Il 15 novembre 2014, in occasione del G20 di Brisbane, il presidente Barack Obama ha preso l’iniziativa di riunire i suoi omologhi giapponesi e australiani. Questi colloqui informali con Abe Shinzo e Anthony Abbott si sono incentrati sui problemi della difesa. I due uomini rappresentano i pilastri del sistema americano di sicurezza nel Pacifico occidentale, che comprende Taiwan e Corea del Sud. E entrambi condividono la stessa preoccupazione rispetto alle pressioni frontaliere esercitate dalla Cina sui suoi vicini.
Le posizioni di Tokyo nei confronti di Pechino sono note: continuano a essere impregnate di una diffidenza che le nuove tensioni a riguardo delle isole di Diaoyu-Senkaku non contribuiscono a dissipare, malgrado i rapporti crescenti fra le economie delle due potenze dell’Estremo oriente. La posizione di Canberra, invece, meno commentata in Europa, testimonia un sostegno assoluto nei confronti di Washington a cui è legata da un patto militare vecchio di 63 anni.
Una delle maggiori basi statunitense di informazione satellitare all’esterno del territorio degli Stati uniti è situata nel centro dell’Australia – a Pine Gap, vicino a Alice Springs. Gli australiani, inseriti nel sistema mondiale di ascolto e intercettazione pilotato dal Pentagono hanno seguito, senza storcere il naso, gli Stati uniti nelle spedizioni recenti più controverse, dall’Iraq all’Afghanistan. Con un budget per la difesa in aumento del 6 % nel 2015 (1), il paese pianifica un potente rafforzamento della sua marina, e ha ulteriormente riaffermato l’importanza di questo rapporto firmando, il 12 agosto 2014, un nuovo accordo con gli Stati uniti per il dispiegamento di duemilacinquecento marines americani nella base di Darwin nel nord dell’Australia.
Infine, nessuno dimentica che il 17 novembre 2011 Obama ha ufficialmente annunciato davanti al Parlamento australiano l’avvio della nuova strategia di riequilibrio della presenza americana verso l’Asia (2).
Ciò nonostante, fra il molto conservatore Abbott, che dalla sua elezione nel 2013, nega il riscaldamento climatico e la necessità di contenerlo, e Obama, che ne ha fatto un elemento fondamentale della sua politica, i rapporti sono glaciali. Dal 17 al 19 novembre 2014, sulla scia del G20 di Brisbane, l’australiano ha colto l’occasione della visita di Stato del presidente cinese, Xi Jinping, per avviare un inedito avvicinamento con la Cina, affrancandosi così volontariamente dagli avvertimenti, insolitamente solenni, del suo omologo statunitense.
Verso la prosperità commercialePrima di lasciare Brisbane, Obama aveva scelto di riassumere la situazione nel Pacifico alla sua maniera: «La domanda che abbiamo di fronte è quindi la seguente: quale scenario si prospetta per l’Asia-Pacifico nel secolo a venire? Andremo verso migliori condizioni di integrazione, di giustizia e di pace o verso il disordine e il conflitto? Le nostre scelte sono: conflitto o cooperazione? Oppressione o libertà ?(3)».
Questo discorso polarizzato ricorda in modo sorprendente la celebre alternativa fra i «modi di vita» stabilita dalla dottrina Truman (4) all’alba della guerra fredda. Se ne è accorta la stampa australiana, mentre Abbott ignorava ostentatamente il suo omologo statunitense, celebrando invece con calore la partnership sino-australiana.
La visita del presidente cinese che ha attirato l’attenzione di tutto il paese è stata l’occasione per un rafforzamento dei legami bilaterali, segnati in particolare dalla firma, il 19 novembre, di un ampio accordo di libero scambio (5) e dall’inaugurazione del primo forum dei capi degli esecutivi regionali dei due paesi. Xi è un fine conoscitore dell’Australia di cui ha visitato quasi tutti gli Stati prima della sua ascesa alla carica suprema nel marzo 2013. La sua prestazione è stata giudicata molto positivamente dalla stampa australiana che ha sottolineato i «due auspici» formulati nel suo discorso – molto applaudito – davanti al Parlamento: «Il primo è di raddoppiare il reddito procapite entro il 2020. (…) Il secondo è di trasformare la Cina in un paese socialista che sia prospero, democratico, culturalmente sviluppato e armonioso, entro la metà del secolo (6)». Solo i Verdi, tramite la loro leader, la senatrice Christine Milne, hanno osato interpellare Xi sulla situazione di Hong Kong e sul trattamento dei prigionieri politici cinesi. Abbott, quanto a lui, ha evocato il «sole scintillante» delle relazioni Canberra-Pechino.
