Selfiegate!

La Casa Bianca potrebbe arrivare a bandire i selfie con il Presidente. Come la nuova moda fotografica sta diventando un affare di Stato, anche per colpa di Samsung.

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Redazione Modifica articolo

2 Maggio 2014 - 01.00


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di Pietro Minto.

Il primo aprile scorso il giocatore di baseball David Ortiz ha
incontrato Barack Obama. Seguendo un rito dei nostri tempi, l’atleta ha
sfoderato il suo Samsung Galaxy Note 3 invitando il presidente
statunitense a un “selfie”. “Farsi un selfie” è, per i meno informati,
un protocollo sociale che ha conquistato l’intrattenimento e la
politica: come spiegavamo
circa un anno fa, si tratta di una tecnica fotografica sbocciata con la
diffusione globale degli smartphone – e le loro fotocamere – per la
quale il possessore del telefono si auto-fotografa solo o in compagnia.
Il risultato finale è stato questo tweet, un notevole successo social
con più di 40 mila retweet.
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A prima vista è una normale foto frutto di una prassi ormai
consolidata; come si è poi scoperto, però, si è trattata di una manovra
pubblicitaria di Samsung, colosso tecnologico sudcoreano, che aveva
pagato Ortiz per farsi lo scatto col presidente, e pochi mesi prima
aveva sponsorizzato la serata degli Oscar durante la quale la
presentatrice Ellen DeGeneres si era prestata a un selfie con un
capannello di star hollywoodiane. Il tweet di Ellen è diventato in poche
ore il messaggio più ritwittato nella storia del social network, altro
successone social per Samsung.

Se DeGeneres è un’artista, una star televisiva, Obama è pur sempre il
Presidente degli Stati Uniti d’America, qui “sfruttato” a sua insaputa a
scopi commerciali. Nei giorni seguenti l’affare-Ortiz è cominciato a
circolare il rumor di una «messa al bando dei selfie presidenziale», presto smentita
dallo staff di Obama. Nonostante ciò si è comunque attivato un
meccanismo mediatico dotato di vita propria e dal retrogusto di
“scandalo” che è riesploso la scorsa settimana quando Obama ha rifiutato un selfie con una ragazzina di tredici anni durante una visita a Seoul: lo chiamano selfiegate (*), questo è il suo nome nella versione Casa Bianca, ed è un leggero fastidio che ha assunto sfumature di scandalo.

Ma come e quando il selfie è diventato un affare di stato? Per quanto riguarda il quando,
la risposta è facile: più o meno nello scorso anno e mezzo, rimbalzando
da programma televisivo a evento mondano, da Instagram alla
televisione. Per il come, procederemo empiricamente: guardatevi
attorno, sfogliate i vostri contatti digitali e inorridite davanti al
diorama di faccioni in primo piano, osservate quanto una pessima idea
(farsi un autoscatto) sia diventata prassi comune, quasi il timbro per
ufficializzare un incontro. (Ho incontrato Pippo Baudo, selfie; questa è
la mia nonnina tanto cara, selfie; questo invece è il mio vicino di
casa, selfie.) Ha ragione Mat Honan di Wired quando dice che «il selfie si sta mangiando la cultura» diventando IL
formato fotografico dei nostri tempi, buono per un sorrisone da
campagna elettorale, per una foto profilo su Facebook, per la promozione
di evento mondiale come, per uno Snapchat etereo da spedire agli amici.
Ed è una parola, selfie, che, nata nel mondo dei giovani, si è diffusa anche in quello più attempato, abbattendo ogni barriera tecnologico-linguistica.

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Come ogni fenomeno culturale anche questo raggiungerà però il suo apice e vivrà una crisi: in molti stanno aspettando il peak selfie,
lo zenith di popolarità dell’autoscatto social al quale
seguirebbe ineluttabile la decadenza. O il cambiamento. Perché è errato
pensare alla “fine” del genere, visto che da fotografia si è trasformato
in rito sociale, in gesto; è un abbraccio, e gli abbracci sono duri a
morire. È invece lecito ipotizzare una regolarizzazione del selfie, un
suo inserimento nel sistema culturale contemporaneo, specie se ad essere
fotografato è un personaggio pubblico. Il selfiegate –
continuiamo a chiamarlo così – segna la fase due del genere, quella
della maturità. È un gesto social, certo, quindi sociale e di certo
politico. Da qui il rifiuto di Obama alla povera ragazzina che chiedeva
una foto, e da qui la rabbia della Casa Bianca quando ha scoperto che
un’innocua foto aveva trasformato il Presidente Usa – l’uomo più potente
del mondo – in un testimonial.

Come spiega una ricerca
condotta nel Regno Unito, il selfie è uscito dal regno della fotografia
amatoriale per diventare un oggetto culturale a sé stante,
potentissimo, che rimbalza di medium in medium raggiungendo una
copertura di pubblico globale. Il selfie degli Oscar, per esempio è
stato visto dal 70% dei possessori di smartphone britannici e il 58% di
questi ignorava fosse stato sponsorizzato da Samsung. Uno sponsored content
perfetto: d’enorme successo eppure discreto. Per un Vip la tentazione è
altissima: farlo non costa niente, è facile e risulta sempre un
messaggio chiaro, positivo. Anche Narendra Modi,
candidato conservatore in ascesa alle elezioni indiane in corso, deve
averlo pensato quando si è fotografato al di fuori del seggio per
gridare a tutto il mondo: “Ho votato!”. Peccato che nel selfie tenga in
mano un fiore di loto, simbolo del suo partito, cosa che va contro la
legge sulla propaganda politica nel giorno delle elezioni. Uno scatto
che ha fatto aprire un’inchiesta ai suoi danni – il tutto per un tweet.

A ulteriore conferma di una cultura mondiale a trazione statunitense,
in Italia il selfie sembra ancora navigare nelle placide acque del
trendy, anche se si segnalano i primi segnali di un peak in
avvicinamento: il selfie dilaga in qualsiasi programma televisivo
(insieme all’utilissimo #hashtag di riferimento) e ha attratto pure
l’attenzione di Gianni Alemanno, che pochi giorni fa pubblicato un video
d’avanguardia (girato probabilmente con una fotocamera in fase di
scioglimento) in cui invita i suoi elettori a mandargli autoscatti per
far capire all’Europa chi comanda. Il documento è ipnotizzante: gli
slogan vuoti e senza senso, il goffo balzo nel carrozzone delle “nuove
tecnologie”, il formato verticale, la cornice che sembra essere mossa
dal vento.

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Un video che, oltre a essere un’ottima pubblicità per la troika,
potrebbe rappresentare il peak selfie italiano. O almeno lo speriamo.

(*) È comunque d’uopo ricordare che Obama è lo stesso Obama che si è fatto un selfie durante il funerale di Nelson Mandela: #funeralselfie #fail #WTF.

Fonte: http://www.rivistastudio.com/editoriali/politica-societa/selfie-obama-samsung/.

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L”illustrazione con il finto selfie di Winston Churchill proviene da una campagna pubblicitaria del quotidiano sudafricano Cape Times.

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