di Maria Giovanna Maglie.
Bye bye Clintons. Scommettete che gli stessi che li hanno vezzeggiati e coperti per decenni stanno per farli fuori esattamente come hanno fatto col maiale Weinstein?
Il dossier farlocco su Trump e la Russia l’hanno pagato i democratici, e tutti, FBI compreso, sono stati complici.
Uranium One è stata una svendita di patrimonio nazionale e materiale nucleare ai russi, pagata ai Clinton con denaro riciclato.
Le due storiacce si intersecano e si intrecciano, partono da lontano, da un accordo di affari in Kazakistan siglato da Bill Clinton, passano per le famose email fatte sparire da Hillary, infangano niente male l’immacolato Barack Obama, il suo consigliere nazionale e il suo attorney-general. Avete letto qualcosa in proposito sui giornali italiani? Sarebbe una notizia.
Eppure lo scandalo sta per esplodere, Hillary Clinton ha un bel dichiarare che è tutto un baloney, tutte cazzate, ma la prova del contrario sta nel fatto che ora i giornali suoi alleati e amici si affrettano a pubblicare notizie compromettenti e a ribadire la certezza delle fonti, nel fatto che il Congresso si è deciso a indagare, che persino il superprocuratore dell’inchiesta sul Russiagate sta cambiando direzione di indagini.
Tenetevi forte, è proprio vero che a forza di tentare di fregare qualcuno, magari ricorrendo a fake news, arrivano le notizie vere e investono in pieno l’accusatore, in questo caso la candidata trombata Hillary Clinton, l’ex presidente Barack Obama, la sua Amministrazione, l’agenzia federale di investigazione, FBI.
Naturalmente l’affare si complica se uno dei collusi del passato, Robert Mueller, già direttore dell’ FBI, adesso è a capo dell’investigazione sull’avversario, ovvero su Donald Trump e la sua campagna, accusati pesantemente con campagna mediatica oltre che nomina di procuratore speciale, di collusioni con la Russia di Vladimir Putin tali da falsare il risultato elettorale.
Ma invece è tutto il contrario, sono stati la campagna Clinton e il Comitato Democratico a pagare il dossier bufala su Trump che innescò il Russiagate. A questa operazione ha lavorato per i democratici proprio Paul Manafort, ovvero l’ex consigliere di Donald Trump, principale accusato dell’inchiesta di oggi.
Seguono una serie di domande, alcune delle quali ormai praticamente retoriche.
L’FBI di James Comey ha utilizzato quel dossier pagato dalla campagna Clinton e dal Comitato democratico, e non verificato, per ottenere dalla Corte FISA un mandato a sorvegliare il team Trump durante e dopo la Campagna elettorale?
I dati raccolti illegalmente sui componenti del team sono stati comunicati senza necessaria autorizzazione ad almeno due ministri dell’amministrazione Obama?
L’operazione truffaldina è stata fatta non solo per danneggiare prima il candidato, poi il presidente, ma anche per coprire le collusioni passate con la Russia, arrivate fino a venderle un quinto dell’ uranio, materiale nucleare, americano in cambio di denaro sporco a Bill Clinton e alla fondazione Clinton?
L’intera operazione è stata scoperta dall’FBI e non comunicata al Congresso su ordine del governo Obama?
Il capo di allora dell’FBI che tacque colpevolmente è lo stesso che ora presiede la commissione di inchiesta sul Russiagate?
Il tutto cominciò con un viaggio di Bill Clinton nel 2005 assieme al socio canadese della Fondazione, Frank Giustra, in Kazakistan a fare accordi con un pericoloso autocrate filorusso, Nursultan A. Nazarbayev, mentre la moglie Hillary era senatore e si preparava a candidarsi alle presidenziali? Frank Giustra era anche il titolare della UrAsia Energy, venduta ad Uranium One nel 2007.
Queste notizie sono state tenute accuratamente nascoste per mesi, ipotesi avanzate solo dai pochi media vicini al presidente, come New York Post, Fox news, fino a Breitbart news, ma ora pubblicano scoop e ricostruzioni un giornale progressista come The Hill, l’arci avversario Washington Post, Seattle Times e Los Angeles Times, e persino il New York Times comincia a ricordarsi di accurate inchieste del passato poi sepolte. Probabilmente vuol dire che la realtà incalza e tocca correre.
Viene la confusione a me, figuriamoci a voi. Proviamo ad andare per ordine. Questa vicenda è gravissima, altro che Watergate, lo dico da mesi e lo ribadisco oggi.
