di Giulietto Chiesa.
Sono dieci anni che esiste la Fondazione “Russkij Mir” (che si può tradurre in due modi: “Mondo Russo” o “Pace Russa”).
La istituì Vladimir Putin, il 21 giugno 2007 e non ci fu nessuno scandalo. Non c’era ancora la teoria della “propaganda assoluta” inventata recentemente dalle teste d’uovo del giornalismo e della politologia occidentale. Vladimir Putin non era ancora diventato il “babau” universale. Il colpo di stato in Ucraina, sebbene fosse già in preparazione, non si era ancora realizzato. La Crimea era ancora parte dell’Ucraina, sebbene la colonizzazione dell’Ucraina fosse già stata completata dalla locale “rivoluzione arancione” di Yushenko e Timoshenko.
I pochi che in Occidente se ne accorsero, per lo più ironizzarono: è un tentativo del Cremlino — commentarono — di ridefinire l’identità russa, rimasta inesorabilmente lesionata dopo i sedici anni dal crollo dell’Unione Sovietica.
Oggi le cose sembrano cambiate radicalmente e “Russkij Mir” è entrato solennemente nell’elenco — non lungo in verità — delle organizzazioni che fabbricano le ormai famose “fake news” del Cremlino e propagandano il “russian way of life” contrapponendolo “all’american way of life” prodotto da Hollywood. Le altre due organizzazioni del genere di cui dispone lo Stato russo, sono il canale televisivo “RT”, cioè “La Russia Oggi” e “Sputnik”, agenzia di notizie che — cosa ritenuta palesemente orribile, se non addirittura provocatoria, nelle capitali occidentali — trasmettono su scala planetaria i punti di vista del Cremlino.
L’accusa viene — ripetuta da tutti i media occidentali — dal paese che, da tempo immemorabile, domina il mercato mondiale della propaganda, essendo stato l’inventore della pubblicità, della televisione moderna, e che dispone della corazzata CNN, e di cattedrali del giornalismo, come il New York Times e il Washington Post. Dalla parte di qua dell’Oceano integrati dalla gemella BBC, anch’essa anglosassone, il tutto sotto l’ispirazione universale, appunto, di Hollywood, luogo in cui con tutta evidenza, è nata la “società dello spettacolo”, di cui ci parlò il compianto Guy Debord.
È però un fatto che la modestissima “flotta propagandistica” del Cremlino viene additata con un pericolo drammatico in grado di mettere in discussione l’assoluta predominanza informativo-comunicativa di cui dispone l’intero Occidente. Cosa che solleva i ricordi dell’infanzia: la favola di Esopo dove il lupo, che sta in alto, volendo mangiarsi l’agnello che sta in basso, lo accusa di sporcargli l’acqua del ruscello. Il che è plasticamente mostrato dal film di Oliver Stone, “Snowden” dal quale emerge la vera storia della fuga in Russia del secondo dissidente dell’Occidente (il primo è quell’Assange che da cinque anni vive nella prigione dell’ambasciata equadoriana di Londra). Quello Snowden che si rese conto che la National Security Agency, per la quale lavorava, spiava più americani che russi.
Come invitato a partecipare alle ultime tre edizioni annuali del “Russkij Mir”, inclusa quella del decennale, non mi è stato difficile scoprire che l‘attività di questa Fondazione non ha molto a che fare con la propaganda. Consiste nel promuovere e diffondere la lingua russa sia in patria che all’estero, sulla base dell’idea (che personalmente considero giusta) che la lingua di una persona, e di un popolo, ne traccia l’identità, l’autoscienza, lo spirito. Cosa che con la propaganda non ha nulla a che vedere.
E, anche a questo proposito, la favola di Esopo viene a proposito, se si prende in considerazione la quantità davvero enorme di fondazioni che, con soldi pubblici e privati, inondano il mondo di lingua inglese e di cultura anglosassone. La differenza consiste in questo: che la Russia non ha tutti i denari, pubblici e privati, di cui dispongono gli Stati Uniti e la loro Federal Reserve. E gli oligarchi russi, di regola, non creano fondazioni culturali in giro per il mondo. Semmai comprano squadre di calcio. Che è forma molto poco simile alla diffusione della cultura russa. Per cui, mentre la penetrazione culturale statunitense avviene in forme private “innocenti” (anche se finanziate a piene mani anche con denaro pubblico), la penetrazione della cultura russa assume, direi necessariamente (oltre che storicamente), forme statali.
In questo decennale, come nei precedenti, si è fatto un bilancio dell’attività, degli oltre 250 centri culturali che sono stati aperti in almeno 73 paesi del mondo. Le “armi” principali che in questi luoghi si usano per la “propaganda” della cultura russa, hanno nomi noti: Tolstoj, Dostoevskij, Gogol, Cechov, Lermontov, Turgenev e molti altri.
Nelle scuole russe all’estero s’insegna a leggere non solo in russo, ma a leggere di più e meglio. Uno scandalo.
Certo una cosa nuova si va facendo sempre più strada tra gl’intellettuali russi: la consapevolezza che il numero di persone che parlano russo e pensano in russo è molto più grande di quanto non siano i circa 140 milioni di cittadini russi che sono rimasti in Russia dopo la fine dell’Unione Sovietica. E che occorre fare in modo che la “nazione russa” (concetto niente affatto semplice da capire, anche per loro) non si perda nell’oceano virtuale di una globalizzazione monocromatica in cui tutti i colori delle mille storie dei popoli si stemperano e si annullano.
Se, anche in Russia, si fosse riflettuto meglio su questo punto; se si fosse tenuto conto che, per esempio in Ucraina, oltre 14 milioni di persone (pari al 29,6% della popolazione, in base al censimento del 2001) parlano russo; che in Belarus il 70% della gente, pari a quasi sette milioni di persone, parla russo; che in Kazakhstan (censimento del 2016), parlano russo oltre quattro milioni di persone, pari al 23,7%; che in Uzbekistan le cifre corrispondenti sono rispettivamente 4.185.253 e 14,2%; che in Estonia parlano russo 383.118 persone pari al 29,6% (censimento del 2011); che in Lettonia parla russo il 33,8% della popolazione, pari 698.757 (censimento del 2011): se tutte queste cifre fossero state tenute presenti, anche in Europa, molte delle tensioni, dei problemi degli ultimi 25 anni sarebbe stato possibile disinnescarli e avviarli a soluzione.
E, curiosità piena di future conseguenze culturali e, infine, anche politiche, perché non considerare che ben 1.155.960 cittadini israeliani, pari al 15% della popolazione, oggi parlano russo? Quanto basta, io credo, per definire non solo la piena legittimtà di uno sforzo della Russia per tenere unito il “Mondo Russo”, ma anche la necessità di valutare l’apporto positivo, per tutti, di una tale ispirazione. Come diceva lo storico russo Mikhail Gefter, “la Russia è un mondo di mondi” e questa è forse la sua maggiore ricchezza: quella che virà più a lungo dei suoi giacimenti di petrolio e di gas.
Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201706234670152-propaganda-di-russki-mor-opinione/.
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