di Nafeez Ahmed.
Questa struttura mediatica prevalente finisce per limitare la capacità del pubblico di prendere decisioni fondate. E ciò consente che le sfide globali ecologiche, energetiche, economiche, sociali e di altro tipo si accelerino, mentre discutiamo tra noi sull’ideologia.
Negli Stati Uniti, sei enormi agglomerati transnazionali possiedono e controllano l’insieme dei mass media, inclusi giornali, riviste, editori, reti televisive, canali via cavo, studi di Hollywood, etichette musicali e i comuni siti web: Time Warner, Walt Disney, Viacom, Rupert Murdoch’s News Corp., CBS Corporation e NBC Universal.
Nel Regno Unito, il 71% dei quotidiani nazionali è di proprietà di solo tre grandi società, mentre l’80% dei giornali locali è di proprietà soltanto di cinque società.
A livello globale, i maggiori proprietari di media sono sempre più digitali. Oggi, il principale proprietario di contenuti multimediali del mondo è Google, seguito da vicino da Walt Disney, Comcast, 21st Century Fox e Facebook – che, sebbene non sia grande come Google, è il proprietario dei media in più rapida crescita. Google e Facebook monopolizzano insieme un quinto delle entrate pubblicitarie globali.
A sua volta, la rete di proprietà dietro questi core-broker dententori di potere risale a ciò che lo studio ha descritto come una “super-entità” di 147 imprese.
In molti casi, i dirigenti di alcuni dei più grandi agglomerati di media globali sedevano contemporaneamente nei consigli d’amministrazione dei giganti dell’industria della difesa, mentre avevano contatti con il governo.
Il programma MDDS è citato pubblicamente in un documento scritto da Brin e da Larry Page, collega co-fondatore di Google, mentre si trovava a Stanford, evidenziando in particolare il suo ruolo nella sponsorizzazione finanziaria di Brin nello sviluppo di Google.
Nel loro documento del 1998 pubblicato nel Bulletin of the IEEE Computer Society Technical Committeee on Data Engineering, i co-fondatori di Google descrivono lo sviluppo di uno strumento chiamato PageRank, che a sua volta viene utilizzato “per sviluppare un nuovo motore di ricerca chiamato Google”. Per mezzo di una postilla, SergeyBrin conferma di essere stato “Parzialmente sovvenzionato dal programma Massive Digital Data Systems Program del Community Management Staff, concessione NSF IRI-96-31952”.
Thuraisingham è attualmente professoressa eminente al Louis A. Beecherl e direttore esecutivo del Cyber Security ResearchInstitute presso l’Università del Texas (Dallas). Negli anni ’90, ha lavorato per MITRE Corp., un’importante appaltatore della difesa in America, dove ha gestito l’iniziativa MDDS.
“Abbiamo finanziato la Stanford University per mezzo dell’informatico Jeffrey Ullman, che aveva molti studenti laureati promettenti, che lavoravano in molte aree appassionanti”, mi ha detto la Professoressa Thuraisingham. “Uno di questi era SergeyBrin, il fondatore di Google. Il programma MDDS della comunità di intelligence forniva fondamentalmente a Brin il finanziamento d’avviamento, che è stato integrato da molte altre fonti, incluso il settore privato.”
Appena prima nell’articolo, Thuraisingham ribadisce che lei e il suo collega alla CIA, il Dr. Steinheiser, incontravano regolarmente Brin per essere al corrente del suo lavoro nello sviluppo di Google:
Estratto dall’articolo di Thuraisingham all’Università del Texas
Brin e Page hanno ufficialmente incorporato Google come azienda nel settembre 1998, lo stesso mese in cui hanno riferito a Thuraisingham e Steinheiser.
Nel decennio successivo, Google ha continuato a essere promosso da varie agenzie governative, agglomerati del settore privato e finanzieri globali, in particolare per mezzo di un oscuro think-tank del Pentagono, noto come Highlands Forum, dove tali network si riuniscono regolarmente ancora oggi.
La reazione del complesso industriale dei media, nella sua globalità, a questa notizia è istruttiva.
È stata totalmente oscurata dai media in lingua inglese: fa eccezione il sito di notizie tecnologiche statunitense, Gigaom, che segnalava la notizia nel contesto di un altro rapporto su Wikileaks e Google. David Meyer, un giornalista senior di Gigaom, ha descritto l’indagine come segue:
“Un interessante, sebbene estremamente denso, resoconto delle interazioni di vecchia data di Google con l’esercito e l’intelligence statunitense è stato pubblicato la scorsa settimana su Medium.”
