di Giulietto Chiesa
Incontro Igor Dodon nella residenza presidenziale di Via Nicolae Jorga, storico dell’antichità, ex primo ministro e consigliere del re di Romania, Carlo II. Jorga fu assassinato nel 1940 per la sua opposizione alla politica filo-nazista del governo romeno dell’epoca. È una palazzina ad un solo piano, di quelle che i nobili dell’ottocento, o i ricchi commercianti, costruivano per sottolineare la loro importanza e peso sociale. Nulla di sontuoso, colori pastello stuccature barocche, mobili d’epoca, non lontano da quello che, ai tempi sovietici, fu il Museo del Marxismo-Leninismo e che ora — i tempi cambiano — è il Museo di Archeologia.
Il presidente è in carica. Occorre ricordarlo perché c’è stata una fase, piuttosto burrascosa, in cui la Corte Costituzionale lo sospese “temporaneamente” dall’incarico — era il 20 ottobre 2017 — dopo che Dodon aveva rifiutato per due volte di firmare la nomina di un Ministro della Difesa (Anatol Solaru) troppo filo Nato. Igor Dodon è infatti un Presidente “di frontiera”, nel senso preciso che la Moldova è in bilico, da anni, su una scelta che la maggioranza del paese non ha ancora deciso se fare o non fare: andare in Europa o andare in senso opposto, verso la Russia e l’enorme spazio geopolitico eurasiatico. Come emerge da questa intervista, Igor Dodon si batte per la neutralità e l’indipendenza del suo paese ed è sicuramente per questo motivo che il 52% degli elettori lo ha portato alla Presidenza. Ma la Moldova attuale è oltremodo incerta, nel suo complesso, e striata da numerose linee di faglia molto mobili, cioè cangianti a seconda delle pressioni e delle promesse.
Oltre al fatto che ai suoi confini orientali esiste lo Stato indipendente dell'”Oltre Dnestr”, la Transnistria, il paese non riconosciuto in Europa e nel mondo, ma che parla la stessa lingua della Moldova, che è “quasi russo”, dal quale si è diviso dopo una violentissima guerra quasi fratricida al momento del crollo dell’Unione Sovietica.
Riassumere qui tutte le tormentate vicende degli ultimi 27 anni è fuori luogo. Basti dire che ogni cosa qui, in Moldova, appare come sospesa nel vuoto, provvisoria, in attesa che arrivi qualche Godot a mettere ordine. Mentre tutti sanno che non c’è alcun Godot all’orizzonte interessato a “mettere ordine” e che, se non ci si metteranno loro, i moldavi, a fare pulizia, il loro destino sarà quello di diventare colonia di qualcun altro. Ma è proprio da qui che comincia la mia intervista con il Presidente della Moldova.
— Dunque, Signor Presidente, mi faccia lei una fotografia della situazione del suo paese, come lei lo vede, cosa si attende dal suo popolo. Come si è risolta la crisi che, l’anno scorso, contrappose lei al Parlamento e al Governo? Quali passi sono necessari, a suo avviso, per risolverla?
— La prima cosa da dire è che la società moldava è divisa: una metà circa vuole restare vicina alla Russia; l’altra metà vuole andare nell’Unione Europea. In diversi momenti della vicenda storica recente, il rapporto tra queste opzioni contrapposte è stato rispettivamente del 60-40%, poi diventato del 70-30%, poi di nuovo come prima. Adesso siamo all’incirca al 50-50%. L’attuale maggioranza parlamentare e l’attuale Governo sono per un avvicinamento all’Europa. Coloro che un anno e mezzo fa hanno votato per me vogliono che noi restiamo amici anche della Russia. La situazione è dunque tale che il Presidente, eletto dal popolo direttamente, ha una posizione diversa da quella della maggioranza parlamentare e del governo.
