Infiniti amori

'Giornata internazionale contro la violenza di genere. Il sogno d''amore: la violenza invisibile. [Lea Melandri]'

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25 Novembre 2013 - 11.58


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di Lea Melandri

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Il testo inedito di Lea Melandri, che uscirà in un libro collettivo di prossima pubblicazione presso la Casa editrice Ediesse (Roma), curato da Barbara Mapelli e Alessio Miceli.

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Non sembra muovere particolare attenzione il fatto che la violenza maschile contro le donne nel suo aspetto più manifesto – maltrattamenti, stupri, omicidi domestici, ecc. – sia anche la più sfuggente: sono poche le donne che ne fanno denuncia, molti addirittura non la considerano ancora un crimine, alcune vittime dichiarano di amare nonostante tutto il loro aggressore. (1)

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Ora, è vero che non si uccide per amore, ma l’amore c’entra, dal momento che a uccidere le donne sono quasi sempre uomini a loro legati da rapporti intimi: mariti, amanti, padri, fratelli.

Stando al dibattito in corso in Italia, è sicuramente una conquista del femminismo aver fatto riconoscere che non si tratta della patologia del singolo e neppure di culture straniere arretrate, ma che va interrogata la ‘normalità’, comportamenti e valori che passano come ‘naturali’ e perciò scontati.

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Difficile tuttavia fare un passo ulteriore: dire che la storia, la civiltà che abbiamo ereditato ha visto un sesso prevalere sull’altro, imporre un dominio del tutto singolare, perché passa attraverso la vita intima.

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Gli uomini sono figli delle donne. Il corpo che hanno sottomesso alla loro legge, sfruttato e violato in tutti i modi, è il corpo che li ha generati, che ha dato loro le prime cure, le prime sollecitazioni sessuali, un corpo che ritrovano nella vita amorosa adulta e con cui sognano di rivivere l’originaria appartenenza a un altro essere.

Ma è anche il corpo che li ha tenuti in sua balìa nel momento della loro maggiore dipendenza e inermità, che poteva dare loro la vita o la morte, accadimento o abbandono. Confinando la donna nel ruolo di madre, facendola custode della casa e della sessualità, garanzia di sopravvivenza materiale e affettiva, l’uomo ha costretto anche se stesso a restare bambino, a portare una maschera di virilità sempre minacciata.

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Se è vero – come dice Freud – che “un amore felice vero e proprio corrisponde all’originaria situazione in cui non è possibile distinguere tra libido d’oggetto e libido dell’Io”, che la coppia trova la sua stabilità “quando la moglie ha fatto del marito il proprio figlio”, si potrebbe dire che per questo prolungamento dell’infanzia l’uomo non è mai andato “oltre le frontiere del narcisismo”. (2)

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Separandosi, la donna non colpirebbe perciò solo un privilegio e un potere indiscutibile della maschilità, ma l’“amore di sé”, la fonte prima, rimasta tale anche nell’età adulta, dell’ “autoconservazione”. Il fatto che chi uccide spesso riservi a sé la medesima sorte sembra esserne la conferma.

È dunque sulla famiglia che si dovrebbe portare l’attenzione, in quanto luogo che istituzionalizza l’amore nella sua forma originaria, creando vincoli di indispensabilità reciproca, destinati a diventare una minaccia per l’autonomia del singolo. Si può uccidere una donna perché troppo inglobante, oppure perché si sottrae alla presa. Se l’uomo fosse il dominatore, il vincitore sicuro di sé, non avrebbe bisogno di uccidere.

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Dobbiamo riconoscere che dietro il dominio del padre c’è la nostalgia del figlio. Forse è questa tenerezza che le donne continuano a spiare dietro la violenza dell’uomo. Verrebbe da dire che, per capire la violenza che passa nella relazione tra i sessi, bisogna interrogare a fondo l’amore, tenendo conto che le figure di genere strutturano, al medesimo tempo, gerarchie di potere e illusioni amorose.

