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Fulvio Scaglione
brutta fine, i media occidentali si sbrigano a far capire che lo ha
fatto ammazzare Vladimir Putin. Un ex ministro scappato a New
York con quattro soldi, un deputato che si era sistemato a Kiev, un
leader di partito da 0,5% dei voti… Non si capisce bene perché l”uomo
che da un paio di decenni signoreggia sulla Russia dovrebbe sporcarsi le
mani facendo eliminare personaggi che non contano nulla e che ben poco
fastidio danno al suo potere.
Putin trattino invece con i guanti Aleksej Navalny, il contestatore
venuto dal web, il whistle blower che dal sito della sua Fondazione per la lotta alla corruzione mette alla berlina i vizi e le corruttele dei circoli del potere, mirando molto alto,
fino al primo ministro Dmitrij Medvedev, ma senza negarsi la presunta
evasione fiscale del portavoce, l”appartamento non denunciato a Londra
del vice-premier, persino le marachelle finanziarie dell”ex campione di
hockey diventato senatore. Una campagna martellante che ha raccolto, non
si sa con quanto piacere da parte di Navalny, anche l”appoggio del
Partito comunista di Russia, che chiede un”indagine sui patrimoni
sospetti di Medvedev.
A dispetto di tutto questo, e di tutti gli sforzi che fa per provocare, Navalny se la cava sempre.
Lo arrestano, lo accusano della qualunque, lo processano e lui se la
cava sempre con una multarella e qualche giorno di carcere che consolida
la sua fama. Dal cellulare che lo porta in gattabuia manda tweet ai
sostenitori. Dall”aula del tribunale spedisce sui social ottime
fotografie.
È chiaro, insomma, che le autorità russe, visto che lo devono sopportare, fanno ogni sforzo per non trasformarlo in un martire. Il che significa una cosa sola: riconoscono che la sua sfida rappresenta qualcosa di serio.
E hanno ragione. Navalny non è un genio della politica (è stato coi nazionalisti fascisti e coi tecnocrati filo-occidentali e ora è quel che da noi si definirebbe “un populistaâ€)
e la sua figura non manca di lati in penombra (che la Fondazione, con
le 30 persone che lavorano al sito, si finanzi solo con donazioni dei
militanti, è una favola cui crediamo solo noi occidentali). Ma non è
questo che conta, in un Paese dove la politica è roba tosta e la
penombra abbonda.
della politica nuova che in Europa e negli Usa abbiamo imparato a
conoscere, ha messo un megafono in mano a una generazione che aveva
tanta voglia di gridare. Quello che vediamo oggi in Russia, con
le manifestazioni bene organizzate che a intervalli regolari raccolgono
migliaia di giovani nelle città (nelle campagne sarebbero presi a calci
nel sedere), è più che mai uno scontro generazionale. Dietro a Navalny
ci sono soprattutto i giovani che sono nati subito prima o subito dopo
il crollo dell”Urss, ovvero quel 27% della popolazione russa che ha meno
di 24 anni (9,71% se prendiamo la sola fascia 15-24 anni).
È vero, la corruzione del potere interessa anche ad altri. Ma
perché sono proprio i giovani e i giovanissimi a formare il nocciolo
duro del sistema Navalny? Perché sono quelli ai quali non interessa il
patto sociale proposto da Vladimir Putin ai russi. Quando
arrivò al Cremlino, Putin ereditava la guida di una Russia stremata per
decenni dalla stagnazione brezneviana, dalla perestrojka e dagli
sconvolgimenti dell”era Eltsin. In questo caso, stress non vuol dire un
po” di agitazione: per fare un solo esempio, tra il 1990 e il 1995
(crollo dell”Urss), il tasso di mortalità tra i russi crebbe del 56%, la
speranza di vita per gli uomini crollò da 64 a 57 anni e quella per le
donne da 74 a 70 anni. Una strage, insomma. In quegli anni vivevo a
Mosca e ricordo benissimo un sondaggio pubblicato dal quotidiano, allora
impertinente, Moskovskij Komsomolez: il 21% delle ragazze
delle medie e del liceo diceva di voler fare la prostituta, perché
“quelle†avevano soldi e campavano bene.
I russi che sono usciti vivi da quel periodo, come tutte le indagini serie dimostrano, per prime quelle del prestigioso Levada Center, hanno chiesto a Putin ordine, stabilità , sicurezza. Prevedibilità . Calma.
Per avere questo, cioè per avere ciò che per circa trent”anni avevano
perso, sono stati pronti a cedere qualcosa in cambio: un po” di libertà ,
un po” di legalità , un po” di onestà . E Putin ha rispettato la sua
parte di patto: lo Stato è stato riorganizzato, l”esercito anche, le
pensioni arrivano puntuali, i salari sono pagati, la disgregazione della
Federazione (ricordate la Cecenia?) bloccata… E” questo, oltre
all”uso sapiente del tema nazionalista, a procurare a Putin gli alti
indici di gradimento, non i brogli o le baionette.
affacciata all”età adulta una generazione che non ha vissuto gli shock
che i suoi genitori non riescono a dimenticare. Una generazione che non ha complessi nei confronti dell”Occidente (altro tratto tipico, invece, di chi è più in età , e che ha girato in orgoglio patrio certe umiliazioni post-perestrojka) e
non sente nemmeno il bisogno di imitarlo. Una generazione, per
l”appunto, che ha vissuto gran parte della sua vita nella Russia di
Putin (quella in cui, comunque, i salari arrivavano, le
pensioni pure, le scuole funzionavano e così via), cioè una Russia che
bene o male girava, e che ora può tranquillamente prendersela con ciò
che non funziona. Per esempio, la corruzione.
Perché è il primo vero pronunciamento pubblico di una generazione che
tra poco darà la scalata alla società , al benessere e, inevitabilmente,
anche al potere. La nuova classe dirigente. Tra questi ragazzi che
scendono in piazza, forse, c”è il successore di Vladimir Putin. È
un”ipotesi di parricidio. Non per oggi, nemmeno per domani. Ma prima o
poi succederà . Che è inevitabile. Il trattamento coi guanti di Navalny
ci dice che anche Putin lo sa. E che, da leader astuto, piuttosto che combattere l”inevitabile preferisce gestirne i tempi e i modi.
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