di Giorgio Cremaschi.
Chi non ricorda il pianto della ministra Fornero, quando nel 2011 il suo governo guidato da Monti tagliò le pensioni? Ora sorriderà, visto che la Corte Costituzionale, smentendo sé stessa, ha dato ragione a lei e ai suoi successori.
Nel 2011 il governo aveva bloccato la rivalutazione, già di per sé minima, di gran parte delle pensioni rispetto all’inflazione. Nel 2015, con la sentenza numero 70, la Corte Costituzionale aveva bocciato il blocco delle pensioni, tranne che per quelle realmente d’oro. Il governo Renzi rispose con un decreto che dava una piccola mancia ad un parte dei pensionati più poveri, non dando nulla o quasi a tutti gli altri. Gli operai e gli impiegati andati un pensione dopo 40 e più anni di lavoro ricevevano un rimborso molto parziale, di fronte a perdite medie di oltre 3000 euro, per pensioni non certo da nababbi. Nella sostanza il governo rimborsava ai pensionati circa un decimo di quanto aveva tagliato. Nello stesso tempo il governo confermava la malafede di tutta l’operazione, concordando con le solite Cgil Cisl Uil che a partire dal 2019 si dovrebbe ricominciare a rivalutare le pensioni contro l’inflazione. Se il governo stesso ha riconosciuto che nel futuro quei soldi in più dovrebbero essere garantiti ai pensionati, ha anche ammesso che nel passato è stato leso un diritto.
Nonostante la passività e la complicità dei sindacati confederali, migliaia di pensionati, da soli o con i sindacati di base, fecero causa a governo ed INPS, chiedendo il rispetto della sentenza della Corte Costituzionale. Molti giudici trovarono ragionevoli quelle richieste e rinviarono le cause alla stessa Corte, presumendo evidentemente che se un governo non ne rispetta le sentenze, tocchi ad essa intervenire.
Invece la Corte Costituzionale ha detto che va bene così e che Renzi e Poletti hanno trovato “un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica”. Non irragionevole è un giudizio falsamente cauto e totalmente ipocrita, che afferma un principio catastrofico per tutti i diritti, non solo per quelli dei pensionati, affermati nella prima parte della Costituzione. Quei diritti infatti ora dovranno essere “bilanciati” con le esigenze della finanza pubblica. È l’inversione del senso stesso della nostra Carta, che, in particolare nell’articolo 3, afferma che é compito della Repubblica, e delle sue finanze, realizzare l’eguaglianza e i diritti sociali. Ora sono quei diritti che devono concorrere a far quadrare i conti della finanza pubblica. Cioè quei diritti non esistono più, sono diventati donazioni concesse quando avanzano soldi.
Per arrivare a questo stravolgimento si è dovuta modificare la stessa Costituzione, con un voto quasi unanime del parlamento del 2012, che ha riscritto l’articolo 81 secondo i dettami dell’austerità della Unione Europea e del suo Fiscal Compact. Trattato che dovrebbe essere definitivamente approvato con i suoi folli vincoli entro la fine dell’anno, ma che intanto ha visto i suoi principi inseriti nella nostra Carta. Come una nido di tarme in un armadio.
La Corte Costituzionale ha deciso che il nuovo articolo 81 venga prima di qualsiasi diritto, ma per giungere a questa conclusione ha avuto bisogno di un aiutino e di una campagna ideologica.
Con le nomine di Napolitano e poi con quelle del governo Renzi, la maggioranza della suprema istituzione democratica è cambiata ed è diventata liberista. Un gruppo di parlamentari di PD e affini ha presentato un progetto di revisione dell’articolo 38 della Costituzione, quello che parla di diritto al reddito, pensioni comprese. Si dovrebbe armonizzare questo articolo con il nuovo articolo 81. Non c’è alcuna possibilità che il parlamento approvi tale modifica prima delle elezioni, ma intanto è stata presentata e i giudici costituzionali l’hanno sicuramente letta.
Infine c’è il terrorismo contabile sui costi di ogni intervento che modifichi la Fornero, sui tagli alle pensioni come sull’età pensionabile. Il capo dell’INPS è il più sfacciato nello sparare numeri. 20, 30, 100 miliardi lanciati dai mass media come costo di un diritto. Questi costi sono calcolati al massimo e su decine e decine di anni. È questa una vera mascalzonata, una sostanziale fake news, come se un imprenditore sommasse il costo del salario di un dipendente per venti anni e dicesse che è una cifra esorbitante.
I pensionati italiani negli ultimi dieci anni hanno versato 500 miliardi di tasse allo stato italiano, con la logica di Boeri dovrebbero pretenderne indietro almeno la metà.
Purtroppo pero l’arroganza della propaganda di regime riesce a imporsi, facendo credere all’opinione pubblica che i diritti costituzionali costino troppo e che tutte le altre spese siano invece giuste. Così le pensioni diventano il bancomat cui ogni governo può rivolgersi per far quadrare i suoi conti.
Come è chiaro nella sintetica e brutale motivazione della sua sentenza, la Corte Costituzionale, cambia campo e annulla la stesso significato sociale della Costituzione del 1948, non solo sulle pensioni, ma su ogni diritto. Tutto deve sottostare alle compatibilità di bilancio, non ci sono più diritti indisponibili, ma solo diritti compatibili. È una regressione mostruosa sul piano giuridico e della stessa democrazia, contro la quale si dovrebbe sollevare tutta la condanna di chi ha difeso un anno fa la nostra Carta dalla controriforma renziana. Dobbiamo impedire che, nel nome della Unione Europea e del suo Fiscal Compact, i diritti costituzionali vengano cancellati da quella stessa Corte che dovrebbe difenderl
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