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Morte della civiltà?

'Civiltà, potere e bellezza ai tempi dell''Isis. Intervista a Franco Rella. [Monica Pepe]'

Morte della civiltà?
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9 Aprile 2015 - 17.20


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di Monica Pepe

Franco Rella, a partire dalla distruzione da parte dell”Isis della porta di Nergal sul sito di Ninive e di altre impronte della storia dell”umanità, come si relaziona questa epoca con la civiltà e con la bellezza?

Benjamin ha scritto che ogni documento di cultura è anche un documento di barbarie. Una passeggiata nei Fori Imperiali a Roma ne è una straordinaria illustrazione. Certo, con il passare del tempo il monumento, eretto per celebrare una vittoria, e di converso una sconfitta, si allontana dall”occasione che lo ha generato. Non testimonia più un potere attuale, ma piuttosto l”opera del tempo che si deposita su di esso, lo modifica, spesso lo risignifica.

Accanto al Monumentum, vale a dire a ciò che deve essere ricordato, c’è la damnatio memoriae, ciò che deve essere dimenticato. Dall’antichità ai nostri giorni la gestione della memoria e la gestione dell’oblio sono state strumenti politici, strumenti di potere.

Nella distruzione dei monumenti di Mosul c’è però qualcosa che va oltre la damnatio memoriae. È una operazione di barbarie, ma di barbarie ultramoderna, addirittura postmoderna. I capolavori a cui l’uomo dovrebbe legare la sua memoria o addirittura la sua identità vengono spostati di qui e di là scopi turistici ed economici, o addirittura promozionali, o propagandistici, come lo sono le distruzioni di Mosul. Su Botticelli all’EXPO non caleranno magli e martelli, ma orde di turisti a decretarne la sostanziale insignificanza culturale.

Cosa ritroviamo della cultura classica nelle forme della violenza dell”Isis? Cosa possiamo opporre a quelle immagini primitive che ci mostrano le testate mozzate?

Ancora una volta la barbarie dell’ISIS è ultramoderna, spettacolare, cinematografica, o meglio da serie TV.

Ha scritto Arjun Appadurai che nel periodo della globalizzazione si sono moltiplicati episodi di violenza immane, che è penetrata con ferocia chirurgica all’interno dei corpi, dilaniandone le carni. Dalla Bosnia negli Anni novanta del secolo scorso, al Ruanda, e via via fino agli orrori attuali è stata una catena di delitti, una striscia ininterrotta di sangue. L’Isis è andato oltre. Ha massacrato centinaia e migliaia di persone, ma ha spettacolarizzato la singolarità. Una vittima, un coltello, un carnefice, un corpo senza testa. È una gestione sapiente dell’orrore. Si pensi come l’uccisione con una lama implichi un rapporto diretto, inequivocabile, carnale, tra i corpi della vittima e del carnefice.

E” ormai condiviso che l”Isis sia un prodotto della presidenza Bush. Cosa pensa dell”atteggiamento delle potenze occidentali in questa fase?

Bush è colpevole di molte cose. Già Bush padre con la Guerra del Golfo aveva trasformato, come aveva scritto Asor Rosa, un piccola guerra locale in una guerra mondiale: una guerra senza conflitto effettivo, una guerra dell’epoca della globalizzazione. Bush figlio ha proseguito. Ma non solo lui. Tutto l’occidente si è trovato – dopo l’Irak e dopo l’Afghanistan – a gestire conflitti per delega, anche quando, come in Libia, c’è stato intervento diretto. E ovunque ha lasciato dietro di sé caos e violenza.

Oggi c’è chi chiede un intervento di polizia internazionale contro l’Isis. I pacifisti ironizzano sull’elmetto indossato dai fautori dell’intervento. Ora, al di là del pericolo paventato dall’Occidente, assistiamo a veri e propri etnocidi: intere tribù e intere popolazioni eliminate per il loro credo religioso o per la loro etnia. Era giusto intervenire contro Hitler e cercare di fermare l’olocausto? Non era forse giusto magari intervenire anche prima.