Il compito che mi sono dato in questo anno e mezzo è stato quello di contemperare, bilanciare al meglio possibile questa situazione. Penso che la Moldova potrà esistere come Stato solo se manterrà buoni rapporti sia con l’Occidente che con l’Oriente. Ogni tentativo di dividerci in due parti rischia di produrre una destabilizzazione, nella quale sarà impossibile trovare un linguaggio comune e la strada per andare avanti.
Le diverse situazioni critiche che si sono create tra il Presidente e il Governo sono state prodotte dal fatto che noi abbiamo idee diverse sul futuro del nostro paese. Il governo, quando non è d’accordo con la pozione del Presidente, deve cercare un compromesso oppure mettere in atto una procedura di impeachment. Ma deve tenere conto che il Presidente è sostenuto, in tutte le questioni di rilievo, da una parte della popolazione che supera diverse volte quella che sostiene il Governo (sono dalla mia parte più del 50% dei cittadini e delle cittadine, mentre dalla parte del Governo sono all’incirca il 10% degli elettori). Per questi motivi non possono rischiare l’apertura di una procedura di impeachment in quanto sanno che perderebbero. Essi hanno però tentato di aggirare la mia posizione sulle nomine dei ministri facendo appello alla Corte Costituzionale.
— Che succede ora?
— Ci sono state alcune manovre, messe in atto dalla maggioranza parlamentare e dal Governo. Noi abbiamo reagito, in ultima istanza, senza portare la situazione su posizioni di arroccamento. Non intendiamo destabilizzare la situazione. In fin dei conti prima della fine di quest’anno sono previste le elezioni del Parlamento. Il popolo deciderà a chi dare il suo appoggio: o al partito del Presidente, di orientamento socialista (il partito che io stesso ho fondato e che si chiama Partito dei Socialisti di Moldova), che ha attualmente un rating di più del 50%, e che ha la reale possibilità di ottenere la maggioranza parlamentare; oppure potrà dare il suo appoggio all’attuale maggioranza parlamentare, che si trova nei sondaggi attorno al 10%. Il che significa che il potere non potranno prenderlo. Ci sono altri partiti pro-europei, il cui rating complessivo sta tra il 10 e il 20%.
Questa è la situazione che abbiamo di fronte. Mi auguro che non ci siano serie crisi da qui al voto, in modo che la situazione non sia destabilizzata. Per quanto concerne il dopo, cioè dopo le elezioni parlamentari, vedo diverse varianti possibili. Una è che il Partito dei Socialisti prenda la maggioranza. In tal caso ci sarà al comando un’unica squadra, quella del Presidente, del capo del governo e della maggioranza parlamentare. La probabilità di questa variante la ritengo molto elevata.
Le il partito dei Socialisti, invece, non avrà la maggioranza, allora potranno formarsi diverse soluzioni di coalizioni e di alleanza. Il mio compito sarà quello di favorire una maggioranza parlamentare stabile. Se si tratterà di una coalizione io favorirò quella che tutelerà l’interesse della Moldova e non quelle che potrebbero essere pro-europee, oppure pro-russe. Sono convinto che solo una coalizione che difenda gl’interessi della Moldova nel suo insieme può affrontare i problemi correnti, con i quali hanno a che fare quotidianamente i cittadini. La priorità non è la geopolitica.
— Il quadro mi è ora più chiaro. Ma lei, personalmente, avverte pressioni sia dalla parte dell’Europa che da parte della Russia?
