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Il Golpe Labour: prove generali di anti-democrazia

Pochi in Italia sanno che nel cuore dell’Impero occidentale, alfiere dei principi democratici, è in corso un altro silenzioso colpo di Stato.

Il Golpe Labour: prove generali di anti-democrazia
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20 Luglio 2016 - 18.17


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di Leni Remedios

BIRMINGHAM (Regno
Unito) – Mentre in Turchia si consuma un golpe fallito (seguito da un contro-golpe
fin troppo riuscito), pochi in Italia sanno che nel cuore dell’Impero
occidentale, alfiere dei principi democratici, è in corso un altro silenzioso
colpo di Stato, che assomiglia moltissimo a delle prove generali di
anti-democrazia. Un esercizio di anarchia del potere, per usare le parole di
Pier Paolo Pasolini. Un esercizio che, se funziona, potrebbe creare un
precedente e venire esportato altrove. Stiamo parlando della turbolenza in seno
al partito laburista britannico.

Se pensate che il
partito sia in ragionevole tumulto perchè un suo leader precedente – Tony Blair
– è sotto la pesante accusa di crimini di guerra, dopo la
pubblicazione del Chilcot Report, vi sbagliate di
grosso. I parlamentari pro-Blair sono troppo impegnati ad oscurare questa
brutta faccenda puntando i fari sull’«ineleggibile» socialista Jeremy Corbyn.

In un’epoca in
cui tutti i protagonisti della campagna referendaria, uno alla volta, si sono
dati in vergognosa ritirata (David Cameron, Boris Johnson – poi riciclato come
ministro degli Esteri- Nigel Farage, Andrea Leadsome), l’unico che vuole
restare al suo posto in un momento così difficile per il paese è proprio lui,
Corbyn, nonostante l’intero establishment politico-mediatico lo voglia cacciare
via. Perch
é tutto questo accanimento?

Andiamo ai fatti
con ordine.

Dopo la vittoria del Brexit al referendum,
l’ala “New Labour” del partito laburista – il gruppo di parlamentari chiamati
anche ‘Blairites’, poichè si rifanno alle politiche anni ’90 di Tony
Blair – ha votato in massa la sfiducia verso il neo-leader Jeremy Corbyn, reo
di non aver condotto adeguatamente la campagna referendaria. Invece di cogliere
la palla al balzo per compattarsi come partito e biasimare David Cameron – il
Primo Ministro tory responsabile di aver promosso il referendum – con questa
mossa i blairites hanno deciso di promuovere una scissione all’interno del loro
stesso partito. In altri termini hanno deciso per un apparente suicidio
politico.

Dico apparente
perchè si sa come in realt
à la visione
politica di molti parlamentari laburisti sia ormai vicinissima a quella delle élites, i cui vasti interessi sono
garantiti anche dai Conservatives. Una situazione di “centrismo neo-liberista”
che è molto simile anche a quella del nostro paese, rispecchiante l’universale
tendenza di ‘”livellamento al centro”, che bolla sistematicamente tutte le
altre alternative come “estremiste” e che incita i media collusi a fare lo
stesso.

Contemporaneamente
alla sfiducia al leader di partito,
si è assistito a dimissioni di massa dei ministri del governo ombra, nella
continuazione di quello che è stato definito a tutti gli effetti come un
“coup”, un golpe.

Uno ad uno hanno
lasciato il gabinetto, illuminati dai riflettori dei media mainstream, e
ripetevano allo sfinimento lo stesso mantra degradante riferito a Corbyn:
“ineleggibile”, “vuole dividere il partito”. Il paradosso sta proprio qui.
Ineleggibile non perch
é non rappresenti
la volontà popolare (anzi, ha il pieno sostegno della base!); bensì perch
é non rappresenta i parlamentari Labour, la maggior parte
dei quali, ripeto, sono fedeli alle politiche di Tony Blair. E suona stridente
– per non dire ipocrita –  come gli
stessi parlamentari in ammutinamento, che hanno creato la spaccatura in seno al
partito, abbiano accusato ed accusino altri di essere responsabili della
divisione.

Le dichiarazioni
degli ammutinati fioccavano ad ogni ora. Addirittura un parlamentare dichiarava
alla stampa di sapere che Jeremy Corbyn ha votato in realtà per Brexit. Livelli
alti di disperazione.

Potrebbe anche
essere una barzelletta spiritosa se il tutto si fosse fermato qui.

Ma questo è solo l’inizio.

I fedeli
blairites hanno messo in moto la burocrazia:
giocando su un’ambiguità nel regolamento interno, hanno messo in discussione il
principio per cui il leader uscente sia automaticamente in ballottaggio in caso
di prossime primarie. In questo caso avrebbe necessitato dell’appoggio di almeno
51 parlamentari e sarebbe stato quindi automaticamente escluso.