Si sono fatte sentire, tuttavia, alcune critiche. Per Hugh White, professore al Centro studi di strategia e di difesa dell’Università nazionale australiana, la politica di Abbott incrina pericolosamente l’equilibrio che l’Australia ha sempre saputo preservare fra il suo radicamento nella regione asiatica e la sua solidarietà occidentale: «[Abbott] naviga a vista fra due poli potenti della regione, tenendosi un giorno a fianco degli Stati uniti e il giorno successivo della Cina, senza che la destinazione finale sia chiara. (…) In realtà , non possiamo permetterci di allinearci con nessuno dei due. Il discorso di Obama dimostra che non ha alcuna risposta da offrire alle ambizioni cinesi se si esclude la resistenza senza compromessi, e senza potenza, rappresentata dalla strategia del «pivot» – e sappiamo che questo non funziona. Xi dimostra come l’obiettivo cinese sia escludere completamente gli Stati uniti dall’Asia e neanche questo funziona per noi (7)».
Tuttavia questa opinione, pur traducendo bene la difficoltà per l’Australia di equilibrare le sue alleanze nel Sud-Est e nell’Est asiatico, sembra sottostimare la pesante tendenza al riavvicinamento sino-australiano che, sul lungo periodo e al di là del caso paradossale di Abbott, sembra destinato a rafforzarsi. Dichiarando che Canberra non percepiva la Cina «come un avversario», l’ultimo Libro bianco della difesa australiana, pubblicato nel 2013, aveva già contraddetto quello del 2010 – parecchio aggressivo verso Pechino. La prossima edizione di questo documento, prevista per il 2015, non tornerà certo ai toni del 2010. Può darsi che vi si trovi la nozione di «Indo-Pacifico», visto il tentativo dell’Australia di allargare e riequilibrare la sua zona d’azione geopolitica includendovi il partner indiano. Dopo la visita di Abbott in India, nello scorso settembre, il primo ministro indiano Narendra Modi ha effettuato un soggiorno ufficiale in Australia dal 16 al 18 novembre, e si è rivolto alle due Camere riunite del Parlamento – un evento storico. Ma, prescindendo da quest’ultimo elemento e dall’opposizione australiana all’aggressiva politica marittima di Pechino (8), numerosi analisti considerano che le relazioni diplomatiche fra Cina e Australia sono a una svolta importante, tanto più significativa perché avviene con un governo che a priori non sarebbe stato portato a una politica così realista.
Il 21 ottobre 2014, alcune settimane prima della riunione del G20, la classe politica australiana ha salutato unanimemente la memoria di Gough Whitlam che si era spento all’età di 98 anni. Oggi sconosciuto al di fuori del suo paese, questo vecchio capo di governo laburista fu il primo dirigente australiano a riconoscere la Cina comunista nel 1972. Una decisione, all’epoca, assai criticata. I tempi sono cambiati e Whitlam oggi viene celebrato come un visionario. La Cina è diventata – e di gran lunga – il primo partner commerciale dell’Australia. Dai pesci d’allevamento ai minerali ferrosi, le esportazioni australiane dipendono fortemente dalle evoluzioni dei consumi e degli investimenti del gigante asiatico. Nel 2013 hanno superato i 100 miliardi di dollari australiani (68 miliardi di euro), contro i 16 miliardi verso gli Stati uniti; mentre le importazioni di prodotti cinesi raggiungevano i 50 miliardi di dollari (34 miliardi di euro) (9).