— Non avverto nessuna pressione su di me, come uomo politico intendo dire. Certo è evidente che questa nuova tappa della guerra fredda, che è in corso, ci complica non poco le cose. È evidente che quando grandi forze so scontrano tra di loro, anche se lo fanno mediante sanzioni economiche, o di altro genere, i paesi minori con la Moldova di regola subiscono dei danni. I grandi litigano, i piccoli pagano. L’Occidente cerca di trascinarci dalla sua parte, contro la Russia, spingendo affinché anche noi ci associamo alle sanzioni e ad altre azioni ostili. Sfortunatamente il nostro parlamento e il nostro Governo è proprio questo quello che fanno, con dichiarazioni antirusse. La Russia fino ad ora non ha reagito in alcun modo. L’anno scorso mi sono messo d’accordo con Vladimir Putin perché la Russia aprisse di nuovo le sue frontiere alle nostre esportazioni e perché le nostre produzioni agro-industriali potessero avere accesso ai mercati russi. La Russia ha risposto positivamente e non ha replicano alle azioni ostili da parte moldava. Mi auguro che quegli accordi non siano messi in pericolo e che i nostri atti poco saggi non finiscano per colpire gl’interessi della nostra gente e dei nostri esportatori.
— Come mai lei, personalmente, nel corso di questa crisi, non ha preso decisioni simili a quelle che hanno preso altri paesi dell’Unione Europea o della NATO, come per esempio l’espulsione dei diplomatici russi?
— Si sapeva che a me questo tipo di operazioni non è possibile neppure propormele. Fin dall’inizio del mio mandato io ho fissato pubblicamente con precisione i miei orientamenti. I nostri partners lo sanno. Le mie azioni sono dettate esclusivamente dalla tutela degl’interessi nazionali della Moldova. Ciò che decido deve essere vantaggioso per la Moldova. Qui non si decide ciò che deve essere vantaggioso per Bruxelles, o per Washington, o per Mosca. Io sono un dirigente della Moldova e conosco lo spazio nel quale mi muovo. Penso che invischiarci in complessi giochi geopolitici non sia comunque a nostro vantaggio e dobbiamo evitarlo categoricamente.
Non possiamo permetterci di essere dalla parte della Russia contro l’Europa e l’Occidente, così come non possiamo permetterci di essere con L’Europa e gli USA contro la Russia. Perché in entrambe le situazioni noi saremmo perdenti. Diventeremmo pedine all’interno di un gioco più vasto sul quale non possiamo influire, cioè saremmo carne da cannone per qualcun altro.
Ecco perché è indispensabile mantenere buone relazioni con gli uni e con gli altri, evitando di farci coinvolgere a sostegno di una parte contro l’altra. Essendo chiaro che sul mio paese si giocano interessi altrui e che il nostro parlamento e il nostro Governo giocano una partita contro la Russia e a favore dell’Europa. E questo avviene in un paese dove circa un terzo della popolazione è composto di russofoni. Voglio essere preciso: non di russi ma di russofoni, cioè di ucraini, di gagaùsi, e di una parte di moldavi, tutti che parlano la lingua russa. Anche per questi motivi prendere parte a certi giochi geopolitici è categoricamente sconsigliabile.
— Ho letto che il vostro Ministro della Difesa ha istituito rapporti molto stretti con la NATO, e che opta chiaramente per un ingresso della Moldova nella NATO. Che nepensa?
— Nella nostra Costituzione è scritto con grande chiarezza che la Moldova è un paese neutrale. Per questa ragione, anche se a qualcuno dell’attuale governo questa idea piace, innanzitutto va ricordato che la percentuale di consensi per questa idea è molto bassa; in secondo luogo va ricordato che la Costituzione non permette una tale decisione. L’opinione pubblica della Moldova, come confermano tutti i sondaggi d’opinione, non appoggerebbe mai un tale esito.
— E se si tenesse un referendum su questo tema?
— Altrettanto negativamente. Una tale decisione sarebbe approvata dal 10-15% degli elettori, non di più. Questo dicono tutti i sondaggi d’opinione, perfino da quelli condotti dagli americani. Qui da noi è diverso rispetto all’Ucraina. In Moldova la maggioranza è per uno status estraneo ai blocchi, cioè per la neutralità.
— Nei giorni scorsi si è tenuta a Chisinau una manifestazione di persone favorevoli alla unificazione con la Romania. Qual è, a sua avviso la forza politica di un movimento con questo obiettivo?
