di Carlo Bertani
Chi l’avrebbe mai detto che, dopo una lunga carriera di militante nel M5S, le sarebbe toccato in dote il Ministero dei Trasporti? Gli altri si prendono Interni, Esteri, Giustizia e via cantando… a me, rimane il ministero delle ferrovie scassate, della sempre in perdita Alitalia, dei sempre in deficit trasporti urbani… un posto di lavoro di seconda linea, nel quale non si mietono allori sul fronte del grande gioco strategico internazionale. E si rischiano solo critiche, tante critiche e pure qualche “vaffa”.
Si faccia coraggio: le è toccato un pane duro, com’è dura la pagnotta dei tanti che faticano scorrazzando sulle autostrade, su treni sgangherati, a bordo di navi lente come lumache che devono attraversare oceani infiniti e noiosi. “E il porto d’attracco non dà segno di sé” come cantava un genovese in altri tempi, il grande Fossati.
Non le mancheranno i nemici (ma di questo sono convinto che già ne è cosciente): piuttosto, dovrà vedersela con progetti oramai “storici” che non vogliono passare alla Storia, con relativi succosi contratti che pretendono penali astronomiche. In tutta la situazione domina un solo assioma: l’Europa che non è stata – travolta dagli egoismi dei singoli Stati e dalla pretesa della Finanza di governare anche gli affari politici – si sveglia oramai soltanto per reclamare il pattuito in anni lontani, quando di quel progetto non resta più nulla.
Se vogliamo, nulla di nuovo.
L’Italia Fascista, nella 2GM, si affidò corpo e beni ad un caccia biplano prodotto dalla FIAT – il CR-42 – che, ovviamente, era desueto già all’inizio della guerra. Ma i contratti per migliaia d’aerei erano stati firmati: di conseguenza, nel 1945, la FIAT chiese al nuovo governo italiano di rispettare gli accordi (cioè di costruire biplani!). Non so come andò a finire: forse, un po’ di buon senso – viste la condizioni del Paese nel 1945 – ebbe il sopravvento sui biplani.
Qui, ci ritroviamo in una situazione analoga.
Negli anni ’90 del secolo scorso, nei grandi progetti pensati per creare l’area economica europea modernizzando le tratte ferroviarie dei singoli Paesi, c’era anche la TAV, la Torino-Lione, che poteva avere un senso se ci fossero stati traffici su quelle direttrici, se l’economia fosse stata sempre in crescita, se il Paesi Mediterranei avessero creato nuovi poli industriali, se, se…insomma, una progetto basato su troppi “se”, che la Storia ha smentito: come dicono in Toscana, il se ed il ma sono il pane dei grulli.
In ogni modo, questo era il tracciato previsto per il corridoio 5:
Come si nota, l’impresa era veramente molto ambiziosa (rectius: pretenziosa) e finì ben presto: ognuno s’arrangiò per sé e Dio (petrolio/gomma) per tutti.
I singoli Paesi, ad uno ad uno, si smarcarono ad iniziare dal Portogallo e dalla Spagna che non progettarono nemmeno il nuovo valico ferroviario dei Pirenei, privilegiando la rete autostradale che dall’Andalusia corre, nei pressi del Mediterraneo, fino a Barcellona. Poi l’Ucraina precipitò in una guerra infinita… insomma, quel progetto morì con la sua grande sostenitrice, la commissaria spagnola Loyola de Palacio, scomparsa nel 2006. Per chi vuole più informazioni, c’è un breve articolo del 2013 che condensa abbastanza bene la vicenda.
I problemi di trasporto, però, restano.
Se si aggiunge che Svizzera ed Austria sono molto restie a concedere il transito su gomma sulle loro strade/autostrade, si nota che non rimane che l’Italia, poiché “salire” fino in Ungheria per accedere all’Est d’Europa è fuori discussione (questioni di costi).
La questione TAV, dunque, non è un problema di tipo legale, di contratti, di penali… bensì è stato un colossale abbaglio europeo – ho usato il termine “abbaglio” e non “errore” poiché all’epoca si poteva anche pensare che un’Europa più integrata nelle vie di trasporto fosse un obiettivo da perseguire – ma, oggi, non è nemmeno pensabile andare a discutere le cose nei vari tribunali europei.