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La possessività parla una lingua diversa nella bocca dell’uomo-padrone e dell’innamorato. Il dominio maschile non è mai venuto meno, ma da un secolo a questa parte sono avvenuti grandi cambiamenti nel rapporto tra i sessi.

Il terremoto più forte è stato prodotto dal femminismo degli anni ’70, in quanto critica radicale ai ruoli del maschile e del femminile, alla loro presunta “naturalità”, alla cancellazione della sessualità femminile e della donna come individuo/persona, alla divisione sessuale del lavoro, alla maternità come destino.

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È lì, nella sfera domestica, che le donne hanno mostrato di non volere più essere un corpo a disposizione di altri. Le separazioni, i divorzi, il numero crescente delle donne single, sono materialmente e simbolicamente la prova che la millenaria “oblatività” femminile, come “sacrificio di sé”, sta venendo meno. Di conseguenza, aumentano nell’uomo insicurezza, senso di fallimento e di impotenza, consapevolezza intollerabile della propria dipendenza, finora mascherata o rimossa.

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Se, nonostante tutto, l’idealizzazione della famiglia è così duratura, forse è perché è negli interni della case che tornano a confondersi la nostalgia dell’uomo-figlio, il potere di indispensabilità della donna-madre e i residui di un dominio patriarcale in declino.

Il saccheggio che subisce quotidianamente il nucleo famigliare per l’invasività del mercato e dei nuovi mezzi di comunicazione, se per un verso lo costringono ad aprirsi verso il mondo, per l’altro ne rafforzano la funzione protettiva e l’immagine di riserva salvifica. Il dubbio che le donne – mogli, madri, sorelle, amanti – non siano più disponibili a portarne il peso maggiore in fatto di cura e sostegno morale, è certamente una delle ragioni che mette in questo momento allo scoperto la fragilità e la violenza maschile.

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Che parte ha l’amore nel mantenere l’ambiguità che si annida in questi vincoli –famigliari, affettivi, sessuali – e che oggi, nel venir meno dei confini tra privato e pubblico, vediamo agire anche nell’economia e nella politica, nell’industria dello spettacolo e della pubblicità, dei consumi? Non è forse il fascino che ha ancora il sogno di una ideale riunificazione di “nature” diverse e complementari a rendere così difficili la volontà e la fantasia necessarie per ripensare il piacere e la responsabilità del vivere fuori dalla divisione dei ruoli, dalle gerarchie di potere e di valore che hanno segnato disastrosamente, non solo la relazione uomo-donna, ma anche tra natura e cultura, individuo e società? L’interezza l’uomo l’ha ottenuta dividendo il suo compito civile dagli interessi della famiglia, garantendosi l’accesso al corpo femminile sia come soddisfacimento erotico che come cura, sostegno morale.

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Le donne, costrette ad abbandonare il rapporto con la madre, hanno cercato inutilmente di trovare la ricomposizione – bisogno di essere nutrite e di essere amate – nell’uomo; si può pensare che abbiano rinunciato per questo alla loro sessualità, sopportato di ricevere – in cambio di amore, cure, piacere – mantenimento, denaro, doni. Non un vero scambio, perciò, e tanto meno reciprocità. Eppure l’amore, nella sua versione romantica, ha mantenuto l’illusione di poter creare – come scrive Sibilla Aleramo – una “fusione assoluta, al di sopra di ogni differenza, il miracolo che fa di due esseri complementari un solo essere armonioso”. (3)

In uno dei suoi saggi più famosi, Il disagio della civiltà, Freud descrive con straordinaria lucidità le forme che ha preso storicamente la “guerra tra i sessi”:

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“Le donne rappresentano gli interessi della famiglia e della vita sessuale. Il lavoro civile è diventato sempre più cosa di pertinenza maschile (…) la civiltà si comporta verso la sessualità come una stirpe o uno strato di popolazione che ne abbia assoggettato un altro per sfruttarlo. Il timore dell’insurrezione di ciò che è stato represso spinge a severe misure cautelative.” (4)