— Sempre secondo i sondaggi la percentuale di elettori è per l’assorbimento della Moldova all’interno della Romania non supera il 20%. In realtà questo 20% dovrebbe essere suddiviso in due gruppi.
Il primo di questi due gruppi è costituito da cittadini moldavi che sono favorevoli all’unificazione con la Romania e può contare sul 7-8% di consensi. Questa è la dimensione che è sempre esistita, anche durante il periodo sovietico, come pure nel corso degli anni ’90.
L’altro dei due gruppi è più grande, attorno al 10-12%, ed è costituito da persone e gruppi che sono stati delusi dalla politica irresoluta e imbelle degli ultimi anni. Basti pensare al miliardo di dollari che è stato inghiottito, cioè trafugato, negli ultimi anni attraverso il sistema bancario. Oppure si pensi al dilagare della corruzione pubblica cui stiamo assistendo sebbene i partiti pro-europei siano al comando del Governo del paese. In Moldavia, in questi anni, la qualità della vita è sensibilmente peggiorata. Ecco io penso che molti di coloro che hanno perduto le speranze di un risanamento della situazione siano confluiti in questa direzione: a causa dell’assenza di prospettive. Ma sono convinto che non appena la situazione cominciasse a mutare, non appena si cominciasse ad attuare le necessarie riforme, a migliorare le condizioni di vita, il numero di coloro che vorrebbero diventare cittadini romeni tornerebbe ad essere attorno al 6-7%. Al massimo il 10%. Cioè siamo di fronte a un movimento che non ha un grandissimo seguito, sebbene sia stimolato da Bucarest… Si tratta di influenze molto pericolose poiché sono osteggiate dalla grande maggioranza della popolazione della Moldova. Non meno dei 75%. E se determinati circoli politici cercheranno si spingere in questa direzione, verso l’unificazione con la Romania, ciò potrebbe condurre a una seria destabilizzazione, se non addirittura a una guerra civile all’interno dello Stato moldavo. Fu da spinte di questo genere che sorse la guerra sulle rive dello Dnestr. È per questo che ancora sussiste per noi il problema dell’Oltre Dnestr (la Transnistria — ndr.)
Tutto questo groviglio è molto pericoloso. È proprio per questo che recentemente ho inviato una lettera alla direzione del Consiglio d’Europa, alle Nazioni Unite e all’OSCE, in cui ho messo in risalto l’esistenza di questi problemi in Moldova e che la Romania sta soffiando sul fuoco, mettendo in guardia che, in caso queste intenzioni dovessero ulteriormente essere sostenute e incentivate, ciò porterebbe a problemi molto gravi non soltanto per la sicurezza della Moldova ma per la sicurezza dell’intera regione. Siamo di fronte a un nuovo focolare rovente che viene appunto alimentato da questi movimenti cosiddetti unionistici.
— Lei ritiene che l’Unione Europea preferirebbe la soluzione di un ingresso della Moldova o quello di un ingresso indiretto, cioè di una Moldova che diventasse parte integrante della Romania?
— Secondo sondaggi fatti da organizzazioni filo-americane, voterebbero per l’Europa il 43% dei cittadini moldavi. Mentre per l’Unione Eurasiatica voterebbe il 42%. Nel 43% di cui sopra è incluso certamente il numero di coloro che vogliono l’unificazione con la Romania, ma essi sono molto pochi. Non appena la domanda viene posta in altro modo, cioè “Lei è contrario all’unione con la Romania o con la Russia?”, ecco che il risultato diventa molto interessante: per la Romania voterebbe il 15% e per la Russia il 30-35%. Ma io sono categoricamente contrario sia alla prima eventualità che alla seconda. Noi non abbiamo alcun bisogno di unirci né con gli uni né con gli altri. Noi dobbiamo conservare il nostro paese, la Moldova. Per questo motivo ho preso l’iniziativa secondo cui in Moldova si dovrebbero penalmente perseguire coloro che apertamente incitano alla liquidazione della nostra Repubblica. Sono molti i paesi che considerano criminali opzioni di questo genere e io sono determinato, subito dopo le elezioni parlamentari d’autunno, a promuovere una legislazione in questo senso.