I blairites, Hilary Benn in testa, si sfregavano le
mani: consapevoli dell’enorme consenso popolare di Jeremy Corbyn, cresciuto nei
mesi successivi alla sua prima elezione, e consapevoli che a questo punto
nessun altro
è in grado di batterlo, già
contemplavano l’esito positivo di una sua esclusione
sfruttando un cavillo legale.

Il tutto veniva
rimesso in mano al NEC, il comitato esecutivo del partito. Il quale, per
ò, per l’enorme disappunto di Benn e soci, dichiarava che
– dal punto di vista legale – Jeremy Corbyn è automaticamente in ballottaggio come candidato alle primarie.

Euforia popolare.
Una moltitudine di persone già si
apprestava a registrarsi al partito
laburista per dare il proprio sostegno a Jeremy Corbyn ed alle sue politiche.

Ma non finisce
qui.

Con un colpo di
mano, la stessa sera, il NEC deliberava anche, in palese contraddizione con il
contratto sottoscritto dai neo-membri Labour, che gli iscritti dopo il 12
gennaio 2016 non potranno prendere parte alle primarie. A meno che non versino 25 sterline come sostenitori – al posto
delle abituali 3 sterline – e solo
in un periodo finestra di due giorni, dal 18 al 20 di luglio, data odierna.

Un vero e proprio
gesto di arbitrarietà del potere.

Che esclude così di fatto una buona fetta di elettori: ovvero quella working class che il partito laburista
dovrebbe rappresentare, e che difficilmente pu
ò permettersi £ 25 per un voto. La democrazia ridotta a
fetta di mercato da comprare.

Mentre uno dei maggiori
finanziatori del partito Labour, Michael
Foster
– ex agente dell’industria dello spettacolo che ha versato finora
400.000 sterline al partito e che probabilmente reclama qualcosa in cambio –
minaccia azione legale contro la decisione dell’esecutivo laburista.

Nel frattempo
nuovi potenziali sfidanti leader sono apparsi all’orizzonte: Angela Eagle, autopropostasi ancora
prima della decisione del NEC, e Owen
Smith
. La prima – che ha abbondantemente cavalcato l’attuale tendenza che
vuole donne al potere, non importa se guerrafondaie tanto quanto i loro colleghi
uomini –  si è ritirata da poche ore,
lasciando il posto a l’unico sfidante, Owen Smith.

Si tratta di un
candidato senza carisma alcuno, scelto all’ultimo istante dall’élite
probabilmente perch
é ha votato contro
la guerra in Iraq. Dettaglio che strizza l’occhio all’elettorato Labour scioccato
dalle rivelazioni del Chilcot Report sulle
menzogne di Blair (mentre la Eagle non solo vot
ò a favore della guerra in Iraq, ma votò per ben tre volte contro
un’inchiesta come il Chilcot). Eppure Smith vot
ò, come la Eagle, a favore dell’intervento in Libia. Ha
appoggiato la privatizzazione dell’NHS (servizio sanitario nazionale)
attraverso il gruppo Pfizer ed il gruppo pro-Blair Progress, nonostante ora
tenti di smentire.

Si astenne quando
fu ora di votare contro i tagli al Welfare imposti dal governo Cameron, per
quanto ora cerchi maldestramente di scusarsi. E ha votato appena due giorni fa
– come la Eagle – a favore del rinnovo
del Trident, il programma nucleare militare britannico
.

Tutte cose a cui
Jeremy Corbyn si è sempre fieramente opposto. E l’elettorato gliene sta
rendendo conto.

Non si può interpretare la sfida di Mr Smith a Mr Corbyn se non
come una mossa disperata dell’ultima ora da parte di una classe dirigente presa
alla sprovvista.

L’unica cosa che
apparentemente riesce a fare Smith è ripetere in tv che Corbyn ha sinora solo
forgiato degli slogans, ma non riesce a fornire soluzioni. Interrogato su quali
potrebbero essere le soluzioni, Mr Smith sostiene “l’austerity va bene” (l’austerity va bene? Ricordiamoci che a dirlo è
un esponente che si definisce socialista, non un membro del FMI) “ma ora
bisogna pensare a dare prosperità”.

Ci si chiede
come. Forse foraggiando un’altra guerra?

A proposito: è
degno di nota che, mentre Jeremy Corbyn viene passato sotto i fuochi dei suoi
parlamentari, della BBC e delle principali testate britanniche, Tony Blair sembra essere per ora uscito
indenne dal Chilcot Report. La stampa non se ne occupa pi
ù ed i
familiari dei soldati e soldatesse britannici, caduti nella guerra in Iraq,
sono costretti a lanciare un crowdfunding
per pagarsi le spese legali di un processo.

