‘di Giuseppe Genna*
(19 novembre 2015) È di oggi la [url”notizia”]http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Parigi-Criticano-la-guerra-di-Hollande-sospesi-da-Facebook-lo-scrittore-Genna-e-Cecilia-Strada-09b29f16-45d1-4d13-9626-c5ad6548cb0d.html?refresh_ce[/url] della sospensione da parte di Parigi dell”account facebook di Giuseppe Genna, per aver espresso la sua posizione contro la guerra di Hollande. Esprimiamo solidarietà a Giuseppe Genna per l”atto di censura di cui è stato oggetto, ringraziandolo per averci concesso di riprendere qui i suoi testi.
*Le questioni affrontate in questi articoli, apparsi all”indomani dei tragici eventi di Parigi, ci aiutano a inquadrare uno scenario che la gran parte dei commentatori mistifica o apertamente contraddice, organi politici e mezzi d”informazione in particolare. Prese di posizione forti – e aggiungiamo necessarie – quelle di Giuseppe Genna, che sono un monito irriducibile all”interpretazione critica della realtà e al tempo stesso disvelamento dell”inganno mediatico a cui stiamo assistendo. Un segnale affinché si produca – o almeno si tenti di produrre – quel salto di qualità nella consapevolezza dell”opinione pubblica, di cui oggi si sente un grande bisogno. (pfdi)
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NON IN MIO NOME, SIGNOR HOLLANDELa grazia tribale con cui l’interdizione dell’umano, che ha nome François Hollande, spedisce alle stelle la civiltà contemporanea dell’occidente europeo è, a conti fatti, ammirevole e sconsiderata. Il disvelamento della barbarie, in fondo, non ha altra funzione che mettere in luce il passato, come qualunque disvelamento: l’apocalisse interessa molto i materialisti e gli storicisti proprio per questa sua funzione di gazzetta dello sport e della vicenda che abbiamo alle spalle. C’è un assolutismo tutto francese, che si radica ai primordi dello Stato occidentale, i quali primordi ovviamente conclamavano libertà fraternità e uguaglianza, a patto che liberi e fraterni e uguali fossero *loro* prima e, quindi, *noi*.
Dopo avere ricreato per tanto tempo, ricreandosi con goffa esecuzione del fa-da-te geopolitico lo stesso Califfato asimmetrico, i cui confini attualmente e sempre non ci è dato conoscere, gli occidentali appaiono vindici quanto i loro speculari fratelli medievisti islamici, sessuofobi e arretrati almeno al modo in cui l’opinione pubblica occidentale, di cui lo stesso Hollande è interprete e vittima, esprime un moralismo da feudalesimo, quando tronca alle sue leadership le corna che giustamente e allegramente mettono alle consorti pachidermiche, altrettanto giustamente e allegramente condotte al soglio pontificio del potere istituzionale.
Come un mullah tracagnotto e ben più letale del suo comico predecessore, a cui ha sempre nuociuto il cognome mitteleuropeo, quel Sarkozy che è tutto questione di moralismo, viste le chiavate sadomaso con una exmodella neocantante dal consistente patrimonio, François Hollande si solleva nella venerabile Aula e ulula il richiamo bellico, arcaico e privo di conturbamento oramai: ci hanno ucciso les citoyens, mo’ uccidiamo loro. Ignora il passato coloniale che, a colpi di Marsigliese, condusse i cisalpini a fare così con i negroni del Centrafrica e anche dell’Africa del nord, zone tuttora sotto controllo di questa comunità che parla con la “r†blesa e a stento abdica alla superiorità nella produzione di formaggi e vini. Dice questo coboldo che tante se ne è fatte prima e durante l’Eliseo: “Non è una guerra di civiltà , perché questi assassini non ne rappresentano nessuna. Sono vigliacchi che hanno sparato sulla folla disarmataâ€.