— Quando fu eletto presidente questa proposta faceva già parte del suo programma?
— Certamente! Sono sempre stato di questa opinione.
— Lei ha già fatto riferimento alla situazione dell’Oltre Dnestr. Capisco che si tratta di una questione non solo molto difficile, ma forse addirittura non risolvibile.
— Non direi che sia irrisolvibile. Al contrario, se guardiamo all’insieme dello spazio post-sovietico, questa è la situazione più prossima a una soluzione. Non siamo in un vicolo cieco, come in Ucraina; i guai non sono così tragici come nel Caucaso. Noi abbiamo rapporti molto intensi con i moldavi che vivono e lavorano sulla riva sinistra dello Dnestr. La loro squadra di calcio gioca nel campionato nazionale della Moldova. Io sono il presidente della Federazione Scacchistica di Moldova, che abbracci entrambe le rive dello Dnestr. I cittadini dell’una e dell’altra parte s’incontrano ogni giorno. Non ci sono problemi simili a quelli di altre zone contese o di conflitto. Per questo penso che una soluzione sia possibile. Per questo occorrono tuttavia alcune condizioni. In primo luogo occorre che ci sia una posizione comune all’interno della Moldova, in secondo luogo occorre un consenso geopolitico dell’Occidente e dell’Oriente. La mia posizione l’ho espressa più volte sia a Bruxelles che a Mosca: la soluzione del problema attorno al Dnestr sarebbe un esempio positivo all’ordine del giorno dei rapporti tra la Russia e l’Occidente. Contribuirebbe a porre fine alle reciproche accuse e alle sanzioni. In ogni caso sarebbe utile finalmente sedersi a un tavolo negoziale in cui ciascuno potrebbe trovare la sua parte di successo. Un tale punto d’incontro potrebbe essere proprio la Moldova. Penso che nei prossimi anni la Moldova può diventare il ponte, il luogo di una iniziativa vincente per la costruzione di uno spazio dove est e ovest possono trovare un accordo. Sarebbe il primo passo e il primo esempio a partire dal quale procedere per la soluzione di altre crisi regionali ancora aperte.
— Noto un grande ottimismo e non le nascondo di essere sorpreso.
— Credo sia una posizione realistica. Ne ho parlato con Vladimir Putin più d’una volta. Altrettanto ho fatto con Federica Mogherini. Ho esaminato la questione a Berlino e so che la Germania è a questo esito interessata. Ne ho parlato recentemente con Franco Frattini nella sua qualità di rappresentante speciale del Presidente dell’OSCE nel processo di soluzione per Transnistria. Anche l’OSCE ritiene che la Moldova può svolgere questo ruolo di spazio per l’intesa tra ovest e est. Per questo quando il dialogo prenderà avvio — e penso che esso sia inevitabile a un certo punto — si troveranno i momenti di convergenza.
— E qual è la reazione dei dirigenti dell’Oltre Dnestr a questa sua impostazione?
— So che la popolazione desidera un veloce riavvicinamento. Mentre la direzione politica di Transnistria è interessata soltanto all’indipendenza. Ma parlare di indipendenza quando hai da una parte la Moldova e dall’altra l’Ucraina, che non accetterà comunque questa prospettiva, tanto più in questa data situazione geopolitica, che succederà? Io penso che loro vogliano ottenere dai negoziati un determinato “status”, che dovrebbe essere definito. Ma a me pare che, nell’attuale situazione, alla Transnistria sia utile cominciare i negoziati al più presto: utile ai cittadini, utile alla Transnistria.
— Lei mi sta dicendo che la maggioranza della popolazione della Transnistria è favorevole a un riavvicinamento con la Moldova?