La notizia è stata ripresa anche da alcuni organi di stampa stranieri mainstream. Un redattore senior di Forbes ha trattato esaurientemente il mio articolo, ma era disponibile solo in Ceco. Anche il quotidiano tedesco Frankfurter Rundschau ha riportato le mie scoperte in modo prominente, insieme al quotidiano ungherese Novilist.
Ma niente di più. Ciò ha implicazioni molto importanti che meritano un’attenta valutazione: in breve, la storia segreta del finanziamento d’avviamento e fondazione di Google da parte della CIA e dell’NSA irrompe allo scoperto – ma non un singolo giornale in lingua inglese vuole trattare o persino riconoscere la notizia.
Eppure quanta portata più ampia potrebbero avere le notizie, rispetto a uno dei più grandi “catalizzatori di notizie”, che fin dall’inizio è stato talmente allineato alla comunità d’intelligence statunitense?
La mancanza di interesse non è il risultato di una cospirazione. È la conseguenza prevedibile del fatto che il complesso industriale dei media globali rappresenta una struttura istituzionale altamente centralizzata che perpetua una cultura di obbedienza servile al potere.
OPINIONE: il complesso industriale dei media globali oscura in gran parte importanti conoscenze sulla struttura e sulla natura del potere. Ecco perché questa è probabilmente la prima volta che avete visto prove dirette che il più potente proprietario di media al mondo, Google, è stato fin dall’inizio messo al mondo con il supporto della comunità d’intelligence degli Stati Uniti.
In generale, le potenze della tecnologia dei media globali come Google sono spesso concepite in modi che non capiamo. Ciò ci dà un’idea di come il potere opera effettivamente in modo non trasparente.
Potere e controllo
Ma non si tratta di stabilire se Google sia o meno unicamente “malvagio”(2). Si tratta di una configurazione più ampia di modelli incestuosi di proprietà e reti sociali in tutto il panorama dei media globali.
Prendete in considerazione William Kennard. In precedenza, ha fatto parte del consiglio di amministrazione del New York Times ed è diventato Presidente della Federal Communications Commission degli Stati Uniti. In seguito, è entrato a far parte, come Amministratore Delegato, dell’imponente società di investimenti del settore della difesa e della tecnologia, la Carlyle Group, dove ha condotto investimenti in telecomunicazioni e media.
Si dà il caso che Carlyle Group è un importante appaltatore della difesa, proprietario di maggioranza di Booz Allen Hamilton, il famigerato gigante aziendale che gestisce diversi programmi di sorveglianza di massa dell’NSA.
Kennard è diventato poi ambasciatore degli Stati Uniti presso l’UE sotto Obama. In tale ruolo, ha spinto per i negoziati altamente riservati e pro-societari inerenti al Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), mentre ostacolava la gestione dei diritti digitali e le questioni relative al controllo di Internet, in modo favorevole sia ai Repubblicani che ai Democratici.
Carlyle è stato uno dei maggiori beneficiari, in termini di profitti, dopo che l’11 settembre ha cambiato il mondo per sempre, inaugurando l’infinita ‘Guerra al Terrorismo’. Tra i suoi investitori vi erano membri della famiglia reale saudita, la famiglia bin Laden e la famiglia Bush.
Oppure prendete in considerazione John Bryson, che ha ricoperto il ruolo di Segretario al Commercio di Obama fino al 2012. In precedenza, è stato membro del consiglio di amministrazione di Walt Disney Company per circa un decennio e, beninteso, proprietario dell’American Broadcasting Corporation (ABC). Era anche nel consiglio di amministrazione di Boeing, gigantesco appaltatore di difesa statunitense.
Nonostante le dimissioni da entrambe le cariche dopo la sua nomina amministrativa, la divulgazione di documenti governativi archiviati ha rivelato che i suoi asset stock and options in Disney ammontavano a circa 951.660 dollari, oltre a un piano di compensazione differita del valore di oltre 1 milione di dollari; mentre in Boeing era in debito tra 1 e 5 milioni, soggetto a un pacchetto di compensazione posticipata, oltre a possedere stock and options di Boeing del valore tra 250.000 e 500.000 dollari.
Oppure prendete in considerazione Aylwin Lewis, un altro dirigente di Walt Disney Company che è stato al tempo stesso direttore di lunga data di Halliburton, una delle più grandi società di servizi petroliferi transnazionali precedentemente gestita da Dick Cheney.