In questa denegazione radicale dell’altro, io, autore di un controverso nonromanzo che si intitola “Hitlerâ€, riconosco la quintessenza stessa dell’agire occidentale, cioè hitleriano. Quelli là hanno infatti una civiltà coi controcoglioni e, se vuoi, pure un’efficienza occidentalista che la Svizzera se la sogna: dagli altri dieci anni e ci rubano i cervelli in fuga, visto come sta funzionando il welfare del Califfato. Qualunque esperto di controspionaggio è conscio del disastro di cui l’amministrazione Hollande è responsabile, in particolare grazie al suo ministro degli interni, che velocemente si è trasformato in un ministro delle interiora, quelle lasciate sul selciato in una notte di follia e di entusiasmo radicale, e il cui cognome dice tutto: si chiama infatti Casanova. Le falle nel lavoro di intelligence sono a dire poco clamorose. L’esposizione del popolo al massacro potenziale e quindi attualizzato è criminale. La colpa è di Hollande, omìno che ha deciso di bombardare in Siria e Mali con euforica nonchalance. Che la popolazione non gli faccia pagare il prezzo dovuto è un sintome da stress postraumatico.
Questa cosa degli incivilissimi bantù è tipica dello snobismo a cui inglesi e francesi si sono abituati nel tempo. Il terrorismo algerino ai tempi di Boumedienne è assai ravvicinabile per caratteri a quello che ha colpito Parigi: non è terrorismo, è guerra di posizione. La differenza specifica europea sta qua: non solo crea la situazione, ma va a medicarla nel momento in cui gli anticorpi si attivano nel tessuto che il Vecchio Continente ha lacerato e infettato. Complimenti al borghese medio che Hollande rappresenta: egli non esiste più, ma continua a uccidere. Ogni volta denegando che continua a farlo: ammanta di inizio drammatico il conflitto, ripetutamente. Mi viene da dire: non in mio nome, presidente, anche se io non sono francese, è che Lei è europeo e davvero sta agendo in mio nome.
Serve un’ulteriore rivoluzione francese. Dubito che prenderà corpo. I nuovi barbari, a guardare bene, siamo noi, e i barbari non fanno alcuna rivoluzione.
(16 novembre 2015)[center]***[/center]
NOVEMBER 14, 2015 AT 11:52AMNel baillamme di reazioni gastroenteriche, a cui questa fase del digitale fornisce la più meschina delle microvisibilità e che davvero mette a nudo una cifra notevole di ciò che l’occidente suppostamente sviluppato è in realtà , mi asterrei dallo scrivere qualunque cosa. Se lo faccio, è perché ho potuto studiare, vent’anni orsono, lo sviluppo di una questione che riguarda il continente che abitiamo. Tali studi condussero a riflessioni, le quali costituirono una delle strutture narrative, del tutto antiletteraria, di un mio libro assurdo, l’orrendo thriller che si intitolava “Gotha†e Mondadori reintitolò “Non toccare la pelle del dragoâ€.
La questione è lo stato di guerra perenne che l’occidente cosiddetto sviluppato pone come protocollo di colonialismo, soft solo in apparenza, ovunque nel globo, in un passaggio storico che realizza effettivamente il crollo del recente passato bipolare (il 1989 è ieri, secondo i parametri storicamente più assennati). Ciò che le coalizioni occidentali, anzitutto euroamericane, compiono in Medioriente e nelle zone di dissesto a matrice variamente islamica, purtroppo, non è che emerga con continuità in effetti a vantaggio della pubblica opinione.
Per esempio, non è che tutti sappiano cosa gli occidentali hanno fatto coi droni ai bambini in Yemen: un massacro devastante, al cui confronto le stragi di Parigi sono un’aggressione irrilevante dal punto di vista militare. Ci si potrebbe informare in proposito, all’istante, dando un senso alla propria commozione per i fatti di Francia, che in queste ore giustifica la deresponsabilizzazione collettiva praticata inconsultamente quando i fatti di Francia non accadono, andando a vedersi quel capolavoro che è “Dirty Warsâ€: [url”http://bit.ly/1YawpRI”]http://bit.ly/1YawpRI[/url].