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“L’uomo non è una creatura mansueta, vede nel prossimo non soltanto un eventuale aiuto e oggetto sessuale, ma anche un invito a sfogare su di lui la propria aggressività, a sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, ad abusarne sessualmente senza il loro consenso, a sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, ad umiliarlo, a farlo soffrire, a torturarlo, a ucciderlo.”(5)

Ma dopo aver mostrato come l’intreccio tra Eros e Thanatos entri nella vita intima dei sessi, l’idealizzazione della coppia madre-figlio – “forse l’unica esente da ambivalenze”, tanto da poter essere presa come “modello di ogni rapporto amoroso”– gli impedisce di vedere quanto amore e odio, desiderio e paura, siano già presenti nell’esperienza che l’uomo fa del corpo che l’ha generato, soprattutto per avergli consentito di protrarre nella sua vita adulta il potere materiale e psicologico che ha esercitato su di lui bambino.

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Ha ragione dunque Pierre Bourdieu quando si chiede, nell’ultimo capitolo del suo libro, Il dominio maschile, se l’amore è “l’isola incantata”, in cui si ferma la “guerra tra i sessi” – “smarrirsi l’una nell’altro senza perdersi”, il miracolo della reciprocità, creatori/creatrici e creature -, oppure “la forma suprema, perché la più sottile, la più invisibile, della violenza simbolica”.

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“Il soggetto innamorato si vive come un creatore quasi divino che fa, ex-nihilo, la persona amata attraverso il potere che quest’ultima gli concede (…) ma un creatore che, di rimando e simultaneamente, si vive, a differenza di un Pigmalione egocentrico e dominatore, come la creatura della sua creatura. Mutuo riconoscimento, scambio di giustificazioni di esistere e di ragioni d’essere. (…) sono tutti segni della reciprocità perfetta che conferisce al circolo in cui si chiude la diade amorosa, unità sociale elementare, indivisibile e dotata di una potente autarchia simbolica (…) sostituto mondano di Dio” (6)

L’immaginario amoroso sembra parlare lo stesso linguaggio per uomini e donne, anche quando vi si accompagna la consapevolezza, nata dal femminismo , del vuoto di esistenza e di senso lasciato dall’interruzione del rapporto con la madre.
Scrive Agnese Seranis nel libro Smarrirsi in pensieri lunari:

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“È come un rinascere in ogni momento è come se istante dopo istante ti fosse di nuovo concessa l’esistenza è come un rinascere ogni minuto ogni minuto lui ti partorisce in ogni minuto si rinnova l’atto di vedere la luce. È terribile questo legame di necessità dall’altro ma è il suo abbraccio la sua fisicità che avvolge il tuo essere a salvarti (…) Ma allora la conoscenza, l’amore non sono che vie che mezzi per allontanare da sé delle minacce o una sola minaccia? La minaccia della mia distruzione del mio possibile passare all’inesistente? (…) E perché mai l’amore di mia madre non dico padre perché già non esiste come necessaria datità non mi rassicura alla stessa maniera?” (7)

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Del resto, se si leggono attentamente i teorici dell’amore romantico – Bachofen, Michelet, Mantegazza, ecc. – non è difficile accorgersi che, dietro il capovolgimento continuo delle parti – a volte è la donna-madre che sembra accogliere in sé l’uomo-figlio, altre è l’uomo che, dalla sua posizione di privilegio, si pone come figura protettiva, materna, rispetto alla donna , piccola figlia debole affidata alle sue cure – passano in realtà il potere e la centralità dell’uomo. In un rapido passaggio, da figlia la donna gli diventa moglie e madre, fonte di sussistenza e di sostegno morale. La metamorfosi è completa quando l’uomo può “rigenerarla”, fino a farla “diventare lui”. (8)

Il romanticismo ha riconosciuto alla donna un’“anima”, ma un’anima che deve nutrirsi e vivere dei pensieri degli uomini, assecondare e prevenire il loro bisogni, compenetrarsi con l’amato fino a identificarsi o sparire in lui.

