di Paolo Bartolini
Inutile negarlo, sarebbe snob e controproducente. Il mostro a due teste gialloverde (M5S-Lega) raccoglie un certo consenso popolare. Per la radicalità dei contenuti? Per la democraticità del progetto? Per la lungimiranza delle posizioni su temi chiave del vivere associato? Non credo. Piuttosto penso che l’uso abile della comunicazione (su internet ma non solo) sia stata l’arma vincente di questa compagine incerta che, per dirlo chiaramente, nemmeno si era presentata insieme come coalizione alle elezioni. Il capolavoro “populista” è stato quello di cavalcare, a parole soprattutto e meno nei fatti, lo scontro di principio contro il vecchio marciume del finto bipolarismo italiano.
Insomma, pur di dare una pedata nel fondo schiena a Renzi e ai patti del Nazzareno, gli italiani – secondo me – avrebbero accettato persino un governo espressamente neofascista “Lega-Casa Pound-Fratelli d’Italia”. È curioso infatti che nessuno, nei mesi “del cambiamento”, abbia battuto ciglio sul fatto che Salvini e i suoi sono stati per interi lustri impegnati con Berlusconi a sfasciare il Paese. È bastato, al Matteo furioso e paraculo, inseguire l’esempio della Le Pen per ripulire il grezzo secessionismo bossiano convertendolo in un orgoglioso nazionalismo 2.0. Il Movimento 5 Stelle, da parte sua, fomentando lo spirito anticasta e rinunciando metodicamente a pronunciamenti critici verso il capitalismo, ha rassicurato la pancia degli italiani, che manco morti vogliono democrazia e giustizia per tutti, bensì conservare più benessere possibile a fronte delle tempeste perfette scatenate dall’economia globalizzata. Un giorno c’erano i no global, che piaccia o meno avevano ragione su moltissime cose, ora abbiamo i trumpisti de noantri, amanti del ripiegamento identitario, del “prima gli italiani”, dell’orgoglio localista.
Nel quadro odierno il M5S si pone in modo oscillante: chiude un occhio sugli eccessi degli amici e sui loro trascorsi, tenta piccole innovazioni nel campo del lavoro, baratta un reddito di cittadinanza continuamente rimandato con una flat tax a misura di ricco, dà voce a una classe media e subalterna che non sogna più una trasformazione per tutti, ma si offre al meno peggio vinta dall’astio nei confronti dei traditori della Patria.
Si invocherà il realismo in questo momento storico, ma la realtà è intrisa di immaginario, di progetti e visioni del mondo. Quali siano, per i gialloverdi al potere, non è dato sapere. Tuttavia: sarebbe buono e giusto, per vari motivi, che PD, LEU e altri partiti ex di sinistra sparissero per sempre. Almeno quelli che hanno contribuito negli ultimi trent’anni allo sfacelo italiano. In quel momento Lega e M5S perderebbero l’80% della loro ragione d’essere. E forse, se avessero di fronte una proposta politica realmente democratica e radicale, i cittadini italiani si accorgerebbero di una cosa triste ma vera: la Lega è sopravvissuta al centro-destra estremizzando gli aspetti populisti di Berlusconi e flirtando con la zona grigia dei simpatizzanti del fascio; il MoVimento è entrato in scena per colmare il vuoto dovuto a una sinistra assente e ipocrita, e si è installato al crocevia tra desiderio di nuovo e qualunquismo. L’unico problema è che, per il solito circolo vizioso, i politici in carica rispecchiano i loro elettori.
Dunque il mio auspicio è vano se le persone comuni, i fantomatici cittadini, non accettano la dura fatica del pensare, dello studio, della critica costruttiva, della partecipazione. Nel nostro piccolo proviamo a far circolare le idee, le emozioni, le ragioni di un’alternativa al sistema e ai suoi puntelli “populisti”. E non storciamo il naso se, per molto tempo ancora, i “più” preferiranno non vedere. In quanto esperti di sconfitte dovremmo imparare a pazientare e a gettare i semi del futuro. Ci vuole tempo affinché cresca qualcosa. Oggi, nel 2018, è pura follia sognare qualunque rivoluzione, ma esercitarci per rendercene degni – come ha scritto saggiamente qualcuno – è non solo possibile, ma necessario. Non conosciamo il nome, i nomi, delle possibili eutopie che ci attendono (ecosocialimo? democrazia sostenibile? benecomunismo?), ma siamo chiamati a prefigurarle qui ed ora, tentando ogni giorno di produrre degli scarti, delle linee di fuga per resistere al presente. In nome di quel futuro che vogliamo riaprire.