Come Lei ricorda nel suo ultimo libro ”Forme del sapere”, Tucidide nella Guerra del Peloponneso disse: “Noi crediamo che per legge di natura chi è più forte comandi”. Che ruolo gioca il potere nella relazione tra uomini?

Il potere strega, affascina: chi lo esercita e chi lo subisce. Penso all’immane sforzo di Pier Paolo Pasolini per fronteggiare il potere in Petrolio, facendo stuprare il suo personaggio, trasformandolo in donna, sgretolando la forma stessa del romanzo, per concludere che anche organizzando il mondo in un’opera d’arte si esercita una forma di potere. Penso a Kafka che, come dice Canetti, ha combattuto il potere in tutte le sue forme, per riconoscere nelle lettere alla fidanzata, Felice, che egli era bensì, come lei, vittima, ma al tempo stesso era anche carnefice.

Dunque esercitiamo sempre una qualche forma di potere, e sempre in qualche forma lo subiamo. Si tratta di essere costantemente vigili. Non piegarsi ad esso, riconoscerlo, resistere alla sua seduzione.

Come è cambiata la relazione dell”uomo con la conoscenza e con il conflitto?

Direi che la conoscenza è ormai così diffusa che rischia di diventare un rumore di fondo, di ottundere la nostra percezione dei conflitti e della loro durezza. Diventa perfino difficile, nell’iterazione degli omicidi dell’Isis, convincerci che quello che vediamo è sangue vero.

Il suo prossimo libro sarà sul tempo. Come si è organizzata la società nell”azzeramento della velocità e dell”attesa?

Ho parlato poco fa della gestione del tempo e della memoria come un atto di potere e di dominio. Qual è il potere che gestisce oggi l’immane memoria della rete? A quale fine? Posso citare i nomi dei proprietari di Google, di Amazon, di Facebook. Non mi dicono nulla. Questa è l’epoca in cui uno dei più formidabili strumenti di potere della storia dell’umanità scivola nell’anonimato, si fa oscuro e indecifrabile.

Si fa neutro proprio come le operazioni di borsa computerizzate che distruggono l’economia di una nazione, o creano profitti scandalosamente osceni per i singoli. Inoltre la rete spinge a vivere il tempo in istanti submicroscopici, tempi segmentati fatti solo di “ora”: da un”“ora” a un altra “ora”, senza che questo tempo possa diventare una memoria individuale.

Mi chiedo se non sia in atto un processo di desoggettivazione, in quanto il soggetto può dirsi tale soltanto se in possesso di una propria memoria e di un proprio tempo. La damnatio sarebbe in questo caso la cancellazione della memoria individuale. Foucault concludeva il suo ultimo seminario invitando alla “cura di sé”, a costruirsi come soggetti e a mantenersi soggetti. Foucault sapeva come questo processo di soggettivazione fosse sempre a rischio.

* Franco Rella: filosofo e saggista, ha insegnato per anni Estetica allo IUAV di Venezia. Ha interpretato la disciplina come un luogo di frontiera e di scambio tra arte e filosofia, muovendosi in entrambi i territori. È autore di saggi sull’arte, la letteratura, la filosofia. Tra le sue pubblicazioni più recenti ricordiamo L’enigma della bellezza (2006), La responsabilità del pensiero (2009), Interstizi. Tra arte e filosofia (2011), Ai confini del corpo (2012). Nel 2013 ha firmato il saggio “Figure del tempo”, introduzione al secondo volume dell’Enciclopedia delle arti contemporanee, a cura di A. Bonito Oliva. [url”Zeroviolenza”]http://www.zeroviolenza.it/[/url] lo ha invitato a presentare il suo utimo libro a Roma, “Forme del sapere. L”eros, la morte, la violenza” (Bompiani, 2014).

(9 aprile 2015)

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