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Il sogno d’amore è presente in tutta la cultura maschile, ma è stato visto come un tratto marcatamente femminile. La ragione può essere cercata nel segno che lascia l’essere stati tutt’uno col corpo della madre, ma anche il bisogno d’amore , la pretesa di infanzia, che la donna è costretta a colmare attraverso l’uomo.

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Sacerdotessa dell’amore puro, dell’“amore fusione”, “estasi”, “cosa sacra”, Sibilla Aleramo è anche la coscienza femminile anticipatrice che, all’inizio del ‘900, riesce a dissacrarlo, a vederne l’invisibile violenza, in quanto “atto sacrilego” dal punto di vista della individualità della donna, e a raggiungere lentamente “il fastidioso obbligo di vivere per sé.” (9)

“Ho bisogno di essere necessaria a un’altra creatura viva per vivere (…) Ecco l’amore è questo: l’attaccamento a una persona alla quale ci si crede necessari (…) L’amore delle donne almeno. Per otto anni io ho dato tutto di me a Franco, ho compiuto questo atto sacrilego dal punto di vista della mia individualità.”

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“Qui ci sono le opere di lui: il suo libro, in cui è qualcosa di mio, ch’egli non avrebbe scritto senza il mio amore (…) egli è tornato alla vita, come creatura umana dovrei essere orgogliosa e non lo sono e mi faccio piccola e piango.”

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“Compiacenza nel donarsi all’essere amato anche senza gioia propria (…) senso interiore di disprezzo per se stessi e considerazione esagerata per gli oppressori.”
“Il mio istinto mi dice che devo riconquistarmi (…) ma l’immagine dei giorni che verranno per me senza di lui, di libertà totale, lenta creazione in me di vita esclusivamente mia, questa immagine mi atterra, mi stempera, come davanti a un cadavere.”

A Umberto Boccioni che le rimprovera “il bacillo dell’amore unico, turbinoso, che fonde, innalza”, Sibilla risponde richiamandolo al fatto che nella stanza accanto allo studio di lui aveva visto la madre – “bella, mentre ti prepara la cena, e l’abbracci perché ti dico che è bella. Dove pensi tu ch’io distingua tra arte e natura, tra spirito e sangue? Io ho avuto in quel giorno di te un senso totale. E tu mi hai amata proprio per la mia sensibilità”.

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Fronte a fronte sono qui descritti i due aspetti dell’amore come sogno di interezza: quello “fusionale”, l’unico che le donne hanno conosciuto come praticabile, e quello maschile fondato sulla complementarità e la divisione sessuale del lavoro. Rendersi indispensabili, “far trovare buona la vita all’altro” è stato a lungo il modo alienante con cui le donne hanno cercato di riempire il vuoto apertosi all’origine nell’amore di sé. Nell’illusione di “foggiare se stesse” hanno impegnato tutte le loro energie nello sforzo di aiutare l’altro a divenire se stesso.

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La dedica che Andrè Gorz scrive nel libro dedicato alla moglie, Lettera a D. Storia di un amore, dice: “A te, Kay che, dandomi te, mi hai dato Io”. (10)

Che cosa è cambiato nel sogno d’amore? Si può ancora considerarlo una “copertura” dei rapporti di potere tra i sessi, della violenza contro le donne nelle sue varie forme?

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Col venire meno dei confini tra privato e pubblico, col prevalere delle logiche di mercato e di consumo, sono venuti allo scoperto legami, nessi che ci sono sempre stati tra i poli opposti della dualità, altri nuovi si sono creati: tra sessualità e economia, sessualità e politica, amore e denaro, amore e lavoro.

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L’amore dunque non ha più la potenza illusoria di mantenere in ombra il dominio maschile, ma se si ha fretta di smascherarlo, si rischia di non vedere quanto ha contato e conta ancora nel rendere le donne “complici” – inconsapevoli e incolpevoli – dell’oppressione che subiscono.

Bastano alcuni esempi per segnalarne le modificazioni e, insieme, le permanenze.
Il corpo e tutto ciò che con esso è stato identificato – la femminilità, le pulsioni, i sentimenti, ecc. – sono andati assumendo nella polis un protagonismo finora sconosciuto. Assistiamo oggi a una evidente femminilizzazione del lavoro, della politica, dei media, sia nel senso di una crescente presenza numerica delle donne, sia come utilizzo di qualità, competenze ritenute “naturalmente” femminili.

