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I punti ciechi dell'alternativa

Una nota psicologica sui fiaschi della politica anti-sistema. [Paolo Bartolini]

I punti ciechi dell'alternativa
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1 Agosto 2015 - 17.24


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di Paolo Bartolini

Che parte dovrebbe avere la riflessione “psicologica” nell’ambito della critica radicale del capitalismo? Non è facile rispondere a questa domanda, anzi è impossibile se restiamo dentro al paradigma ancora dominante che vede nella psicologia una disciplina, medico-sanitaria, che mira a normalizzare il disagio e le devianze, consolidando l’idea di salute come adattamento allo stato di cose presenti. Muovendoci su questo piano rimarremmo dentro il recinto del biopotere, come alcuni anni orsono ha notato Miguel Benasayag nel suo bel libro “La salute a ogni costo” (Vita e Pensiero, 2010).

La reazione immediata a un “discorso sulla psiche” di questo tenore rischia, come spesso è avvenuto, di tradursi nel culto compiaciuto della marginalità, del “patologico”, o nella contestazione preventiva di qualunque apporto psicologico al dibattito politico. Troviamo, in questa dicotomia banalizzante e riduzionista, la frattura insanabile tra chi si interessa ai soli individui (che diventano sempre più individui soli) e chi esclusivamente alle dinamiche collettive. Questo è l’effetto di una cultura, quella occidentale, a lungo fondata sull’atomismo epistemologico e sulla diffidenza verso la complessità.

Ecco allora che, sul versante della critica al capitalismo, abbiamo spesso assistito a un primitivismo psicologico che andava di pari passo con un’incapacità profonda di autocritica. Il soggetto, con tutte le sue componenti psico-biologiche plasmate fin dalla nascita dal contesto culturale di appartenenza, è il crocevia dove si incontrano e riproducono le dinamiche di dominio (con i relativi stili di vita imposti), ma è anche il “luogo” creativo dove prendono forma inedite possibilità di convivenza con gli altri esseri umani. Le cosiddette forze anti-sistema, che sono comunque composte di individui tra loro interagenti, peccano di superficialità ogni qual volta sono chiamate a interrogarsi sulle motivazioni profonde e sui modi relazionali che i loro membri mettono in atto.

Mentre, dunque, è facile trovare nella classe politica odierna di centro-destra e centro-sinistra dei tratti di personalità ormai stabili (opportunismo, senso di realtà scollegato dal possibile, culto della persona, concezione dell’individuo come micro-impresa che deve autovalorizzarsi, utilitarismo, sottomissione compiaciuta ai vertici della piramide di potere, disprezzo o indifferenza per chi non è portatore di capitali: denaro o pacchetto voti, ecc.), è invece più ostico, per i paladini della contestazione, un esame sincero dei propri tic, delle proprie insicurezze e dei punti ciechi che comunque esistono.

Elenchiamo allora alcuni caratteri che meritano di essere riconosciuti, non fosse altro che per comprendere i motivi dell’assenza protratta di un’egemonia culturale.

Un primo aspetto che colpisce è la certezza di avere la verità in tasca. Dal mondo cinquestelle alle piccole sette dell’ultrasinistra, troviamo una difficoltà notevole ad aprire i propri confini, a farsi inclusivi e dialoganti. Che il dogma sia la rivoluzione, o il superamento della dicotomia destra-sinistra, il punto è quello di una difesa identitaria che viene sempre prima del confronto delle idee. Questo non è strano, perché le identità hanno bisogno anche di contorni e di confini stabili, ma in questo modo la sensazione è che non si diano luoghi di vero incontro (laddove l’esperienza può modificare almeno in parte i preconcetti di ciascuno).

Un”altra costante è l’oscillazione veloce e implacabile tra idealizzazione e lutto rabbioso. Il caso Tsipras ha dimostrato ampiamente che, in politica, anche i critici del sistema conoscono solo il codice binario “successo/fallimento”, “vittoria/infamia”, “salvatore/traditore”. Dopo il duro colpo susseguente alla firma dell’accordo tra Grecia e creditori, si è scatenata la canea intorno ad Alexis Tsipras, reo di aver deluso le aspettative di molti ammiratori. Anche su questo si sono fatti notare, per accanimento 2.0, alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, che prima hanno raggiunto Atene per festeggiare il referendum (con implicito desiderio di rafforzare il consenso attorno alla propria proposta di referendum sull’euro in Italia), per poi dare a Tsipras del vigliacco sostenendo che loro, nella stessa situazione, avrebbero fatto ben di meglio!

E così arriviamo a un altro aspetto, decisamente clinico, della galassia anti-sistema: il voler insegnare sempre agli altri come ragionare correttamente. Non possiamo escludere che questa pretesa impropria si sia infiltrata anche tra queste righe, ma a noi non preme distinguerci, bensì metterci in discussione insieme ai nostri compagni di viaggio. Quello che invece sentiamo davvero alieno è il piacere di sentirsi parte di un gruppo esclusivo e ristretto, impermeabile alle critiche e fieramente isolazionistico (questa turba appartiene di diritto alla sinistra dei duri e puri, quelli che hanno più partiti e capetti che elettori).

Infine non possiamo dimenticare una tara di prima grandezza che funesta la tenuta complessiva di qualunque progetto di trasformazione dell’esistente: l’abitudine a semplificare tutte le problematiche, aggrappandosi a slogan e soluzioni surreali. Sempre la questione greca ci ha offerto, su questo piano, esilaranti conferme, ad esempio quando si è suggerito al premier greco di uscire dalla moneta unica facendo leva su Putin. La realtà si è rivelata un tantino più complessa, visto che Tsipras ha chiesto effettivamente aiuto alla Russia, alla Cina e persino agli USA, non ottenendo nessun riscontro.

In conclusione rileviamo che l’autoriferimento continuo, la presunzione di verità, la chiusura al dialogo, il riduzionismo e la difficile regolazione delle emozioni (individuali e di gruppo), sono i primi punti ciechi che dovremmo illuminare e affrontare se vogliamo davvero essere alternativi al sistema. Altrimenti il rischio è quello di rimanere prigionieri della dialettica che istituisce il rapporto tra potere e anti-potere, vincenti e sconfitti, padroni e salariati. A nulla vale, allora, sbertucciare i Renzi di casa nostra e altri ceffi della Casta, se poi ci facciamo portatori di un modo di stare al mondo che assomiglia tanto a quello di chi vive in ritirata, “felice” nella sua riserva indiana mentre si torce le budella pensando ai “ricchi stronzi che pretendono di avere la verità in tasca”.

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