Il passaggio dal mondo bipolare a una geopolitica così cangiante da non essere nemmeno più geopolitica, come dimostrano i fatti in Libano di qualche anno addietro, così come il prezzo del mantenimento di una colonia di controllo e di un asse geopolitico fondamentale per l’occidente, quale Israele nei fatti è anche, comporta che la guerra sottotraccia non solo si intensifichi a livelli di impercezione, per via dell’estensione, coordinata o meno, del suo raggio – ma impone anche un’intensificazione temporale, ovvero che la guerra sia stabilmente intronata come attività quotidiana della vita stessa di quella massa di masse che l’occidente incarna. In questo protocollo di esistenza politica, il soggetto individuale sperimenta un paradosso assai innovativo e tuttavia perenne nell’interminata storia del potere: uno è attivo politicamente senza accorgersene.
Qualunque francese è di fatto da anni in stato di guerra, anche se non richiamato al fronte, poiché la guerra è uscita dalla manifestazione pesante e dura che ebbe nel Novecento e il fronte oggi è nebulizzato. Ogni francese sta combattendo in Mali, ogni francese sta sganciando bombe in territorio siriano, ogni francese continua a opporsi alle più varie falangi in Iraq. La normale esistenza quotidiana del parigino medio non contempla la sensazione e nemmeno la sensibilità rispetto a questo stato di cose, così come non è percepita la sensazione di essere agenti effettivi di un massacro roboante e continuo e sempre “esterno†per via dei consumi che ci si permette di praticare a Parigi come a Roma come a New York. Grondi sangue e non te ne accorgi. La reazione vociante di chi oggi grida all’umanità sotto attacco, e cioè qualunque osservatore che abbia accesso ai mezzi informativi, è non soltanto ipocrita, ma essa stessa è un atto di belligeranza all’interno di un protocollo bellico che ha raggiunto lo stato atmosferico: sono, in pratica, opinioni funzionali allo sviluppo del conflitto perenne. In ciò risulta sommamente ridicolo e proditoriamente tragico il fatto che un intero continente non si doti delle strumentazioni necessarie a sostenere quanto fa: ovvero la guerra.
Il fatto che l’Europa attenda da vent’anni di costituire le proprie strutture di intelligence militare unica, per esempio, fa ridere qualunque militare. E’ ciò che pagano i servizi segreti francesi, il cui fallimento sul campo è pari esattamente a quello degli americani nel 2001. Ora, è chiaro che possono esserci fondati sospetti su quanto l’intelligence Usa fece e disfece ai tempi delle Torri Gemelle; però lo stesso non si può dire degli apparati francesi, a nemmeno un anno dai fatti di Charlie Hébdo. Il fallimento delle funzioni difensive interne è del tutto proporzionale all’intensità con cui si attacca l’esterno. Sono i paradossi storici della guerra asimmetrica e non ci vuole molto a comprenderli, mentre ci vuole molto a tollerare umanamente questa situazione per nulla intricata e facilmente leggibile. Anche in questo caso si misura la vaporizzazione del testo e della leggibilità testuale del mondo. Uno pensa che stia andando giù la letteratura, ma sbaglia: sta andando giù la percezione di essere al mondo, con tutte le responsabilità che comporta stare in questo mondo, che mangia vegano e legge on line del razzo con cui un drone avrebbe incenerito Jihady John, senza sapere nulla e perché e percome. In questa fenditura, l’intellettuale politico ritrova la consistenza di parte del suo studio e di metà del suo in interrotto discorso.
Buongiorno, bambini.