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Non è questa la “politicità” della sfera personale su cui sono nate le pratiche del femminismo degli anni ’70. Il trionfo delle logiche di mercato ha prodotto cambiamenti culturali, sociali, economici e politici che non ci aspettavamo. Il corpo erotico e il corpo materno non sono più il rimosso della storia: le “doti femminili” sono richieste oggi, oltre che dai servizi alla persona, dalla scuola, dall’assistenza, anche dal sistema produttivo.

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La capacità di ascolto e di mediazione, le competenze relazionali, l’affettività e la seduzione, attribuite tradizionalmente al genere femminile, sono considerate dalla nuova economia, sempre più immateriale, una “risorsa” necessaria per uscire dalla crisi, oltre che un prezioso fattore di innovazione.

La “valorizzazione della differenza femminile”, da qualsiasi parte venga – dal lavoro cognitivo, dall’industria dello spettacolo, dalla pubblicità, dagli intrattenimenti erotici dei politici, o dalle donne stesse come rivalsa a secoli di marginalità –, ha come esito l’eclissarsi della conflittualità tra i sessi, l’adattamento delle donne a nuove forme di “oggettivazione” e mercificazione, l’allargamento del “ruolo ancillare” dalla sfera domestica a quella pubblica.

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Da qui la domanda che viene spontanea: donne padrone di sè o schiave volontarie? Corpi liberati o corpi prostituiti?

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La femminilizzazione della sfera pubblica sembra dunque ammorbidire la “guerra tra i sessi” e, come nell’illusione amorosa, fa balenare la possibilità di una “tregua”. Ma proprio come l’amore , lascia aperto il dubbio che sia, per riprendere le parole di Bourdieu, una nuova forma altrettanto insidiosa della violenza simbolica. A differenza del passato, oggi i nessi tra complementarità dei ruoli e rapporti di potere tra i sessi sono più visibili, così come la spinta a riunificare ciò che la storia ha diviso.

La “potenza dell’amore” e la “coercizione al lavoro”, dopo essersi fatte a lungo la guerra sembrano oggi destinate a un ideale ricongiungimento. “Professionalità sensuale”, “intelligenza emotiva”, “pensiero emozionale”, sono le forme linguistiche che prende il sogno d’amore quando si trasferisce dalla relazione di coppia all’ambito lavorativo. Il mito dell’interezza, che accompagna da sempre la cultura maschile, come nostalgica immaginaria riparazione a tutti i dualismi che ha prodotto, viene ormai reclamato da versanti opposti: dal sistema produttivo in ricerca di “talenti” femminili al business del sesso.

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Nella sua interessante analisi della prostituzione, Uomini che pagano le donne (Edizioni Ediesse, Roma 2013), Giorgia Serughetti scrive:

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“La tarda modernità ha sconvolto, offuscato, riposizionato i confini tra privato e pubblico, tra femminile e maschile, tra la sfera dell’intimità, della sessualità, delle emozioni e la sfera delle relazioni economiche e politiche.”

A venire in primo piano è la crescente commercializzazione della sessualità come prodotto di consumo. Il corpo femminile diviene, come il denaro, una valuta di scambio. La prostituzione stessa è ormai parte di un variegato mercato di beni e servizi: locali di intrattenimento sessuale, materiale pornografico, linee erotiche, turismo sessuale. Tanto che si può parlare di un “contesto prostituzionale allargato”. Lo scambio sessuo-economico, che ha rappresentato – come scrive l’antropologa Paola Tabet (La grande beffa, Rubbettino Editore 2004 ) – il continuum tra la vita coniugale, il matrimonio e la prostituzione, tra le “donne perbene” e le “donne permale”, oggi diventa evidente.

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“Tra intimità e attività economiche esiste un continuum anziché una dicotomia. Il riferimento è alle molte figure che offrono servizi di cura retribuiti – colf, baby sitter – ma anche surrogati a pagamento dell’intimità sessuale e delle relazioni romantiche.