In altre parole: ancora una volta dovrebbe essere il primato della politica ad avere la meglio sui desideri delle varie lobbies del trasporto, altrimenti si finisce con un’autostrada che ti taglia in due il giardino e con un tunnel nel garage.
Anni fa, scrissi per le edizioni Macro un libro sui trasporti che venne pubblicato solo in formato pdf poiché l’argomento, di sé, non richiama molti lettori: perciò, qualche consiglio mi sento di poterlo dare. Mi sa che qui, ad essere relegati in un angolo, sono sia i ministri e sia gli scrittori.
Ciò che rimane del “Corridoio 5” europeo è una triste realtà per l’Italia: gli autotreni partono dalla Spagna diretti in Ungheria, Romania, ecc (e viceversa) e finiscono per transitare su una delle autostrade più neglette d’Italia: la Ventimiglia Genova.
Progettata negli anni ’50 del Novecento per un traffico prevalentemente turistico, oggi è giunta al parossismo: vista l’impossibilità d’allargarla (corre in mezzo alle case per 30 chilometri in area urbana a Genova) spesso la sicurezza è solo un optional: nel tratto urbano di Genova mancano addirittura le piazzole per la sosta d’emergenza. Basta un’automobile che si rompe e capita il finimondo.
Ma i veri “finimondi” succedono ogni due per tre con il traffico degli autosnodati che non rispettano minimamente i limiti di velocità: la soluzione sarebbe semplice. Copiando dai vicini francesi, sistemare degli autovelox uguali a quelli d’oltralpe: 80 Km orari, senza tolleranza, ossia ad 81 sei già “beccato”.
Questo perché gli autotreni hanno (obbligatorio per legge) un limitatore che tiene automaticamente il mezzo sotto gli 80 Km/h: il problema è che, gli stessi elettrauto che lo installano, sistemano pure un pulsante nascosto per bypassarlo. Solita storia di corruzione all’italiana: gli autisti (in maggior parte stranieri: rumeni, moldavi, lituani, ecc) semplicemente ne approfittano.
Alla prima multa non pagata dall’azienda, il mezzo verrebbe bloccato (sempre con sistemi automatici, ossia partirebbe una telefonata che avvisa l’azienda, con riferimenti al mezzo interessato) alla frontiera e se ne torna da dove è venuto: vedrà che si daranno una calmata e diminuiranno anche i numerosi incidenti – spesso mortali per gli stessi autisti e per il personale della Società Autostrade – che avvengono con una frequenza impressionante.
Questo per la fase d’emergenza, ossia per far rientrare nella legge chi della legge se ne fa un baffo.
Ci sono altre soluzioni?
Ricordo che l’ultimo progetto di un “passante” dietro a Genova – da costruire tutto in zona impervia e problematico sia per le lunghe gallerie e sia per i numerosi corsi d’acqua a regime torrentizio da attraversare – da Genova-Voltri a Genova-Nervi fu del governo Craxi (anni ’80) ed il costo mi pare di ricordare intorno ai 5 miliardi di lire: poi giunse Tangentopoli, e tutto passò in cavalleria.
Per ovviare alla costruzione di una siffatta opera – anche perché l’intero tratto, fino al confine francese, fu pensato per il traffico turistico e la comune viabilità (dell’epoca), ed oggi è chiaramente insufficiente – da alcuni anni è possibile imbarcare i camion in un porto della costa spagnola (in genere, Barcellona) fino al porto di Genova (e, ovviamente, viceversa).
Si tratta della soluzione migliore, a patto d’imbarcare solo i semirimorchi e non l’intero autosnodato: perché far viaggiare un trattore sulla tratta marittima? A dormire nella stiva di una nave? Con gli autisti, anch’essi, ospitati a bordo? I semirimorchi, giunti a destinazione, verrebbero presi in consegna da altri conducenti che li condurrebbero a destinazione.
I pro ed i contro di questa soluzione?
I contrari sono, ovviamente, le compagnie di trasporto su gomma, le quali affermano che il trasporto interamente su gomma è più veloce: certo, però se si rispettassero i limiti di velocità non sarebbe poi così conveniente. Per questa ragione li osserviamo correre ben oltre i 100 Km/h.
