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di Giulietto Chiesa.
Tratto da pandoratv.it/?p=17232.
Sono le dodici, ora italiana. Squilla il telefono. All’altro capo del filo c’è Mikhail Gorbaciov.
«Hai notizie dell’incontro al vertice di Amburgo?».
Quello che dicono le agenzie, rispondo.
La sua voce è insolitamente forte, vibrante.
«Bene, lo sai cosa mi ha fatto venire in mente?». Non aspetta la mia risposta e continua. «Mi è tornato in mente che, quando cominciammo il dialogo sul disarmo con Ronald Reagan, dopo qualche giorno dai primi contatti riservati, mi comunicarono che alcune navi da guerra americane erano entrate nel Mar Nero e stavano avvicinandosi alle acque territoriali dell’Unione Sovietica. I miei, laggiù, mi chiesero: ‘Che dobbiamo fare?’ Io capii che era una provocazione. C’era qualcuno, al Pentagono, che quel dialogo non lo voleva. E così risposi: “Se entrano nelle acque territoriali, sparate. Ma non addosso, vicino”».
Ridacchia, Mikhail Sergeevic, dall’altra parte.
«Ecco, ho visto la stretta di mano fra Trump e Putin. Mi è piaciuta. È il primo buon segno. È un aggancio. Non bisogna perdere l’occasione. Ci saranno difficoltà, non piccole, ma questo aggancio è molto importante. Da qui si può partire per ottenere risultati che oggi molti ritengono impensabili. Scrivilo, scrivilo subito. Che si senta».
L’analogia è stringente. Mikhail Gorbaciov parla ormai raramente. Se decide di farlo è per le occasioni importanti, molto importanti. Questa, evidentemente lo è, ed è appesa a un filo molto sottile.
Il presidente USA Ronald Reagan e il Segretario Generale sovietico Mikhail Gorbaciov al primo vertice di Ginevra, in Svizzera.
[Foto Ronald Reagan Presidential Library photo id C31982-11]