Mondazzoli: prova di forza o segno di debolezza?

Il più grande mangia quello appena più piccolo. Un’ordinaria storia di capitalismo... [Radio Blackout]

Mondazzoli: prova di forza o segno di debolezza?
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9 Ottobre 2015 - 06.31


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da Radio Blackout

“Parliamo di rapporti di produzione” diceva Bertold Brecht nel 1935 a Parigi, intervenendo all’assise degli scrittori contro il fascismo. Le stesse parole andrebbero usate oggi, in mutato contesto e su un differente merito, per commentare la recente acquisizione del gruppo editoriale Rcs (fino a ieri, il secondo conglomerato del settore) da parte di Mondadori, che da oggi, ci viene detto, controllerà il 40 % del mercato editoriale italiano. Il più grande mangia quello appena più piccolo. Un’ordinaria storia di capitalismo, in cui la concentrazione di capitale tende a processi di oligopolio in quasi ogni settore mercantile (si tratti di auto, cibo, farmaci… o merce-sapere/merce-informazione). Non che s’intende qui negare il carattere particolare e ambivalente delle merci cognitive, ma questo implicherebbe comunque un discorso molto più ampio non riducibile al solo fenomeno della concentrazione produttiva.

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La Sinistra (in questo caso rappresentata dai suoi intoccabili intellettuali à la Umberto Eco) grida invece allo scandalo della mancata libertà di espressione, all’inaridimento, alle pressioni sugli “autori” (questa sopravvivenza ideologica mefitica di cui non ci si è ancora liberati). Dove vivono costoro? Lo sanno che l’omologazione di Bompiani o Rizzoli non è poi così diversa da quella proposta da Mondadori? Ma soprattutto, si sono resi conto o no in che tempi viviamo (pensano ancora di lavorare per le legatorie medievali)? E noi… davvero pensiamo che la partita sulla libertà di espressione oggi si giochi sulla presunta indipendenza di un gigante editoriale da un altro?

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L’editoria è un settore come un altro, sottoposto a una più feroce concorrenza non solo dal consolidarsi di trust sempre più grandi ma anche dalla pressione tecnologica-sostitutiva dei formati digitali, su cui l’editoria italiana è in ritardo (ritardo capitalistico, certo, ma è appunto di questo che stiamo parlando). Da questo angolo prospettico la presunta aggressività imprenditoriale di Mondadori nasconde allora forse una debolezza strutturale ben più profonda (non a caso si vocifera di possibili nuove acquisizioni di veri giganti internazionali del settore).

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L’intellettualità di sinistra di casa nostra pensa invece ancora (o fa finta di pensare – il che mostra la malafede e i sordidi interessi di bottega che difende) alla realtà dell’editoria e della censura (che è sempre all’opera ma in forme molto più sottili, capillari e pervasive) come all’Indice dei Libri Proibiti della Santa Inquisizione o al «”Min.Cul.Pop.» mussoliniano. Nessuna domanda si pone invece circa le condizioni di vita e lavoro delle decine di migliaia di precari/e che sgobbano nelle redazioni di riviste, case editrici, siti web per poco più di un instabile e risicatissimo salario di sopravvivenza (quando c’è, date il ricorso sempre più usuale a stage, tirocinii e varia produzione di capitale umano… rigorosamente non pagato!).

Appunto, parliamo di “rapporti di produzione!”.

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(8 ottobre 2015)

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