Essere putt*na dall'inizio alla fine. Come cadono le maschere

La frase di una concorrente a Sanremo ci rivela questo: non è la nostra 'artista' ad aver frainteso, ma siamo noi a fraintendere la nostra società. [Andrea Zhok]

Essere putt*na dall'inizio alla fine. Come cadono le maschere
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7 Febbraio 2023 - 23.12


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di Andrea Zhok.

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Pare che un’artista da festival di Sanremo (sì, lo so che insieme “artista” e “Sanremo” è un ossimoro) se ne sia uscita dicendo di voler “essere putt*na dall’inizio alla fine” specificando che con ciò “intendo una persona decisa, che sa quello che vuole”.

Credo che questa precisazione semantica della signora sia un interessante indice culturale. Noi potremmo essere tentati di emendarla, di condurla di fronte ad un vocabolario e farla ricredere sui suoi usi verbali, ma si tratterebbe di un fraintendimento. La suddetta non ha inteso male; ha semplicemente usato quella parola in modo coerente con i modelli culturali e cinematografici a disposizione (e ricordiamo che l’uso delle parole è la matrice del loro significato). Dopo tutto come si presenta la “putt*na” in una grandissima parte della cultura e della cinematografia pop contemporanea? Una putt*na è una soggettività lavorativamente esemplare, “scevra da superflui moralismi”, che si vende in modo altamente flessibile al miglior offerente.

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In certo modo si tratta di una rappresentazione esemplare dell'”imprenditore di sé stesso”, qualcuno che non solo investe senza remore il proprio “capitale umano”, ma ottiene un vantaggio proprio grazie alla capacità (rispetto a chi soffrisse ancora di qualche ritrosia) di “fregarsene di quello che pensano gli altri”. Per tutte queste ragioni siamo anche di fronte a soggettività che possono gabellarsi come forme di “femminilità altamente emancipata”, autoassertiva.

Lasciamo da parte la questione, ovvia, della trasfigurazione che avviene sempre nella cinematografia (le putt*ne da film non hanno se non trascurabili similitudini con quelle reali, e il tasso di “glamour” di queste ultime è tipicamente deplorevole). Il punto centrale è che la rivalutazione concettuale della prostituzione è in effetti perfettamente coerente con tutti i messaggi di fondo della società contemporanea, e dunque non è la nostra “artista” ad aver frainteso, ma siamo noi a fraintendere la nostra società, se pensiamo che abbia inteso male le parole. Parlare di una putt*na come di una “persona decisa, che sa quello che vuole” non è scorretto, ma semplicemente dà per scontata la società contemporanea e le sue linee valoriali di fondo. Infatti in questa cornice essere “decisi” significa “non farsi scrupoli per ottenere quel che si vuole”, e “sapere quel che si vuole” significa “concentrarsi autoreferenzialmente sugli ‘affari propri'”, che si risolvono in ‘ottenimento di premio monetario’.

E qui esistono nella nostra società due gruppi di atteggiamenti di fondo: uno che da questo quadro trae la conclusione che viviamo in un mondo che dev’essere azzerato e ricostruito; ed un altro che pensa che assistiamo ad un altro rinvigorente progresso verso la “caduta delle maschere” e la “liberazione dai retaggi”. Purtroppo sono due mondi che non possono più comunicare e che convivono nella nostra società come forme di esistenza incompatibili, in guerra terminale, finché una non sradicherà l’altra.

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Fonte: https://www.facebook.com/andrea.zhok.5/posts/pfbid0cRfeb8QZAjtf2KzCDDMuneMuz5PSJWw6GP57SoquLYmi1nkAUjkPnYyQhfs9sqzzl.

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