Nell'ora di Joe Biden

Con la nuova amministrazione non dobbiamo attenderci grandi cambiamenti nelle scelte di fondo degli USA. Il pilota automatico poggia i piedi su un sedimento di opzioni imperiali

Nell'ora di Joe Biden
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7 Novembre 2020 - 23.30


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di Pino Cabras.

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Nell’ora di Joe Biden, rispolvero quel che scrisse beffardamente Gore Vidal: «la democrazia americana è un’aquila che ha due ali: entrambe destre». In realtà la questione di quali valori e quali classi sociali rappresentino destra e sinistra si è profondamente rimescolata negli ultimi anni, proprio quelli che hanno visto Donald Trump fare il pieno di voti fra gli operai nel 2016 e aumentarli di 7 milioni nel 2020. Non gli sono bastati. Anche i democratici hanno fatto i loro rimescolamenti, soprattutto con l’aiuto delle grandi centrali del soft power statunitense, arruolate in una battaglia che prevede dosi crescenti di silenziamento ed emarginazione delle voci difformi. È una campagna appena agli inizi e si inasprirà. I media saranno un terreno di scontro in cui la libertà di espressione sarà combattuta con la retorica della libertà di espressione. Una volta che le redazioni hanno imparato a indossare l’elmetto, non se lo tolgono più.
Ma – rimescolamenti a parte – la battuta del grande scrittore statunitense vale ancora oggi per dirci che con la nuova amministrazione non dobbiamo attenderci grandi cambiamenti nelle scelte di fondo della potenza nordamericana. Il pilota automatico del governo di Washington poggia i piedi su un sedimento di opzioni imperiali su cui l’inquilino pro tempore della Casa Bianca può interpretare sì qualche variazione, purché si muova lungo i binari di una tenace continuità. Per le correnti profonde che muovono il potere USA (e che muoveranno anche la mano del vecchio oligarca Biden), la Cina – ad esempio – rimarrà un avversario strategico su cui aumentare la pressione, magari da altre angolazioni rispetto a quelle della squadra trumpiana. Poco cambierà a Gerusalemme. Nulla o quasi cambierà nelle spese militari. Ci sarà probabilmente un tentativo di indebolire le saldature eurasiatiche di Pechino con Mosca. Per contro cambierà e dilagherà il favore per i complessi industriali e finanziari che hanno radici nella Silicon Valley, nel frattempo a loro agio con gli shock del fenomeno Covid. Staremo a vedere.
In questi anni noi occidentali abbiamo impartito lezioni a destra e a manca verso molti paesi ingerendoci nei loro processi elettorali per delegittimare i vertici degli stati. Non dovevamo. Non dobbiamo farlo nemmeno guardando verso Washington, ma non dobbiamo nemmeno tacere quanto le patologie del sistema elettorale statunitense influenzino gli USA e il mondo.
Per la seconda volta in vent’anni, le assurdità del sistema elettorale statunitense rendono controverso il passaggio di consegne. Nel 2000 il democratico Al Gore cedette seppure a malincuore alle decisioni per via giudiziaria. Nel 2020 il repubblicano Trump annuncia di far conto sui ricorsi, ma il poderoso carico di legittimazioni già attribuite a Biden in via mediatica e politica su scala planetaria difficilmente sarà ignorato dalla Corte Suprema (se i ricorsi vi arriveranno) nonostante quell’organo collegiale costituzionale abbia una netta maggioranza repubblicana. Dunque è prevedibile che nulla impedirà davvero a Joe Biden e alla vicepresidente eletta Kamala Harris di abitare al n. 1600 di Pennsylvania Avenue. Avranno un’onda potente a sospingerli, ma rischieranno di ignorare e sottovalutare l’onda quasi altrettanto potente che nel 2016 aveva fatto vincere un assoluto outsider come Trump e ha nel frattempo rimodellato i riferimenti di una metà della popolazione degli Stati Uniti che per anni non deporrà le sue armi. Letteralmente.
Chiunque stia da ora nello Studio Ovale, qui oltre l’Oceano dovremo far valere fermamente i nostri interessi, senza timori reverenziali, a partire dal Mediterraneo. Non dovremo sottostare nemmeno alle sollecitazioni della vecchia ala clintoniana che potrebbero metterci in rotta di collisione con Mosca. Anche in questo caso l’interesse per la pace e il disarmo è vitale per l’Europa. Una piccola bussola per un tempo di trasformazioni profonde.
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