di Giulietto Chiesa.
Ascoltando il discorso programmatico di Vladimir Putin per le prossime elezioni presidenziali viene in mente il detto di uno storico famoso, il quale riteneva che ci fossero due sistemi fondamentali per la guida delle organizzazioni umane:
quello di una élite che definisce il suo leader, e quello del leader di un paese che definisce, lui stesso, l’élite di cui si vorrà circondare e da cui dovrà essere sostenuto.
Vladimir Putin — dopo essere salito al potere, nel 2001, come espressione del primo sistema — sembra fare parte, oggi, del secondo “sistema”. Solo che non ha ancora completato, dopo sedici anni, la formazione della propria élite. Ma intende farlo adesso. Nel frattempo fissa gli obiettivi per quella élite che sta costruendo a sua immagine e somiglianza. E, certo, si spiega così il fatto che egli non abbia cercato investitura in nessuno dei partiti che occupano l’attuale Duma. Infatti il suo “vero” discorso d’investitura lo ha pronunciato davanti all’assemblea del Fronte Popolare Panrusso (ONF).
Il significato di questa scelta (da lungo tempo meditata) è evidente: il Presidente sarà espressione del popolo e non di questa o quella coalizione politica, di questo o quello schieramento. E viene ribadito ora con una piattaforma politica “triangolare”, assolutamente interclassista, apparentemente a-ideologica: statualità, libertà, stabilità.
Qualcosa che sta a indicare una Russia forte, in grado di rispondere a tutte le sfide, sia a quelle interne, sia a quelle esterne. Qui Putin ha ammesso francamente che “molti problemi restano da risolvere”, ma immediatamente rivendicando il proprio merito nell’avere eliminato definitivamente il pericolo del collasso statuale che incombeva sul paese nel momento in cui egli ne assunse la guida. Di quale pericolo parli il candidato Putin tutti sono consapevoli: quello di un paese senza prospettiva, di una nazione senza orientamento, incapace di fronteggiare la catastrofe economica e l’offensiva interna ed esterna del terrorismo.
“Noi abbiamo già dimostrato — ha esordito con la sua solita asciuttezza espositiva — di sapere trasformare in realtà i nostri piani più ambiziosi, di superare le prove più difficili nonostante le circostanze più imprevedibili”.
Tra questi traguardi, com’era da attendersi, Putin ha collocato il raggiungimento dell'”adeguata” capacità difensiva della Russia, e una “possente base di riserve”, sia finanziarie, sia tecnologiche, in grado di garantire “ulteriori balzi in avanti”. In questo contesto si colloca la visione di Putin in termini di salvaguardia della statualità. Per quanto concerne la “libertà” e la “stabilità”, esse, entrambe, dovranno svolgere la funzione ancillare di “garantire che i cambiamenti in meglio diventino irreversibili”.
Il segnale è, anche in questo senso, molto forte: non sarà consentito mettere a repentaglio la stabilità del paese. Segnale tanto rivolto all’interno quanto all’esterno. Non ci saranno rivoluzioni colorate in Russia, per lo meno nell’orizzonte lungo il quale può spaziare la vista di questo Presidente. I compiti sono dunque tutti “difensivi”.
Non c’è traccia di alcuna ipotesi espansiva, né dell’idea di presentare il “modello Putin” al resto del mondo. Lo indicano i compiti specifici che il presidente ha elencato, mettendo al primo posto quello di “risparmiare e moltiplicare il nostro popolo”; al secondo posto la “creazione di una nuova economia”; al terzo posto lo “sviluppo dell’Artico, dell’Estremo Oriente e della Siberia”; al quarto posto quello delle “nuove tecnologie”, della educazione.
Cosa succederà dopo il 2022 (il mandato presidenziale è stato portato da 4 a 6 anni) non è possibile prevederlo, nemmeno lontanamente. Putin avrà allora 70 anni. Troppo giovane per lasciare il potere.
Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201712255441886-programma-vladimir-putin-opinione-chiesa/.
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