I costi sono grosso modo equivalenti: anzi, se si considera che i motori dei camion non sono in funzione durante la tratta marittima, forse la nave conviene. Se si spedissero i soli semirimorchi sarebbe probabilmente ancor più conveniente.
Una soluzione del genere risolverebbe il problema dell’affollamento autostradale, restituirebbe l’autostrada al traffico locale/turistico senza apocalittici ingorghi ogni volta che accade il seppur minimo incidente.
L’Italia non dovrebbe accollarsi il costo d’ammodernamento di un tracciato autostradale – non pensiamo alla ferrovia, la Savona Ventimiglia è quasi tutta a binario unico! – e s’ovvierebbe ai pericoli del traffico incontrollabile che oggi si registra.
In fin dei conti, il Corridoio 5 – mai decollato – ha lasciato questa pesante eredità: è pur vero che il volume di traffico è quasi inesistente sulla tratta Lione-Torino (e viceversa), anche perché i trasporti corrono più a Sud, sull’autostrada spagnola e francese meridionale e poi sull’autostrada italiana. Ma esistono, e sono andati ad infagottarsi su un’autostrada pensata e costruita solo per il traffico locale e turistico.
Sinceramente, ho sempre pensato che la TAV fosse un’opera inutile: serviva solo ad acchiappare fondi europei ed a creare tangenti con il solito sistema delle aziende che prendono i soldi e poi svaniscono in un fallimento. Già programmato dall’inizio.
Ci vorrebbe una legge come quella danese, che stabilisce costi e tempi già nella gara d’appalto e prevede un carico penale (ossia galera) per chi non rispetta i termini?
Aziende italiane hanno partecipato alla costruzione del ponte che collega la Danimarca alla Svezia e nessuno ha avuto problemi: quando qualche alto dirigente deve consegnare il passaporto negli ultimi sei mesi prima della scadenza dei termini di consegna, ci si pensa due ed anche tre volte ad invocare il solito “incremento dei costi d’opera e l’allungamento dei tempi di consegna”.
Prima di salutarla, mi sono ricordato che lei è cremonese. Il nome “Pizzighettone” non le dice nulla? Lo so, non può non sapere. E’ proprio dalle sue parti.
Pizzighettone, ad una dozzina di chilometri da Cremona, è il luogo dove s’è arrestato il canale navigabile Cremona-Milano, che doveva collegare la grande zona industriale lombarda con il mare Adriatico. Un’impresa che era riuscita agli austro-ungarici nel 1829, quando inaugurarono il collegamento fluviale da Locarno, via Milano, a Venezia.
Certo: altri tempi, diverse necessità, altre navi, differenti obiettivi. Qui, la cronistoria dei fallimenti italiani.
Oggi, una nave fluviale europea del tipo V porta l’equivalente di 84 autotreni, che toglie dalle sempre intasate autostrade: navi che oggi sono spinte dai diesel, ma è già prevista la transizione a metano, domani addirittura elettrica.
Abbiamo tutto: il grande fiume, il canale (50 Km da completare), Fincantieri (azienda pubblica, fra le migliori al mondo) che può costruire tutte le navi che desideriamo. L’UE è disposta ad accollarsi la metà della spesa per terminare il canale, che ammonta a due miliardi.
È mai possibile che riusciamo a costruire “pezzi” di canale (come l’idrovia Padova-Mestre) per poi abbandonarli al loro destino e lasciarli alle società di pesca sportiva?!? C’è da darsi i pizzicotti. Ovvio: terminati gli appalti – e le relative tangenti – s’abbandona il canale e si passa alle tangenziali.
Spero che lei possa farci qualcosa: vedrà che fare il Ministro dei Trasporti non è poi così male, ci sono anche i progetti di dirigibili – che consumano 1/6 degli aerei per carico commerciale pagante, e che domani (con moduli fotovoltaici flessibili sull’involucro esterno) saranno praticamente autosufficienti dal punto di vista energetico – che aspettano qualcuno che s’interessi a loro.
Il M5S s’è battuto per anni su queste tematiche: oggi è il momento d’attuarle. Forza, ragazzi!
(8 giugno 2018)
Link articolo: Caro Ministro Toninelli