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NOVEMBER 15, 2015 AT 11:15AMC’è da ringraziare qualche centinaio di persone, che ieri hanno ripreso un intervento circa lo stato di cose capace di generare la situazione che si vive e si muore in Paris, per cui attualmente stanno pregando in molti, ma non è vero che pregano, lo dicono così, alla cazzo, con l’immaginetta, social o meno, con i colorini della bandiera francese, qualcosa che oramai si vede soltanto alle partite di calcio o fuori dai posti di polizia, il che nel caso dello Stade de France coincide, come del resto ovunque in Europa. Tuttavia la condivisione di quell’intervento buttato giù in due minuti e da più parti ripreso, davvero lo scrivo senza desiderio di offesa per alcuno, mi ha abbattuto: è un’analisi minima, semplicistica, è unicamente un microinvito, non c’è alcun elemento che inviti all’indagine e, di fatto, non c’è stata dialettica intorno a quanto lì si asseriva.
E’ imbarazzante, ma anche tragico. Poiché a questo siamo ridotti: all’intervento di superficie, che pare profondo, in un tempo che è criminogeno, che è suppurante di impliciti spirituali della consistenza del pus batterico. Nessuna domanda circa la lotta all’Isis o su cosa sostituisce la geopolitica ad altezza 2015, tantomeno interlocuzioni circa il futuro o la consistenza della controcultura (che *è* la cultura) a cui ricorrere per comprendere organicamente la situazione storica in cui viviamo. C’è poco da sorprendersi, Genna: il ruolo dell’intellettuale questo è oggidì. Possiamo per esempio affrontare l’orripilante slogan “Pray for Parisâ€, mettendolo in correlazione a un antico adagio, che il bimbominkismo imperante (ha fortemente attecchito tra i 40/60enni) oblia o ignora proprio: si sa, Parigi val bene una messa. Nella civiltà del testo avrei specificato: Enrico IV si introna fingendosi cattolico, per tenere in mano la situazione in cui si coagula il sangue versato in trent’anni di guerra civile tra personaggini che si ritenevano vicari del dio delle guerre in terra di Francia. Un Borbone val bene una messa in culo, dopotutto, sempre.
Di messe in culo il potere non ne risparmia, essendo una forza stabilmente attiva nel regno umano sul pianeta terra, questa escrescenza storica che è un borbonismo evolutivo racchiuso in pochi vergognosi millenni. Se, tuttavia, la storia della specie giunge effettivamente a un orizzonte degli eventi come l’attuale, capace di fare intuire l’avverarsi di una singolarità storica, anche la storia del potere è pronta a disvelare una sua capacità mutagena e a trasformare se stessa. Il problema sarà piuttosto se si avvertirà il lutto per l’abbandono di una forma storica per l’appunto millenaria. Sapete?, un robot non è islamico e non ha in testa di chiavare molto le più belle fighe che c’è o di guadagnare palate di dindini sonanti. Questo problema, ovvero l’imminenza di un possibile salto di specie, non soltanto culturale ma proprio biologico, è davvero coperta dall’imbecillità generale in cui è precipitato il comparto sociale dell’occidente che, del val bene una messa, ha fatto la propria poetica costante, finché si è scordato che esiste la poetica e anche la messa.
Capirete che sto usando paroloni e salti di senso, pur con una ferrea coerenza argomentativa, che chiunque conosca la testualità può ricostruire in un attimo: e faccio ciò per ottenere meno like e condivisioni, per ridurre a un peso plumbeo il tutto e fare percepire l’attrito dell’aria e del mondo, in questo medium esaurito che un tempo fu noto come: lingua. Sempre stando alla civiltà del testo, sarebbe apparso come fascista uno slogan che impone la preghiera per una città fatta di citoyen. Sarebbe immediata la percezione che proprio *noi* siamo attori di una guerra di religione: non c’è che questo, lì, nelle tre paroline con il cancelletto: c’è tutta la religione. Il vomitus matutinus che impulsa la lettura del quotidiano è naturale reazione antagonista a quest’opera di elevazione della Cazzata Occidentale a statuto religioso: le *nostre* libertà sono attaccate, i *nostri* valori, i *nostri* costumi, i *nostri* luoghi. Lo scrittore Paolo Giordano arriva addirittura ad affermare sul Corriere del Tramonto che hanno attaccato i *nostri* templi: i bistrot dove prendiamo l’aperitivo sentendoci in compagnia di Julia Roberts.