Nel corso dell’ultimo decennio, una controllata di Halliburton, la KBR Inc. con sede a Houston, ha ricevuto 39,5 miliardi di dollari in contratti relativi all’Iraq – molti dei quali erano accordi che non prevedevano offerta.
Oppure prendete in considerazione Douglas McCorkindale, che è stato per decenni direttore di Gannett, gigantesco agglomerato dei media, ed è Presidente di due aziende spin-off controllate della Gannett, Central NewspaperInc. e Gannett Satellite Information Network.
Gannett è il più grande editore di giornali negli Stati Uniti, sulla base della tiratura quotidiana, e possiede anche importanti emittenti televisive, network di notizie via cavo regionali e stazioni radio americane.
McCorkindale è stato anche direttore del colosso americano della difesa, Lockhead Martin, per circa un decennio, dimettendosi lo scorso aprile. È stato anche, durante questo periodo, direttore della Associated Press e di varie società di investimento in Prudential Mutual Funds.
Considerate, quindi, che queste persone detenevano simultaneamente posizioni di rilievo nei agglomerati dei media globali e nei grandi appaltatori di difesa. Hanno beneficiato direttamente dei dividendi della “ricostruzione” in zone di guerra devastate, come Iraq e Afghanistan, sulla base di guerre rese possibili da ciò che era, effettivamente, la loro stessa propaganda.
E notate che questo è un problema bipartisan.
Secondo alcune stime, ben 4 milioni di persone sono state uccise in conseguenza di decenni di invasioni e occupazioni militari occidentali nel solo Iraq.
Questo è un altro dato attendibile e terrificante di cui probabilmente finora non ne avrete sentito parlare.
Considerate che la stragrande maggioranza del pubblico non ha idea della portata di questa violenza. Il complesso industriale dei media globali promulga le stime più basse possibili, nonostante i conflitti di interesse e le falsità scientifiche relative a cifre così basse.
Considerate che queste morti in Iraq sono un semplice frammento del continuum di violenza causato dagli interventi militari occidentali in oltre 70 nazioni in via di sviluppo in Asia, Africa, Sud America e Medio Oriente dal 1945 a oggi.
Nel suo libro Unpeople: Britain’s Secret Human RightsAbuses (2004), lo storico britannico Mark Curtis calcola che il numero totale di decessi diretti e indiretti causati da questi interventi è di circa 8,6-13,5 milioni, che come precisa è una cauta stima per difetto.
Avete mai sentito parlare di questo numero?
Probabilmente no. E se vi fosse capitato, probabilmente non è stato a causa del complesso industriale dei media globali. Di questi tempi tale numero rimane in gran parte sconosciuto alla maggior parte dei giornalisti e degli editori.
I morti non sono nemmeno un aspetto imprevisto nella nostra memoria collettiva.
Si tratta di una stampa libera capace di alzare seriamente la testa contro il potere?
OPINIONE: la “stampa libera” nella sua forma attuale è strutturalmente incapace di generare conoscenze sistemiche e azioni motivanti di trasformazione, che possono aiutarci a passare a nuovi modi di lavorare e comportarci che responsabilizzino le persone in armonia con il pianeta.
Questo è il motivo per cui molti media stanno lottando; perché la tiratura dei giornali è in calo; perché il fatturato pubblicitario totale tra le società di media pubblicamente quotate – sia attraverso la stampa che il digitale – sta diminuendo; perché i profitti stanno diminuendo per Viacom, Walt Disney, Time Inc, News Corp e così via; perché il 65% delle entrate pubblicitarie digitali è controllato solo da cinque colossi della tecnologia, Google, Facebook, Yahoo, Microsoft e Twitter; perché la fiducia del pubblico nei media globali sta colando a picco.
Non è soltanto perché il panorama digitale ha dato nuovo potere alle entità delle ‘fake news’ per essere competitivo. È perché la “stampa libera”, in prima istanza, non è riuscita a connettersi veramente con le persone, in modo da rispecchiare la vera operazione di potere a livello mondiale.
E così la crisi globale dell’informazione e la crisi globale della civiltà – nella quale assistiamo a una convergenza che si intensifica di estremismo politico, distruzione ecologica e instabilità economica, che collabora a intaccare il tessuto delle nostre società e famiglie, decapitando le speranze della nostra gioventù – sono chiaramente la stessa cosa.
La mercificazione dell’informazione è parte integrante della mercificazione del pianeta.
Ciò non deve accadere.