Tornando alle
primarie: a discapito della somma di £ 25 da versare, in rete si colgono sempre
pi
ù testimonianze di persone che hanno fatto sacrifici per mettere da parte questi
soldi pur di avere voce nelle prossime primarie Labour e per sostenere, come molti
riportano nei social media, un
politico “che parla la nostra stessa lingua”. E contrariamente all’«ineleggibilità»
sbandierata da blairites e media
mainstream, la popolarità di Corbyn,
come dimostrano i sondaggi you.gov, sta schizzando su, soprattutto dopo il voto
sul Trident e la ritirata della Eagle.

Pensate che sia
tutto? Il NEC ha introdotto una nuova
regola
: membri e sostenitori verranno
monitorati – udite udite – nei social media
. Chiunque usi parole
diffamanti, come “traditore” nei confronti dei parlamentari che hanno dato la
sfiducia a Corbyn, sar
à bannato dalle
primarie.

Attenti a come vi
esprimete online: il Grande Fratello Labour
vi guarda.

No, non finisce
qui. Le riunioni locali di partito sono
state sospese fino alle elezioni.

Una mossa con un
target preciso, visto che molte circoscrizioni elettorali, in disaccordo con i
propri parlamentari che avevano sfiduciato Corbyn, intendevano sfiduciare a
loro volta i propri rappresentanti in parlamento.

Insomma, censura a tappeto. 

Quando il gioco
si fa duro per le élites, anche le
ultime vestigia democratiche vanno sacrificate.

Mentre scrivo,
leggo che solo entro queste poche ore sono 55.000
i membri registratisi come sostenitori, e se ne prevedono almeno altre 10.000 entro le 17.00 di questo
pomeriggio, in cui si chiudono ufficialmente le registrazioni per i sostenitori
paganti. Chiaramente quasi tutti sostenitori di Corbyn.

Un’ondata democratica che non riescono più a fermare. E
non se ne capacitano.

Per quale altro
politico la working class inglese verserebbe £ 25 pur di votarlo? Per uno con
lo stile di Tony Blair?

Se secondo le
elites essere eleggibile vuol dire spendere le comparse televisive versando
tonnellate di politically correct e
vendere bene delle bugie su una guerra disastrosa, una buona fetta di
elettorato britannico ha capito da tempo che l’unico segno reale di eleggibilità è l’integrità politica e la non
collusione con i poteri forti
.

Ci si aspettano
altre sorprese, da qui al 24 settembre, giorno in cui si saprà se Corbyn rimarrà
o meno alla guida del partito.

Bisogna intanto
evidenziare come questa faccenda tutta britannica non faccia altro che rivelare
ancora di pi
ù la vera faccia prepotente, anarco-repressiva del potere.

Un paese che ha
fatto passare l’esito di un referendum consultivo, vinto per pochissimi punti
in percentuale, come un “must” da perseguire legalmente, poich
é “esprime la volontà popolare”, e che recalcitra nel
passare il tutto al vaglio del Parlamento – come peraltro da legge – decide che
per molto meno, ovvero l’elezione del leader di un partito di opposizione, la
volontà popolare non conta pi
ù. In questo caso
s
ì che contano i parlamentari, ovvero quelli con le mani in
pasta.

Evidentemente la posta in gioco è alta.

Eppure qualcosa sta sfuggendo di mano. Come
osserva Giulietto Chiesa, attualmente in ambito geopolitico “perfino
l”Imperatore non sa mettere ordine nel canile”.

La vicenda locale
dei Labour ha un risvolto globale: rispecchia anch’essa questa situazione
planetaria di estrema confusione, in cui tutto ed il contrario di tutto
potrebbe succedere. Senza contare che, comunque vada a finire, avrà forti ripercussioni nell’ambito dei
movimenti politici europei. Basti ricordare che Yanis Varoufakis, ex ministro greco del governo Tsipras e promotore
di un nuovo movimento europeo, è da tempo uno dei consulenti di Jeremy Corbyn e
probabilmente un elemento chiave per possibili future alleanze.

Non è detto che
l’esercizio di anarchia del potere funzioni, in questo caso.

Potrebbe anche
succedere che i reiterati tentativi di golpe porteranno ad un boomerang, che è
già in previsione, poichè a questo punto della partita sono in molti a
sostenere che Jeremy Corbyn terrà testa a qualsiasi rivale. Il ch
é è una buona notizia, per chi ha a cuore principi come disarmo nucleare, giustizia sociale, lotta
contro l’austerity
e potrebbe incoraggiare un sussulto di speranza in molti
popoli europei e non.

Ma, stando alle
premesse, teniamoci anche pronti all’eventuale contrattacco. 

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Articoli consultabili:

https://off-guardian.org/2016/07/17/labour-coup-falls-back-on-dishonesty-identity-politics-and-smears/

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