di Giuseppe Masala.
Ieri come da tradizione nella Sardegna profonda sono stati accesi i Fuochi di Sant’Antonio. Che “su Karrasegare” abbia inizio. Questa festa tradizionale con il Carnevale propriamente (e commercialmente) detto ha poco a che fare: non è fatto di scherzi, dolci, allegria. Su Karrasegare con il Carnevale ha in comune solo il concetto di maschera.
Quello sardo (della Barbagia, e delle zone interne in generale) è un vero e proprio Rito Dionisiaco, scandito al ritmo del suono cupo dei campanacci e che ha la funzione di evocare la rinascita della Terra. Ed è in questo limbo tra un inverno che non vuole finire e una primavera che non vuole arrivare che le notti del Karrasegare si popolano di mostri mezzo uomini e mezzo animali e dei loro cacciatori umani. Di pazzi che raccontano la Verità. Merita una parola in più Maria Filonzana, la maschera femminile che fila la lana e tesse le trame del destino degli uomini.
Ciò a cui si dà forma con Su Karrasegare è – di fondo – l’animo degli uomini, i loro sogni profondi e i loro incubi irraccontabili perché impalpabili.
Karrasegare è quel sottile senso di angoscia inesprimibile e che più forte si fa più si accumulano i mesi invernali. È un sottile senso di angoscia che va esorcizzato nelle notti di questo periodo grazie al plurimillenario rito dionisiaco fatto di vino forte e scuro come la notte e di faa cun lardu (una zuppa di fave e lardo).
Nelle belle foto di Rosario di Lucrezia che ho corredato è rappresentata la serata di ieri ad Ottana. Particolarmente significativa la foto dall’alto dove sullo sfondo si scorgono le ciminiere della Petrolchimica ormai ferro arrugginito. La Kultur è l’Eterno, la Zivilisation è l’Illusione e l’Effimero.