Ecco perché stiamo costruendo un diverso approccio all’informazione: un sistema che fornisca alle persone i mezzi per acquisire conoscenze significative su sè stessi, il mondo che li circonda e gli strumenti per interagire in un modo che migliorerà entrambi.
OPINIONE: abbiamo urgentemente bisogno di un nuovo sistema informativo globale, indipendente, finanziariamente potente ma fondamentalmente sostenibile che generi conoscenza sistemica e ispiri azioni trasformative, che possano aiutarci a passare a nuovi modi di lavorare e comportarci che responsabilizzino le persone in armonia con il pianeta.
Benvenuti alla rivoluzione dei media
Per mezzo di PressCoin, INSURGE sta co-progettando una piattaforma unica blockchain per Open Inquiry, adatta per il 21° secolo e oltre, che rappresenti un nuovo modello di media indipendenti nell’interesse del pubblico.
Questo nuovo modello mette le persone e il pianeta al centro delle sue attività, indagando sul potere per responsabilizzare le persone e salvare il pianeta.
Il nostro giornalismo è olistico nei suoi scopi, coraggioso nella sua integrità, rigoroso nella sua ricerca, e guidato da valori di compassione, verità e giustizia.
Inseguiamo e rendiamo pubbliche le notizie che nessuno vuole trattare e facciamo luce sulle fessure tra i titoli di prima pagina.
Non seguiamo ciecamente la routine del ciclo delle notizie: trasformeremo il ciclo delle notizie.
Al centro di PressCoin c’è il nuovo formato di giornalismo di INSURGE – Open Inquiry – che ricorre a complesse scienze dei sistemi al fine d’introdurre più discipline e ritmi, per esporre ciò che sta realmente determinando i grandi problemi di oggigiorno. Il nostro formato Open Inquiry contestualizza gli scenari facendo emergere ipotesi, evidenziando fatti e dati verificabili, e segnalando le opinioni fondamentali che il nostro giornalismo produce.
Questo formato aggrega ‘assiomi’, ‘opinioni’ e ‘azioni’ provenienti dai nostri articoli (e da altre produzioni multimediali) in una massa crescente d’intelligenza pubblica che aiuta i nostri utenti a fare due più due in merito alle più grandi sfide del mondo e cosa può essere e viene fatto per risolverli.
E la cosa più significativa è che la nostra piattaforma facilita le conversazioni generative che premiano i nostri lettori e spettatori per le opinioni che offrono, il nuovo giornalismo che viene ispirato da quelle opinioni e le azioni di cambiamento nel mondo reale che quelle conversazioni catalizzano: sia che si tratti di creare nuovi servizi, avviare nuovi progetti o costruire nuove iniziative che offrono soluzioni civiche, economiche ed ecologiche.
Ecco perché descriviamo INSURGE come piattaforma di intelligence pubblica e network d’azione.
- demolire i paradigmi politici faziosi per fare una copertura giornalistica approfondita, con integrità, che armi gli utenti con l’informazione, ma non con l’ideologia; che si focalizzi non solo sulla correttezza, ma sul generare un significato condiviso;
- copertura giornalistica transdisciplinare che superi i tradizionali confini della specializzazione dell’informazione, ricercando interconnessioni, sinergie, parallelismi e attriti (per quanto riguarda clima, energia, cibo, economia, guerra, terrorismo, stato di polizia e così via) per portarli alla ribalta;
- un design su misura in cui ogni notizia, anche se autonoma, rappresenta un singolo trampolino di lancio che è parte di un più ampio viaggio di esplorazione, in cui gli utenti possono connettersi con un’intera rete ramificata di notizie multimediali intrecciate tra loro;
- indagine con uno scopo, perché ogni notizia viene riportata non soltanto per scoprire i più reconditi meccanismi del potere di oggigiorno, ma per svelare proprio in quel processo la possibilità di cambiamento;
- sostegno per mezzo di utenti in connessione tra loro come cercatori d’informazione e fautori di cambiamento a pieno titolo, che sono anche collegati a progetti reali, aziende, imprese, enti di beneficenza, gruppi di comunità, in prima linea nella creazione di soluzioni per le sfide sulle quali indaghiamo.
Stiamo ottenendo ciò nei seguenti modi:
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Fonte originale: https://medium.com/insurge-intelligence/we-are-using-the-blockchain-to-give-the-media-back-to-the-people-join-us-9a8f2953f589
Tratto da: https://comedonchisciotte.org/come-la-blockchain-restituira-i-media-alle-persone-per-salvare-il-pianeta/
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di NICKAL88.
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