— Esattamente. Tutti loro hanno rapporti con la riva destra. Tutti hanno parenti su ambo le rive. Loro vendono i loro prodotti da questa parte. Molti mandano i loro figli a studiare da questa parte. Adesso cominciamo a riconoscere sulla riva destra i diplomi e i titoli di studio rilasciati sulla riva sinistra e, in questo modo la gioventù che ha terminato la sua formazione nella Transnistria ora può trovare occupazione all’estero. Prima non era così: il mancato riconoscimento da parte nostra impediva loro di trovare lavoro all’estero, non solo in Moldova. Altre possibilità non c’erano. Fino ad oggi non venivano riconosciute le targhe delle loro auto. Noi ora proponiamo loro di scegliere per la Moldova delle targhe “neutre”. Piano piano ci si riavvicina.
— Comincio a capire il suo ottimismo.
— Ripeto che io lo considero realismo, sebbene quello che sta accadendo nelle ultime settimane….
— Ecco, è a questo che facevo riferimento. A tutta questa atmosfera di tensione, di divisione in corso tra Oriente e Occidente. Perché questo inasprimento?
— Penso che fosse dovuto all’imminenza delle elezioni in Russia e alla rielezione di Putin presidente. Ma sono convinto che si calmeranno. Dopo l’inaugurazione del 7 maggio, si capirà, lo capirà anche l’Occidente, che bisogna andare avanti. Procedere con le sanzioni non sarà utile per nessuno, neanche all’Occidente. L’Europa ha perso decine di miliardi a causa di queste sanzioni e accuse reciproche. Per noi soprattutto questa situazione di rapporti tesi è tutta in perdita e si riflette sugli equilibri interni in modo molto negativo. Il tentativo di trascinarci verso l’Europa divide la società moldava.
— E come pensa reagirà la Russia di fronte alla prosecuzione del confronto sempre più duro?
— L’unico risultato sarà che la Russia volgerà il suo sguardo verso l’Oriente, verso l’Asia. Aumenterà la cooperazione con la Cina, con l’India. Io non vedo niente di buono in questo, né per l’Occidente né per la Russia. Ma di una cosa sono convinto: che la Russia sopravviverà. La conosco bene, conosco il loro spirito, il loro patriottismo. Ce la faranno. Il che vuol dire che la politica delle sanzioni è miope, manca di prospettiva, oltre che pericolosa.
— Lei non pensa che, per questo confronto durissimo, si debbano cercare ragioni più profonde? Per esempio il fatto che gli Stati Uniti non sono più in grado di imporre la loro volontà alla Cina, sia nel campo finanziario sia in quello commerciale? Che siano inquieti per la perdita delle loro leve di potere, che percepiscono come strategica?
— Certamente. Il mondo è già diventato multipolare. Loro si erano abituati ad essere egemoni unici dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Per giunta la situazione evolve ed evolverà ancor più nel prossimo futuro. La Cina è già al posto di comando per molti aspetti; la Russia non è più quella che fu all’inizio degli anni ‘90. Certo, coloro che vent’anni fa controllavano tutto non sono certo pronti ad arrendersi alla nuova realtà. Cercheranno di portare la situazione ai dati precedenti, ma non potranno farlo.
— L’élite americana è in grado, secondo lei, di una tale svolta nel modo di pensare? Non mi pare di vederè quel tipo di persone.
— Il solo fatto dell’elezione di Trump già dice che persone di questo tipo già si affacciano. Due decenni fa sarebbe stato impossibile. Che riesca a fare ciò che ha detto è altra faccenda. Il sistema è fatto in modo tale che cambiarne il corso sarà difficile. Ma io penso che possano farcela. Gli USA sono nostri amici e partner. Noi vogliamo stare in pace con loro e collaborare. Adesso è importante che le ambizioni geopolitiche siano messe da parte e che non si permetta alle scintille di diventare incendio.
Link articolo su Sputnik Italia