‘di Stefano Galieni
Questo articolo è uscito su [url”ZeroViolenza.it”]ZeroViolenza.it[/url] il 26 maggio 2015, viene qui pubblicato per gentile concessione dell”autore.
[center]***[/center]
Roma, periferia est, fermata metro Ponte Mammolo. Di quello che c”era dell”accampamento che da tempo sorgeva in Via Delle Messi D”Oro, non resta altro che macerie, tende da campo e rifiuti. O meglio, restano le persone, poche di mattina quando si è in città per cercare cibo, una doccia, il modo per guadagnare qualche euro, a decine e decine la notte, quando insieme è più facile affrontare la fine di un altro giorno.
Lo sgombero operato l’11 maggio scorso, con una violenza assurda, con le ruspe, all’inizio senza neanche permettere ai richiedenti asilo, ai profughi, ai migranti presenti di raccogliere le proprie cose, persino i propri documenti di identità , requisito formale per poter mantenere speranze per il futuro, ha lasciato il segno. Non solo la notizia ha attraversato l’oceano finendo persino sul N.Y. Times ma ha aumentato il già alto tasso di diffidenza, paura e sfiducia nei confronti delle istituzioni che dovrebbero aiutare invece che reprimere.
Invano l’assessora alle politiche sociali del Comune di Roma, Francesca Danese, si è recata in continuazione sul posto, ha cercato e in parte trovato una sistemazione per le persone più vulnerabili, ha cercato di contattare il maggior numero di coloro che risultano sgomberati, è anche riuscita ad ottenere il blocco delle ruspe con cui si pensava di rimuovere il problema. Passi avanti ne sono stati fatti, almeno nella individuazione dei bisogni, ma ancora in parecchi restano esposti all’aperto. Non vogliono tornare nei centri di accoglienza in cui spesso hanno trascorso periodi lunghissimi, parcheggiati come pacchi in attesa di essere smistati, vogliono vivere liberi, alcuni vogliono anche potersene andare via da questa Italia maledetta che poco offre e tanto fa soffrire, raggiungere un sogno in Nord Europa, trovare un fratello, una madre, un cugino per ricominciare daccapo, ma non è facile.
Ma Ponte Mammolo è un esempio, il più recente, di fallimento della politica nazionale ed europea in materia di immigrazione e Roma sembra incapace, malgrado alcuni sforzi lodevoli, di mostrarsi diversa. Sono in migliaia le persone che, pur avendo ottenuto una forma qualsiasi di protezione internazionale, vivono in condizioni perverse, fra gli spazi informali di aggregazione, sempre a rischio di sgombero, le angherie delle questure. Per alcuni mesi infatti anche il rinnovo dei permessi di soggiorno è stato negato in assenza di iscrizione anagrafica, in barba a tutte le leggi nazionali e le convenzioni internazionali, gettando in pratica in uno stato di irregolarità o costringendo a comperare residenze false persone che dovrebbero sentirsi invece protette e che hanno addirittura la carta d’identità rilasciata dal Comune.
Il “decreto Lupi†vieta infatti di poter risiedere senza contratti di affitto; a questo si è aggiunta la scelta di non considerare valide le dichiarazioni di residenza presso associazioni come il Centro Astalli (gesuiti) o altre strutture preposte. Il tutto per evitare che le residenze fittizie divenissero strumento di abuso. Il caos insomma, temporaneamente sanato da una circolare ministeriale, ma che non risolve un problema che riguarda migliaia di persone. Si sta tentando di aprire centri di accoglienza piccoli e diffusi sul territorio, per accogliere gli altri che stanno arrivando ma è bastato che qualche quotidiano “casualmente†legato ai mercati immobiliari, pubblicasse la loro ubicazione per far esplodere minacce razziste, creare allarme fra gli abitanti dell’area individuata, far infuriare gli amministratori locali.
La vicenda di Ponte Mammolo è insomma terribilmente esplicativa di un percorso in cui il locale e il globale si interconnettono. Ed è il percorso che va raccontato e ripetuto, quello di persone che fuggono da guerre, arrivano in paesi dove vengono depredati, detenuti e subiscono violenze, si imbarcano sperando di arrivare in Europa e vedono l’Italia e altri paesi del sud Europa solo come zone di transito.
Ma è illegale arrivare in Europa, (non esistono canali regolari per entrare), si finisce in mano di trafficanti senza scrupoli in un mare dove l’U.E. spende miliardi per sorvegliare le frontiere ma non per soccorrere (1800 morti accertati in 5 mesi) e poi si resta bloccati nel primo paese di approdo. Il Regolamento Dublino, che impedisce la libera circolazione in Europa per i profughi, è l’esempio evidente dell’egoismo nazionalista che ancora governa il continente. La nuova agenda che l’U.E. sta mettendo in campo, incontrando solo l’opposizione di poche forze politiche, invece che cercare di affrontare un problema connesso alle guerre che è destinato a produrre ancora profughi, si pone obbiettivi non solo ingiusti ma inutili e inapplicabili.
Si vorrebbero bombardare i barconi al largo della Libia per impedire le partenze, ma chi ci dice che non si uccidano innocenti? Ci si rende conto che questo significa scatenare un conflitto ancora più forte nell’area a cui non si è preparati? E soprattutto si vuole capire che barconi e trafficanti sono l’effetto e non la causa delle migrazioni? Si vorrebbe confinare i profughi in campi nei paesi limitrofi a quelli di fuga selezionando lì coloro che possono entrare in Europa. Ma ci si rende conto che in quei Paesi, come Niger e Sudan non sarà possibile garantire uno standard minimo di rispetto dei diritti umani?
Ci si impegna ad accettare in 2 anni 20 mila persone da dividere nei 28 paesi U.E. ma, ci si rende conto di quanto esigua sarebbe questo numero? Nei primi 5 mesi del 2015 sono giunte solo in Italia 60 mila persone alla ricerca di protezione. Come si giustifica questo impegno ridicolo a fronte di un continente di 509 milioni di abitanti che detiene gran parte delle ricchezze mondiali?
Insomma, al di là delle dichiarazioni di facciata cresce il proibizionismo sulle persone, si finanziano frontiere e rimpatri coatti, si pensa così di costruire l’Europa. Associazioni, sindacati, tessuto democratico italiano ed europeo stanno tentando di organizzare in contemporanea mobilitazioni per rifiutare l’assurdità di tali scelte politiche. In Italia, si dovrebbe scendere in piazza il 20 giugno a Roma, nella giornata internazionale del rifugiato, partendo da una frase eterna di Alex Langer: «L’Europa nasce o muore nel Mediterraneo».
(26 maggio 2015) [url”Link articolo”]http://www.zeroviolenza.it/archivio-news/item/71224-leuropa-nasce-o-muore-nel-mediterraneo[/url] [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.es/[/url]‘