di Alessia Lai.
Hanno aspettato, con pazienza e lavorando ai fianchi il Venezuela.
Dopotutto il fallimento straordinario – e probabilmente inaspettato
nella Stanza Ovale – del golpe del 2002 fece capire agli Stati Uniti che
a Caracas non avrebbero avuto gioco facile. Ci hanno allora provato con
le rivolte “colorateâ€, le stesse che di volta in volta avevano avuto
successo in Ucraina, Serbia, Georgia. Lontano dall’America Latina ma con
gli stessi strumenti: studenti indottrinati dal Canvas e finanziati
dalla Ned. Non hanno mollato: per anni il Javu, le Manitas Blancas,
hanno provato a direzionare le manifestazioni antigovernative, a
trasformarle in rivolte violente contro Chávez. Lavorando nell’ombra,
ogni tanto hanno provato a saggiare il polso della situazione,
coordinando le opposizioni, istruendo finanziando generosamente i gruppi
di “giovani dissidentiâ€. Ma niente. La Rivoluzione e Chávez,
resistevano. Bisogna dire che a Washington però non si arrendono
facilmente. E che hanno qualche potente divinità dalla loro parte: una
entità suprema che fa ammalare di cancro il capo della Rivoluzione
bolivariana (e numerosi altri presidenti latinoamericani “antipaticiâ€
alla Casa Bianca) portandolo alla morte nel 2013.
La Rivoluzione, orfana da due anni, combatte ancora oggi una guerra
economica e mediatica senza quartiere. Da quando è alla guida del paese,
Nicolás Maduro impiega tempo e sforzi per cercare di parare gli
attacchi interni e esterni (espressione delle stesse mire) contro il
Venezuela. L’ultimo golpe – rispetto al quale gli Usa hanno, ovviamente,
declinato ogni responsabilità – è stato sventato a metà febbraio,
preceduto da una campagna diffamatoria messa in atto contro il
presidente del Parlamento e vicepresidente del Psuv, Diosdado Cabello, e
dalle sanzioni imposte da Washington a numerosi diplomatici venezuelani
accusati di violazioni dei diritti umani nei confronti degli oppositori
antigovernativi.
La risposta di Maduro è stata, il 1 marzo scorso, la decisione di
imporre il visto d’ingresso obbligatorio per i cittadini nordamericani,
una restrizione al numero e alle attività dei diplomatici statunitensi a
Caracas e una lista nera di personalità Usa indesiderate. È la
prosecuzione dei difficilissimi rapporti che la Rivoluzione chavista ha
avuto sin dal suo principio con gli ex “padroni di casaâ€. Nel 2008 Hugo
Chávez aveva sperato, per poco tempo, che l’elezione di un presidente
nero alla Casa Bianca avrebbe cambiato le cose. Ma realtà era ed è che
le più grandi riserve di idrocarburi del mondo hanno benedetto e
maledetto la terra venezuelana, regalandole la risorsa fondamentale che
ha permesso la Rivoluzione chavista ma anche rendendola oggetto delle
bramosie di chi, come chi comanda a Washington, non ha mai smesso di
considerare l’America Latina come una sua pertinenza.
Ora, a due anni dalla morte di Hugo Chávez, nel pieno della
destabilizzazione che cerca di affamare la popolazione e che rappresenta
il governo Maduro come un regime repressivo e sanguinario, gli Usa, con
il loro presidente Nobel per la pace, sembra abbiano deciso di calcare
la mano in vista elezioni parlamentari venezuelane che si terranno a
settembre. Lunedì, Barack Obama con un ordine esecutivo ha annunciato
nuove sanzioni contro sette funzionari venezuelani, affermando che il
Venezuela rappresenta una «minaccia inusuale e straordinaria per la
sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti». Secondo
alcuni funzionari statunitensi si tratta di un procedimento già seguito
nei confronti di paesi come Iran e Siria: dichiarare qualsiasi paese una
minaccia per la sicurezza nazionale è il primo passo per iniziare un
programma di sanzioni. In un Venezuela già duramente colpito
dall’accaparramento che ha causato e causa scarsità di beni di prima
necessità , un programma di sanzioni sul modello di quelle iraniane e
siriane, contro le banche e le relazioni commerciali, o un blocco navale
nel mare caraibico grazie alla IV flotta ripristinata nel 2008,
potrebbe aggravare la situazione, impedendo a Caracas di commerciare e
acquistare all’estero i prodotti necessari alla popolazione. Al nuovo
attacco statunitense, che occorre non sottovalutare in un momento
storico nel quale l’unipolarismo statunitense si vede fortemente
minacciato dalle alleanze tra potenze emergenti, Nicolás Maduro ha
risposto martedì chiedendo al Parlamento l’approvazione di una Ley
Habilitante Antiimperialista che gli consentirebbe di varare
direttamente leggi in difesa della pace e della sovranità della nazione.
L’Assemblea Nazionale del Venezuela ha approvato, mercoledì, in prima
discussione, il progetto e domenica si terrà il secondo passaggio in
aula. Gli strumenti di integrazione latinoamericana, l’Unasur e l’Alba,
hanno immediatamente respinto le dichiarazioni nordamericane contro
Caracas. Venerdì scorso il segretario dell’Unasur, Ernesto Samper, era
in Venezuela per verificare i passi avanti del dialogo politico nel
paese e ha incontrato le autorità venezuelane, ma anche esponenti delle
opposizioni, invitandole ad accettare le regole democratiche specie in
vista delle prossime elezioni. E in quell’occasione aveva sottolineato
che “Tutti gli stati membri dell’Unasur, senza eccezione, respingono
qualunque tentativo di destabilizzazione in Venezuelaâ€.
Solo pochi giorni dopo è arrivata la nuova dichiarazione di Obama,
duramente criticata dalla stessa Unasur, che – secondo quanto anticipato
martedì dal presidente dell’Ecuador Rafael Correa – la prossima
settimana vedrà riunirsi i capi di Stato allo scopo di emettere un
comunicato congiunto sulla ultima ingerenza nordamericana nelle
questioni interne di un paese membro. Anche l’Alba, la Alianza
Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América –Tratado de Comercio de
los Pueblos (Alba-TCP), ha respinto con forza le dichiarazioni
aggressive degli Stati Uniti contro la Repubblica Bolivariana del
Venezuela.
Nella notte di martedì, inoltre, Maduro ha ordinato l’esecuzione, per
il prossimo sabato, di una «esercitazione militare difensiva speciale»
invitando la popolazione ad appoggiare le Forze armate e la Milizia
nazionale in una simulazione necessaria a rimarcare i punti difensivi
del paese. Il Venezuela ha la forza per difendersi e «deve essere
preparato perché non sarà mai né la Libia né l’Iraq» ha affermato il
capo dello Stato. Ma le parole usate stavolta da Obama contro il
Venezuela sono cariche di gravi implicazioni. Definire un paese
straniero un pericolo per la sicurezza nazionale significa apporre il
marchio del nemico, riservandosi qualunque genere di azione nei suoi
confronti. In Messico, fedele alleato degli Usa, spariscono
quotidianamente giovani manifestanti, sindacalisti, lavoratori che osano
contestare il governo. Tutto nel silenzio della stampa internazionale e
nel disinteresse dei vicini di casa a stelle e strisce, mentre è il
Venezuela a diventare un pericolo imminente. La realtà è che la vera
minaccia per gli Usa è la dimostrazione, data dalla storia della
Repubblica bolivariana, che ci si può liberare dalla loro morsa
soffocante.
Fonte: http://spondasud.it/2015/03/obama-prepara-il-colpo-decisivo-al-venezuela-7644.
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