di Giulietto Chiesa
L’italia è improvvisamente assurta agli onori delle cronache internazionali. Grazie al voto del 4 marzo e al terrore del “populismo”, affacciatosi prepotentemente sulla scena della politica di uno dei paesi fondatori dell’Unione Europea. In effetti fino a ora a Bruxelles tutti erano convinti che si potesse andare avanti come prima, con governi nazionali già comprati in anticipo (insieme ai rispettivi parlamenti) per svendere le rispettive sovranità a “istanze superiori” prive di ogni funzione rappresentativa.
Il voto italiano ha mostrato che le cose erano cambiate risolutamente: due partiti anti-establishment sono arrivati al governo (dopo note traversie che qui non richiameremo) conquistando una solida maggioranza in entrambe le camere italiane. Il risultato è stato così potente da vanificare ogni estremo tentativo di bloccare il loro accesso al potere. Il presidente della Repubblica, Mattarella, dopo averci provato maldestramente, ha dovuto varare comunque un governo “euroscettico”. Il primo dalla costituzione dell’Ue. E in uno dei Paesi fondatori dell’Ue.
L’allarme si è propagato in un attimo in tutte le venature della possente costruzione burocratico-bancaria che guida l’Unione delle Repubbliche Europee. E le reazioni di panico che hanno fatto seguito hanno permesso finalmente di vedere, in tutta trasparenza, la fisionomia del punto di collisione. È stata una specie di “epifania”, dove si è toccato con mano un punto di non ritorno che, fino a ieri, era rimasto invisibile: i popoli possono votare e scegliere le loro opzioni, ma solo all’interno di un involucro cerimoniale, formale. Quando le loro opzioni toccano il confine della “mappa” disegnata dai Poteri (ricordate la barchetta, che arriva ai bordi del Truman Show?), esse devono cedere il passo al meccanismo dei “mercati”.
È dai “mercati” che deriva la legittimazione. Che non è più, per definizione, democratica. Tra i sacerdoti dei mercati ci sono perfino gli intemperanti, come il commissario europeo (tedesco) Oettinger, che minacciano i popoli puntando il dito e annunciando che i popoli dovranno “imparare a votare proprio dai mercati”. E c’è stato addirittura chi ha anticipato il futuro in questi termini: “Saranno i mercati a votare per conto dei popoli”. Solo un cieco non vede la fine della democrazia liberale di cui l’Occidente continua, ormai indebitamente, a vantarsi.
Non c’è discussione. “There is no alternative” diceva già la signora Thatcher. Così parlò anche Mattarella. Così parlerà Mario Draghi. Così pensano a Bruxelles. Tutti (o quasi tutti). I sacerdoti supremi, che hanno officiato fino a ieri stando prudentemente dietro le quinte (stiamo parlando delle Agenzie di Rating) emergono ora sul proscenio con le loro decisioni inappellabili.
Si andrà per gradi, ovviamente. E, del resto, questa deriva è in atto da diversi decenni. Il voto resterà a presidio cerimoniale dell’ideologia ancora per un certo periodo di tempo. Il velo delle minacce e della propaganda continuerà a funzionare. Ai reprobi verrà detto che, chi insiste a chiedere sovranità, sarà punito con l’esclusione dal banchetto (per meglio dire delle briciole che cadono dal tavolo del banchetto).
Del resto il popolo bue che affollava i Giardini del Quirinale il giorno della festa della Repubblica è pronto a intonare l’Inno di Mameli e a lanciare ghirlande di applausi al Presidente Mattarella. È lo stesso popolo “irresponsabile” (e non potrebbe essere diversamente, poiché non sa) che ha prodotto la maggioranza di governo, legittima ma impossibile, che dovrà essere abbattuta con tutti i mezzi che la Banca – il nuovo padrone, ormai nudo – ha a propria disposizione.
(4 giugno 2018)
L’articolo è stato pubblicato su il Fatto Quotidiano.