‘ di Piero Pagliani – Megachip.
La guerra in Libia ha suscitato atteggiamenti che qualche anno fa sarebbero stati definiti paradossali, ma non lo sono più adesso: un”estesa indifferenza, sentimento maggioritario, e una generica ostilità alla guerra un po” più ampia a destra e ridotta ai minimi termini a sinistra. Fin qui una normale distribuzione di Gauss, che presenta la curiosità che per avere una riflessione sensata su quanto sta succedendo in Libia non bisogna leggere «Il Manifesto», ma «Il Giornale». Sarebbe dunque una usuale gaussiana se non fosse che si assiste anche a un largo consenso a sinistra, capeggiato da quello che, scusate il gioco di parole, era già stato il peggiore dei miglioristi del PCI: Giorgio Napolitano, non per nulla ringraziato calorosamente da O-bomba (così la sinistra statunitense chiama, non proprio affettuosamente, il proprio presidente).
Qualche giorno fa, mentre riflettevo sul fatto che alla manifestazione a Roma contro la guerra dopo una settimana di bombardamenti eravamo appena in 200, mi era venuta in mente una considerazione sconsolata: ormai siamo pronti anche a sorbirci un bombardamento atomico su Teheran senza alzare un sopracciglio.
Siamo ormai totalmente rimbecilliti non dalle TV di Berlusconi, ma da anni e anni di buonismo condito in salsa pseudo-marxista (la fine degli stati nazionali, il capitalismo mondializzato, la mitologia dello “spazio liscio” e del “nomadismo” alla Deleuze e Guattari, e via mistificando) o condito dall”ipocrisia piagnucolosa di cui è emblema Walter Veltroni e di cui sono grandi interpreti intellettuali le ginocrati tardo-femministe come Concita De Gregorio (che va in guerra «col cuore gonfio»), Rossana Rossanda (che mai ne ha azzeccata una e non poteva sicuramente più farlo dal suo salotto nella città , Parigi, dove i maître à penser sedicenti marxisti straparlano tanto quanto quelli prêt-à -porter ex-marxisti e il cui Sessantotto ha fornito, forse più che da noi, quadri eccelsi all”imperialismo, come Bernard Kouchner e Daniel Cohn-Bendit), o come Lidia Menapace (giustamente detta Menaguerra dopo che votò i crediti di guerra per il nostro corpo d”invasione in Afghanistan), con contorno di Giuliana Sgrena (per la quale se l”Iraq non è stato ancora normalizzato dalla pax americana la colpa è tutta di Al-Qa”ida) o di Ida Dominijanni, l”estatica Santa Teresa dell”obamismo.
Poi le guerre le fanno i maschi, per carità . Lo sappiamo. Ma il lavoro di devastazione capillare delle coscienze lo fa quel modo di pensare di cui oltre ad inarrivabili ciarlatani del mio sesso sono campionesse insidiose le maestre della cura politicamente corretta del proprio corpo e che mai (mai), hanno chiamato alla mobilitazione per protestare contro le centinaia e centinaia di migliaia di vedove e madri di bambini assassinati dall”imperialismo negli ultimi dieci anni (chissà , forse perché la famiglia è considerata un”ipocrisia reazionaria e qui da noi cattolica).
Quelle che si indignavano per una lapidazione che mai è avvenuta in Iran e non proferivano parola per l”esecuzione di una loro pari genere che contemporaneamente avveniva veramente negli Stati Uniti.
So benissimo che non sono sole ma accompagnate da maschi più o meno arroganti e che possono essere benissimo peggio di loro. Ma di fronte al cliché della donna intrinsecamente buona perché generatrice di vita questo inedito affollarsi di donne nella lunga e metodica preparazione del terreno culturale per una guerra imperiale diventa una sorta di cartina di tornasole per la sinistra tutta. È qui che possiamo comprendere un importante perché di una sconfitta epocale che ancora deve consumarsi e lo farà con fuochi d”artificio bellici sempre più a forma di fungo.
Ho sempre pensato che ho molto da imparare dal genere femminile. E ancora lo penso. Ma non da queste prefiche dei diritti di genere e dei più generali “diritti umani”, da loro usati come manganelli per picchiare sulla testa di chi non accetta che questi diritti siano usati come armi geostrategiche al pari delle pipelines.
Poco importa se poi alcune di loro all”ultimo momento siano sgattaiolate dietro a un generico no alla guerra. Il risultato è comunque il caos, la coscienza allo stato gassoso. Guardate i commenti dei lettori di sinistra. Si dividono tra quelli che non capiscono come dai ragionamenti svolti si possa arrivare ad un no alla guerra e quelli che viceversa non capiscono come dal no alla guerra si possa arrivare a quei ragionamenti.
Ragionamenti che come obamiani bombardieri invisibili hanno superato quelli dei loro degni compari maschi, bushiane fortezze volanti B52, più sputtanati perché più evidenti e prevedibili, facendosi carico di un compito preciso: tenere sgombre le nostre menti e le nostre coscienze da ogni ostacolo per farle diventare piste di lancio per i bombardieri umanitari.
Ormai l”imperialismo, nella stretta della crisi sistemica, è pronto a fare qualsiasi cosa. Le nostre coscienze, al contrario, non sono più pronte a fare alcunché.
Mission accomplished!
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