Un milione di cittadini d’origine cinese vivono e lavorano in Australia. Consapevoli delle trasformazioni regionali in corso e della nuova interdipendenza che creano fra le due nazioni, alcuni membri dell’élite australiana sostengono l’importanza di guardare alla Cina con uno «sguardo nuovo». Per Richard Hawke, ex primo ministro, «la politica internazionale asiatica è in pieno sconvolgimento. (…) Cominciamo appena a prendere le misure della potenza e della prosperità cinesi e anche delle sue ambizioni, e a posare uno sguardo ragionevole sulla sua identità profonda (10)».
«Come un uomo grande in mezzo alla folla»Nel maggio 2014, è stato creato un Istituto per i rapporti sino-australiani (Australia-China Relations Institute, Acri), diretto da un ex ministro degli affari esteri, Richard Carr. Il direttore aggiunto dell’Acri, il Dott. James Laurenceson, riassume la posta in gioco del binomio Pechino-Canberra in termini quantomeno concreti: «Quali sono le opportunità e le sfide che creerà il passaggio alla classe media di cinquecento milioni di cinesi di qui al 2021? Questo sviluppo storico avrà delle implicazioni enormi per l’Australia, dalle miniere all’agricoltura passando dai servizi (11)».
L’industria turistica ha già fatto pressioni sul governo Abbott affinché il numero di visti concessi ai cittadini cinesi aumenti considerevolmente per permettere ai gruppi nazionali di approfittare delle occasioni offerte dal nuovo trattato di libero scambio. Non è detto che la strategia statunitense del «pivot» sia in grado di contrastare l’attrazione che calamita sempre più le relazioni sino-australiane, e questo nonostante tutti i secondi fini – reali – in termini di sicurezza. Nel suo discorso davanti al Parlamento australiano, tre anni esatti dopo quello del «pivot» pronunciato da Obama, nello stesso luogo, Xi ha usato una metafora che ha fatto scalpore: «La Cina, ha detto, è come un uomo grande in mezzo alla folla. Gli altri si chiedono, ovviamente, come egli si muoverà e agirà (12)». L’Australia, più di tutti gli altri, osserva questo fenomeno che sovrasta l’insieme dei suoi vicini inquieti. Ma diversi indizi lasciano supporre che, contrariamente ad altri, il suo sguardo sul «uomo grande» stia mutando da diffidente apprensione in curiosità affascinata.
* Professore associato di scienze politiche e relazioni internazionali all’università Jean-Moulin Lyon-III.
Note:(1) Zachary Keck, «Australia boosts defense spending 6.1%», The Diplomat, 16 maggio 2014, http://thediplomat.com
(2) «Remarks by president Obama to the Australian Parliament», Casa bianca, Washington Dc, 17 novembre 2011.
(3) Leonore Taylor, «G20: Barack Obama uses visit to reassert Us influence in Asia Pacific», The Guardian, Londra, 15 novembre 2014.
(4) In un discorso pronunciato davanti al Congresso degli Stati uniti il 12 marzo 1947, il presidente Harry Truman si era presentato come il campione del «mondo libero», con una concezione bipolare delle relazioni internazionali.
(5) Evento che ha rubato la scena sulla stampa australiana alla visita di Stato del presidente François Hollande, tenutasi lo stesso giorno.
(6) Discorso davanti al Parlamento australiano, 17 novembre 2014.
(7) Hugh White, «Abbott clueless on how to handle US and China», The Sydney Morning Herald, 25 novembre 2014.
(8) Kirk Spitzer, «Australia chooses sides – And it’s not with China», Time, New York, 6 maggio 2013.
(9) Comunicato del dipartimento degli affari esteri e del commercio, 21 maggio 2014.
(10) Discorso all’Asia Pacific Forum dell’università del Qweensland, 17 novembre 2014.
(11) Maggie Wang, «China economy specialist to set research agenda for new think tank», Uts Newsroom, 1° agosto 2014, http://newsroom.uts.edu.au
(12) Discorso davanti al Parlamento australiano, 17 novembre 2014. (Traduzione di Alice Campetti)
Articolo pubblicato sul Le Monde diplomatique di gennaio 2015.
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