Naturalmente potete decidere che preferite leggervi sui giornaloni importanti come il Corriere racconti puntuti su quanto non sia in realtà ricco Trump, evidentemente ne sanno più di Forbes, su come sia stata fondamentale la campagna su Facebook per far vincere le elezioni a Trump, evidentemente con 6500 dollari – tanti su 100mila ne sono stati dedicati al candidato repubblicano – si influenza una campagna presidenziale, sul fatto che Trump tenga appeso sul suo aereo privato, non nella Trump Tower giudicata dal Corriere troppo cafona per accettare di viverci, un Renoir che è una crosta perché l’originale sta al museo di Chicago, probabilmente ha ragione il museo, ma ricordare di quanti falsi siano pieni i musei, magari la storia del falsario Mark Landis, non guasterebbe.
LE DONAZIONI ALLA FONDAZIONE CLINTON DAL BUSINESS DELL URANIO
Se invece decidete che lo scandalo che presto potrebbe fare impallidire Watergate vi interessa, ecco i primi elementi certi.
Il famoso dossier che conteneva immagini e racconti di uno scandaletto sessuale protagonista Donald Trump in un albergo di una città dell’Est europeo, e che suggeriva pesanti connections con Mosca e Putin, è stato finanziato e commissionato dalla campagna presidenziale di Hillary Clinton e dal comitato Nazionale Democratico alla Fusion GPS, il cui presidente e vicepresidente in questi giorni si rifiutano di rispondere alla commissione di Intelligence, invocando il Quinto emendamento, ovvero il diritto a non autoincriminarsi.
L’INCHIESTA DEL NY TIMES SU URANIUM ONE
La Fusion GPS fa capo dal 2016 a Marc Elias, un avvocato che rappresenta la campagna Clinton e il comitato democratico. Fu assoldato un ex agente segreto inglese, Christopher Steele, che aveva mantenuto dei rapporti con FBI e servizi segreti degli Stati Uniti, che aveva a lungo lavorato in Russia.
Confezionò un insieme di pezzi di dossier vecchi in un unico falso, anche piuttosto sfacciato, come poi è risultato essere. Trump in quella città non c’è neanche mai stato. Il tutto è stato pagato circa 9 milioni di dollari. Steele fu tanto preso sul serio che quando incominciò l’indagine sul presunto Russiagate, l’FBI lo assoldò sia pure per poco tempo.
Il famoso dossier ha poi fatto il giro del mondo per alcuni mesi, dopo l’elezione del presidente, al Congresso ci ha pensato il repubblicano John McCain a farlo distribuire, dovrebbe spiegare perché, i giornali lo avevano tutti ma nessuno aveva il coraggio di pubblicarlo perché smaccatamente fasullo, finché non lo fece una piccola pubblicazione, e da lì si parte per il Russiagate.
Due parole in più sullo scandalo invece di Uranium One, partendo da alcune precisazioni che finalmente si fanno strada. Basterebbe il mezzo milione di dollari che in una sola volta Putin ha fatto avere per una conferenza a Bill Clinton a suscitare un sospetto di connivenza. Invece tutti concentrati su centomila dollari in tutto di inserzioni su Facebook, che secondo i democratici e secondo anche alcuni giornalisti italiani, avrebbero sfacciatamente favorito l’elezione di Trump.
Quelle inserzioni sono cominciate a giugno del 2015, e a controllarle tutte vedrete che sono genericamente messaggi sul razzismo e sul controllo di armi; secondo Marx Penn, analista e stratega politico, sempre di area democratica, sulle elezioni del 2016 si sono soffermate inserzioni per 6.500 dollari. Se qualche impiccio con la Russia va ipotizzato, varranno ben di più i soldi incassati dai Clinton tra conferenze e affare di Uranium One, no?
Però, essendo all’epoca della stipula del contratto di vendita la Clinton segretario di Stato e membro di una commissione governativa incaricata degli accordi, non si può accusare solamente lei, ma l’intera Amministrazione di Barack Obama, e qui si parla di interessi e sicurezza nazionale.
Si parla di aver venduto un quinto della capacità americana di estrarre uranio alla Russia e per l’esattezza a una compagnia di energia nucleare controllata dallo Stato, la Rosatom. La quale nella sua filiale americana, come l’FBI ben sapeva, si dava un gran da fare in truffe, ricatti riciclaggio di denaro, frodi ed estorsioni.
Se l’FBI indagò e riferì al dipartimento di Giustizia, quest’ultimo nascose, tanto che l’attività della Rosatom americana continua ancora indisturbata per 4 anni. L’avessero rivelata per tempo, la vendita non sarebbe mai avvenuta. C’era un informatore che aveva lavorato sotto copertura il quale voleva riferire tutto al Congresso, e fu minacciato e bloccato dal FBI. Ora però parlerà.
Per ora mi fermo. Tanto siamo solo agli inizi.
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