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Le tirannie veloci

La nostra ipotesi di lavoro è che la velocità appartiene esclusivamente al dominio del consumo, riprende e amplifica soltanto la tirannia della merce. [Sandro Vero]

Le tirannie veloci
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18 Gennaio 2017 - 18.40


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di Sandro Vero

La figura salvifica, nel mondo occidentale governato dalla logica capitalistica del profitto, non ha mai fatto mancare la sua presenza, agganciata alla doppia funzione: strumento di controllo e di manipolazione per la classe che detiene il potere; oggetto di riparazione e di riscatto per la classe che il potere lo subisce.

Certo, il contesto conta e riesce a determinare differenze non da poco fra un esempio e l’altro – e si parla del momento storico, del determinato sviluppo dei rapporti di forza fra le classi, del grado di facilitazione tecnologica, e così via – ma (tanto per restare all’interno di un arco temporale che abbraccia il secolo breve e questo spicchio di presente) è più che plausibile argomentare che dietro fenomeni complessi come l’ascesa di Mussolini o di Hitler da una parte e di Berlusconi e Renzi dall’altra lavorino meccanismi comuni, al di là della loro superficiale apparenza di incommensurabilità.

Ma non è dei meccanismi che qui intendiamo parlare, anche solo richiamandone la pregnanza per gli studi di psicologia sociale, di storia, di sociologia che hanno approfondito la necessità del capo anche nelle società economicamente avanzate. La questione che qui poniamo è invece: la velocità con cui oggi rispetto a ieri si producono le infatuazioni politiche e poi si consumano, dipendendo questo da svariati fattori fra i quali proprio la diversa accessibilità alle informazioni e l’estrema rapidità della loro diffusione, cambia la sostanza di questo fenomeno o lo acconcia solo in diverso modo, riducendo la differenza fra ieri e oggi a una mera faccenda di forma?

È un po’ come provare ad astrarre da tutto il resto un unico fattore, che diremo della velocità, e interrogarlo sulla sua importanza, sulla possibilità che esso introduca cambiamenti epocali nello svolgersi di un fenomeno come quello dell’affermazione di un leader politico.

Come spesso accade, la presenza di eccezioni o di difformità rispetto a una presunta regolarità va accolta nel discorso che si vuole svolgere. E dunque, per cominciare subito da un esempio, diremo che il ventennio berlusconiano differisce molto dal ventennio mussoliniano – il primo essendo stato in qualche caso interrotto dai governi del centro-sinistra, il secondo essendo stato monoliticamente continuo fino alla caduta del duce – e che per ciò non contraddice la considerazione del carattere veloce dei processi politici nell’era del web.

Proviamo a ragionare a rovescio: cosa può suggerire alla nostra immaginazione l’idea che nei 13 anni del regime hitleriano si rendesse improvvisamente disponibile una tecnologia capace di accelerare e moltiplicare l’accesso alle informazioni? Cosa avrebbe cambiato ciò? Che possibilità politiche avrebbe dischiuso? Un maggiore controllo da parte della pubblica opinione (quella pubblica opinione che, compattamente manipolata, ha dato alimento, forza, stabilità al regime)? Una voce più incisiva all’opposizione che, pure in quel mondo tetro e omogeneo, non cessò di esistere?

È probabile che nulla di ciò si sarebbe verificato, vale a dire che quasi certamente un’improvvisa emergenza tecnologica capace di velocizzare i processi comunicativi non avrebbe determinato sostanziali capovolgimenti nello scenario di un paese con quella cultura politica, con quella economia, con quella storia. È perfino pensabile che la velocità avrebbe potuto fare il gioco del regime, rendere la sua immagine – costruita mediante l’elaborazione di miti primitivi, dozzinali – ancora più incisiva, penetrante, assoluta.

Stiamo dicendo, in altre parole, che la velocità non allarga gli spazi della democrazia. Fornisce altresì una maggiore possibilità di efficienza. Ovviamente tale possibilità la fornisce a qualsivoglia necessità, di qualunque segno o colore!

E dunque, se la velocità non introduce cambiamenti nella sostanza dei processi, se cioè non muta la direzione di quei processi, invertendone la marcia, allora la differenza sta da un’altra parte.

La nostra ipotesi di lavoro è che la velocità appartiene esclusivamente al dominio del consumo, riprende e amplifica soltanto la tirannia della merce, sancisce l’obbligo di disporsi totalmente a un contegno di devozione alla facilità, alla ripetizione, alla circolarità della macchina mitologica implementata da capitalismo.

Se così è, allora ci rimane una deduzione: in politica, come nell’economia, l’identificazione con la figura carismatica di un capo, nel mondo accelerato dell’umanità 3.0, ha i tempi, i modi e la grammatica della pubblicità.

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