A questi sintomi del tremendo che imponiamo al mondo con la nostra feroce esportazione, quella davvero *nostra*, dovremo opporre una conoscenza analitica della situazione mondiale e del transito storico; e, nel caso non abbiamo voglia, dovremo fidarci di chi compie quest’opera per noi e dovremo farci dettare la linea. Hai voglia a mettermi sei o sette like se tratto dell’allucinante politica turca contro i curdi, che permette a Isis di spadroneggiare e fare un po’ quello che vuole con il suo medioevismo contemporaneo. Hai voglia a darmi del matto per anni, in quanto mi studio l’intelligence e cerco di offrirti una propedeutica sull’argomento in appassionanti e vendutissimi thriller d’antan. Hai voglia, in questi giorni, a rispolverare l’epiteto se ti narro di una futurologia che nemmeno è new age, ti fa proprio paura e ti costringe a inarcare il sorrisetto di scetticismo che tutto allontana e da tutto protegge. Io sto dicendo che devi sapere che la copertura del fenomeno politico (atmosferizzazione della guerra, dissoluzione del tessuto sociale interno all’occidente, dissociazione del potere dall’umano biologico) è congeniale a un passaggio storico che sta avvenendo a una velocità mai vista nell’intera vicenda umana: l’uscita dall’umano per come materialmente si è conosciuto nei millenni.
Quindi, riassumendo: studia pure la vicenda orrenda dello scontro militare in atto, che è ubiquo e ad apici locali e tecnologici e antropologici: se non ti frega nulla di questo, non sei mio fratello, non sei mia sorella. Però ti dico: non fermarti lì. Ascolta un cretino, ascolta un matto, ascolta un milanese imbruttito, separandoti dal divertimento privo di risata che l’ultimo meme ti concede in queste poche settimane di vita digitale che hai esperito: il punto cruciale è un altro, il punto politico è un altro, sta al termine di un tratto evolutivo della specie, adesso sta per accadere che il tuo sistema nervoso sarà nanointegrato e non te ne accorgi e, se te ne accorgi, pensi che il discorso sia di ordine tecnologico e non abissalmente politico.
Non si tratta di compiere profezie, ma di aggregare popolazione intorno a una consapevolezza in cui sfumano le distinzioni tra storico e assoluto. E pensa che nemmeno è lo stato finale della questione: che sarebbe invece entrare nella pratica metafisica. Su quest’ultimo aspetto, non ti rompo i coglioni o le ovaie. Sul resto, non smetterò di martellare finché respiro, mi spiace.
Che peccato di colpo avere perso tutta l’audience e i like!
Buonanotte, bambini: Parigi prega per voi.
* Giuseppe Genna è nato a Milano il 12 dicembre 1969. Ha lavorato in televisione (nel 1991-92 a Odeon Tv; per la Rai nel 1995), presso la rivista mensile Poesia (Crocetti Editore), come attaché alla Presidenza della Camera nel 1994-95, per Mondadori nei settori New Media e Libri nel 1996-99, a Clarence.com nel 1999-2002, per RCS Libri nel 2006-07, nuovamente per Mondadori Libri nel 2007-10. Insieme al regista Gilberto Squizzato ha scritto una fiction, SUOR JO, andata in onda su Rai3 nel 2005. Nel 2006 è stato chiamato a fare parte delle Giurie della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (sezione Orizzonti). Dal 2006 collabora con Vanity Fair. Dall’aprile 2011 è consulente editoriale presso il Saggiatore. Presiede l’associazione Studi e pratiche della coscienza. Ha pubblicato romanzi, saggi e racconti, in Italia e all’estero. Tra i suoi ultimi libri: Fine Impero (minimum fax, 2013), La vita umana sul pianeta Terra (Mondadori, 2014), Io sono – Studi, pratiche e terapia della coscienza (Il Saggiatore, 2015). Il suo sito web è [url”www.giugenna.com”]www.giugenna.com[/url].
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