, finanziaria ed economica, che reputo semplicemente criminale – e il ruolo di mediatrice globale che le compete. Ecco cinque affermazioni dirette e senza fronzoli:
1) La frammentazione sociale, morale e psichica generata nei singoli individui e nel loro campo di relazioni quotidiane da alcuni decenni di neoliberismo non lascia alcuna speranza all’utopia di un nuovo patriottismo esente dagli orrori dei trascorsi nazionalismi.
2) Le condizioni di vita dei ceti popolari e medi sarebbero, quantomeno nel breve periodo, sconvolte da un cambiamento così radicale. Aggiungere alla crisi attuale un altro carico di tensioni e di incertezze verso il futuro, mi sembra inaccettabile e fuori luogo.
3) La necessità di un segnale in direzione di una decrescita guidata degli aspetti insostenibili dell’economia globale, non può essere impostata a livello nazionale e locale, bensì richiede accordi e prospettive politiche di più ampio respiro. Oggi tali politiche sono difficilmente pensabili, ma nel caso di un’esplosione dell’Unione Europea la loro stessa possibilità verrebbe a naufragare.
4) La speranza di dare nuove regole alla finanza globale (che così com’è continuerebbe a dominare l’esistenza dei Paesi svincolati dall’appartenenza all’Unione Europea) franerebbe in assenza di attori mondiali capaci di portare avanti progetti di revisione radicale dell’assetto odierno.
5) L’obiettivo di garantire la pace e di evitare la collisione violenta tra i protagonisti emergenti e quelli in declino sul piano internazionale, può essere perseguito solo in presenza di soggetti ampiamente rappresentativi e capaci di negoziare.
In conclusionenon penso che questa Europa, già ferita e offesa, meriti di essere uccisa in un letto d’ospedale. Con lei morirebbe l’ultima speranza di una politica capace di deviare la rotta suicida del capitalismo globale.
Che a questo non pensino le numerose forze di estrema destra che inneggiano all’uscita dall’euro non mi stupisce affatto.
Che anche a sinistra comincino a maturare posizioni simili mi sorprende poco di più. In fondo, come dice un vecchio adagio sempre efficace, gli estremi si toccano.
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