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di Giulietto Chiesa.
Che farà il Movimento 5 Stelle nelle prossime settimane e mesi? Che sta succedendo là dentro?
Intendendosi per “là dentro†i diversi livelli della sua esistenza: la base elettorale, la base dei militanti, il vertice centrale. Che ormai da diversi mesi non è più composto solo dai due proprietari del partito, ma si è allargato a un “direttorio†di loro fiducia.
Domande che sono in molti a porsi, e non per peregrine curiosità . Infatti il M5S è al momento la più importante forza di opposizione nel paese e nel parlamento. Si potrebbe dire che è anche l”unica (in parlamento) degna di questo nome.
Cercare di capire è molto importante sia sotto il profilo italiano, cioè interno, sia sotto quello internazionale.
La crisi europea galoppa ad alta velocità e l”Italia di Renzi naviga a vista sotto gli ordini della Germania.
Ma il M5S non è andato oltre la raccolta firme per l”uscita dell”Italia dall”euro: la sua voce si è sentita poco su altri fronti, come quello della crisi greca.
Grillo è andato ad Atene a sostenere il “no” all”austerità , ma non ha trovato sintonia con Syriza (non l”ha nemmeno cercata).
Adesso, a quanto pare, il blog di Grillo sposa la tesi del “tradimento” di Tsipras, tanto cara a gran parte delle sinistre radicali italiane e anche a una parte delle destre, ma non aggancia (non sembra che ci provi nemmeno) neanche Varoufakis, il quale ha recentemente chiarito che neppure lui ritiene utile uscire dall”euro.
In altri termini non si vede e non si sente l”indubbia forza che il M5S rappresenta.
Per ora, poiché le ultime due prove elettorali hanno detto che il Movimento — sempre più partito, come vedremo tra poco — sta palesemente soffrendo un calo di popolarità tra gli elettori. Le recenti elezioni regionali hanno fatto registrare una perdita di circa 900.000 voti rispetto alle europee del 2014. Perdita che, essendo stata minore percentualmente del crollo degli avversari e del dilagare dell”astensionismo, ha dato l”impressione di una vittoria (e così l”ha commentata il vertice del partito). Ma la flessione è stata grande. Anche perché è venuta un anno dopo la secca contrazione registratasi nelle elezioni europee, con quasi due milioni in meno rispetto alle politiche trionfali del 2013. C”è chi — affidandosi ai sondaggi — pensa che si tratti di una crisi passeggera. A Roma, in piena “mafia capitale”, il M5S è in testa come primo partito. E a livello nazionale sembra tenere le posizioni (quelle attorno al 20%, cioè comunque in calo rispetto al 2013). Ma i sondaggi, in tempi di grandi cambiamenti, sono sempre meno attendibili.
È evidente che una parte dell”elettorato 5 Stelle manifesta segni di stanchezza. La promessa “cambieremo il paese” diventa sempre meno credibile e le carte sul tavolo si mescolano in forme incomprensibili ai più. E questo mentre prosegue l”emorragia tra gli eletti nelle due Camere, che hanno ormai complessivamente superato le trenta unità : un piccolo partito che si muove in ordine sparso nelle aule parlamentari, senza identità e esposto a tutti i venti e a molte lusinghe, rispetto alle quali è difficile resistere non avendo un asse di riferimento.
In realtà il problema riguarda prima di tutto quelli che sono rimasti dentro il partito.
Dopo due anni è ormai evidente che la politica è una faccenda molto più complicata che quella di “marcare l”avversario” facendo le pulci alla corruzione degli altri, presentando la lista della spesa agli elettori, proponendo buone leggi.
La mancanza di strategia è divenuta ormai lancinante. Da soli non si può far passare le buone leggi, bisogna negoziare con il nemico. E ci si deve compromettere. E spesso, non avendo criteri, ci si compromette male, in pura perdita.
Valga per tutte la recente vicenda RAI, dove i 5 Stelle si sono autoridotti alla funzione di comprimari.
Il problema appare però di più vasta portata.
Il personale politico portato in parlamento è quello che è, cioè non di altissimo livello. L”unica novità è stata la giovinezza anagrafica e la pulizia dei nuovi arrivati, per definizione estranei alle corruttele e camarille della classe politica. Molti si rendono conto solo ora, e a fatica, di nuotare in acque infide.
Grillo e Casaleggio non sembravano essersi resi conto, almeno fino alla fine dell”anno scorso, che altra cosa è sparare bordate contro il nemico, e altra cosa è guidare un gruppo parlamentare (per giunta di “homines novi” e inesperti).
Né l”uno, né l”altro, del resto, dotati delle necessarie competenze.
I meccanismi inventati dai due leader, a cominciare dal “non statuto”, per continuare con la democrazia in Rete, con “l”uno vale uno” (che si trasforma spesso in “Uno sono io e voi dovete obbedire”) hanno finito per paralizzare anche gli sforzi dei volonterosi, costretti, (anche se spesso teoricamente), a sottostare al giudizio di una miriade di inesperti, secondo il criterio della “casalinga al potere”.
Che va bene, sì e no, una volta su 100mila.
Così, per esempio, dopo essersi presentati alle europee senza un vero programma politico, hanno perduto il treno della guerra in Ucraina, rimanendo sostanzialmente in silenzio di fronte a una svolta politica dai riflessi mondiali. E facendosi bruciare da Salvini, che ha finito per portare via voti anche a loro.
Se ne sono resi conto, finalmente, e con grave ritardo, dando vita a un “direttivo” dei migliori, che sono sempre sotto un controllo, ma con le briglie allentate. E i migliori — che nelle intenzioni dovrebbero svolgere le funzioni che i due capi e il loro “inner circle” non possono svolgere — hanno cominciato ad agire. Con i metodi classici di un partito politico normale, cioè ignorando il “non statuto”.
Si segnalano tre iniziative importanti, come il convegno di Alba Mediterranea (in cui tra gli oratori principali hanno fatto la loro apparizione due nomi di non iscritti, Vasapollo e Minà ), il Convegno sui BRICS (fornendo la tribuna ai rappresentanti di cinque paesi non allineati con l”Occidente), e la recente iniziativa di una prossima delegazione di parlamentari che si recherà in Crimea (seconda dopo quella francese, a sottolineare la prudenza con cui i “migliori” si stanno comunque muovendo).
E ora? I tempi della crisi non aspettano. Un profilo “a metà strada”, per raccogliere voti a sinistra e a destra (come quello seguito, con numerose smagliature indecenti) non sarà sufficiente.
Ma non ci sono segnali — oltre alla stanchezza dichiarata di Grillo — di un cambio radicale.
Ma come può operare un cambio “radicale” un partito a cui è stata fatto credere di essere radicale, ma che radicale non è?
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