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di Lorenzo Vita.
Nell’era della post-verità, si rischia anche di scatenare il panico nel mondo dei social network. Non deve quindi sorprenderci se la Russia sia diventata oggetto di allarmismo anche da parte di Facebook, che in un ultimo regolamento ci fornisce indicazioni sulla sua attività per promuovere una rete d’informazione che faccia capire all’utente se sia stato vittima di propaganda russa.
“Alcune settimane fa abbiamo condiviso i nostri piani per aumentare la trasparenza della pubblicità su Facebook. Questo fa parte del nostro continuo impegno per proteggere le nostre piattaforme e le persone che le usano da attori cattivi che cercano di minare la nostra democrazia”, così si legge nel documento dell’azienda di Zuckerberg. E già da questo incipit si comprende la piega di tutta la struttura.
Dopo questo paragrafo di lode alla democrazia telematica, ecco la proposta del social network, creare una sorta di portale per consentire alle persone di scoprire quale delle pagine Facebook o degli account Instagram seguito o a cui ha messo il proprio “mi piace” fra gennaio 2015 e agosto 2017 sia in realtà collegato alla Russia. “È importante che le persone capiscano come gli attori stranieri abbiano cercato di seminare divisione e sfiducia usando Facebook prima e dopo le elezioni americane del 2016. Ecco perché, appena abbiamo scoperto queste informazioni, ci siamo fatti avanti per condividerle pubblicamente e le abbiamo fornite agli investigatori del Congresso. Ed è anche il motivo per cui stiamo costruendo lo strumento che stiamo annunciando oggi”.
La notizia arriva non a caso dopo che il Congresso ha voluto ascoltare i giganti di internet, Facebook, Twitter e Google in primis, in qualità di “depositari” della verità che circola in rete. Capitol Hill è preoccupata dalla possibilità che agenzie del Cremlino operino per dirottare il sistema delle pubblicità e delle notizie in modo da mostrare agli utenti una “realtà parallela” se così si può definire, asservita non già alla ricerca della verità ma a quella imposta da Mosca.
Non ci dilungheremo sull’analisi del concetto di verità, lasciandola volentieri ai filosofi. Ma quello che fa abbastanza impressione e che incute anche un certo timore, è che esistano strutture internazionali – e formalmente slegate da contesti statali – come appunto i giganti di internet, che non solo seguono le direttive di alcune entità sovrane, in questo caso gli Stati Uniti, ma che, in generale, decidano quali siano i canali informativi che una persona deve seguire. Perché è chiaro che tacciare una pagina Facebook o un account Twitter di essere creato ad hoc da Mosca per disinformare la gente, delegittima immediatamente quell’informazione di fronte all’opinione pubblica.
Facebook ha dichiarato che 29 milioni di americani hanno visto contenuti creati dagli agenti russi direttamente nei loro feed di notizie, mentre 126 milioni hanno condiviso questo tipo di post a loro volta ricondivisi da amici, con un numero che sale a circa 150 milioni includendo Instagram. Il giorno delle elezioni negli Stati Uniti, l’azienda di Zuckerberg ha segnalato che circa 10 milioni di persone hanno visto annunci pubblicitari acquistati dal Cremlino su Facebook. In sostanza, traducendo il discorso in termini politici, il social network ha dichiarato che 126 milioni di americani hanno visto contenuti filo-Trump creati dalla Russia. Perché in fondo, inutile negarlo, il cuore della questione è questo, non certo la veridicità dell’informazione. L’idea di fondo è talmente chiara che lo si dice anche nello stesso titolo del documento pubblicato da Facebook: “Continuing Transparency on Russian Activity”.
Le declinazioni, in termini di libertà d’informazione, sono presto dette. Avremo un’azienda che ci dirà cosa è filorusso e cosa non lo è. Ne prenderemo atto. Anche perché sembra essere questo il destino dei social media e dell’informazione digitale. A dirlo è stata recentemente la stessa Unione europea, che si è detta preoccupata dalla disinformazione russa e che considera questi attacchi in sostanza uguali a quelli bellici.
Brexit, elezioni americane, elezioni francesi e il referendum catalano insegnano che la guerra dell’informazione è appena iniziata. E come diceva qualcuno, in guerra, la prima vittima è sempre la verità. Oggi più che mai, ammesso che ve ne sia una. E in un senso o nell’altro, questa guerra alla “cattiva informazione” rischia di essere un precedente pericoloso per il mondo dei media. Pericoloso perché oggi tocca alla Russia, ma domani potrebbe non essere solo Mosca il problema. La scure della censura può colpire chiunque e ci ritroveremo a dover sapere, dai social network, se una verità è certificata e una verità non lo è, e dunque se non sarà più tale.
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