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Sono le esperienze di ‘fidanzate a noleggio’, sotto la dicitura di accompagnatrici, escort e top escort. Si tratta di servizi che non si limitano al soddisfacimento di impulsi o fantasie sessuali, ma offrono parvenza di un corteggiamento, di un rapporto di cura affettivo e di una reciprocità emozionale e sentimentale. L’autenticità, il romanticismo, l’intimità diventano così oggetti di consumo.” (11)

Sulle pareti urbane – dice sempre Serughetti – troneggiano corpi femminili rappresentati “con gli stessi stilemi dell’iconografia della prostituta oppure associati alla vendita di prodotti attraverso un linguaggio che richiama l’esplicita offerta di servizi sessuali”. Una “normalizzazione” del sesso a pagamento.

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“Possiamo parlare di interni postdomestici ridisegnati dal mercato in modo tale che la domesticità coniugale – con i suoi portati di calore, intimità, emozione – vi si rifletta depurandosi però al tempo stesso da ogni vincolo o onere relazionale (…) rimozione della realtà dello scambio in denaro e la rappresentazione di una complicità femminile (persino di una reciprocità) che sostiene l’identità di genere maschile.

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Le trasformazioni in corso sul mercato del sesso paiono dunque funzionali alla conservazione e all’esercizio di un potere maschile imperniato sull’accesso ai corpi delle donne, o più propriamente alla loro disponibilità, complicità e cura affettiva.”(12)

Dobbiamo concludere a questo punto che le donne cominciano a non considerare più il lavoro domestico e la sessualità al servizio dell’uomo un “dono d’amore”? Che sono più consapevoli di aver dato cure, affetto, sostegno morale, piacere sessuale in cambio non dell’amore che desideravano o di cui avevano bisogno, ma di denaro, sopravvivenza, oppure di quel successo e potere che non hanno trovato altrimenti? Possiamo pensare che i vincoli di dipendenza conosciuti nella famiglia, nella coniugalità, comincino a essere visti sempre più come un pericolo più che un rifugio e una rassicurazione?

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Un cambiamento rispetto ai ruoli e alle forme tradizionali del potere maschile c’è sicuramente, anche se tutt’altro che “neutro”. Ma come chiamare le nuove forme di complicità che vedono le donne nella posizione non più solo di “oggetti”, “corpi”, “merci”, ma “soggetti” di un volontario asservimento all’immaginario maschile, protagoniste di una rivalsa che si avvale degli stessi attributi – la seduzione, la cura materna – per i quali sono state per millenni sottomesse, sfruttate e violate dall’uomo? Mi verrebbe da dire: un’emancipazione malata.

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Note:

(1) La 27esima Ora, Questo non è amore. Venti storie raccontano la violenza domestica sulle donne, Marsilio Editori, Venezia 2013.

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(2) Freud, Introduzione al narcisismo, in Opere, vol. 7, Boringhieri, Torino 1975, p. 445.

(3) “Sibilla Aleramo. Un pudore selvaggio, una selvaggia nudità”, in Lea Melandri, Come nasce il sogno d’amore, Rizzoli, Milano 1988 (ristampa Bollati Boringhieri, Torino 2002.

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(4) Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri, Torino 1971, p.238.

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(5) Ibid., p. 246.

(6) Pierre Bourdieu, Il dominio maschile, Feltrinelli, Milano 1998, p. 129.

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(7) Agnese Seranis, Smarrirsi in pensieri lunari, Graus Editore, Napoli 2007.

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(8) Jules Michelet, L’amore, Rizzoli, Milano 1987, p. 64, 95, 58, 106.

(9) “Sibilla Aleramo”, cit.

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(10)Andrè Gorz, Lettera a D. Storia di un amore, Sellerio Editore, Palermo 2008.

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(11) Giorgia Serughetti, Uomini che pagano le donne, Edizioni Ediesse, Roma
2013, p.161.

(12) Ibid., p. 315.

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