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Se c”è una lezione che è possibile trarre dalle cosiddette primavere arabe, è che anche fenomeni planetari o regionali di tale intensità ed estensione hanno accoglienza diversa in ogni paese. Esiti diversi in paesi diversi e reazioni diverse della comunità internazionale per ogni paese dimostrano un procedere caotico della storia che lascia poco spazio all”ipotesi di complotti e molto alla fantasia di quanti sono nella posizione di approfittare di rivolgimenti di tale portata. La stessa attenzione dei media in Occidente è lo specchio d”interessi esogeni ai paesi arabi, destinati ad influire su queste crisi e sui loro sviluppi, animando un triste Risiko che ha le sue radici nel colonialismo europeo.
Le crisi vengono porte all”attenzione delle opinioni pubbliche in maniera selettiva, alcune diventano emergenze epocali, altre degradano a notizie date di corsa e presto spariscono.
È il caso sicuramente dei paesi del Golfo, coperti da una riservatezza rimarchevole che protegge sia l”autocrate yemenita Saleh che le monarchie che dominano il resto della penisola. Saleh se ne deve andare anche secondo sauditi e americani, ma nessuno si è sognato di chiedere all”ONU di bombardarlo, nonostante sia protagonista di una repressione brutale resta un alleato da trattare con i guanti bianchi.
Per le monarchie del Golfo la questione non si pone neppure, la repressione in Bahrein, le grottesche leggi medioevali con le quali i sovrani sauditi hanno vietato ogni protesta, la rivolta in Kuwait e le proteste negli altri emirati e sceiccati non conquistano le prime pagine della stampa. Persino la recente rivolta degli egiziani contro i militari, garanti dei rapporti con Washington e Ryiadh, ha impiegato molte ore per raggiungere le rime pagine e prevedibilmente ci resterà pochissimo.
La Siria non è solo un paese più grande e in un posizione più delicata, è proprio tutta un”altra storia, la storia di un regime che allo scoppio delle proteste godeva ancora di un relativo consenso da parte di una popolazione che appariva spaventata dal caos e dalla violenza che aveva potuto osservare prima nel vicino Iraq e poi nei paesi arabi recentemente impegnati nei cambi di regime.
Questo non ha impedito che tra proteste e repressioni brutali, spesso accompagnate dall”annuncio di riforme e buone parole, il numero dei siriani ostile al regime sia cresciuto esponenzialmente in pochi mesi, provocando spaccature nel regime e un numero di morti e feriti impressionante. Alcune aree del paese sono ormai zone di guerra e molti disertori e cittadini siriani sono già fuggiti chiedendo asilo in Turchia, segno evidente che l”esercito siriano è più impegnato nella classica repressione a tappeto che nel contrasto ai pochi “terroristi” che dice impegnati a minacciare la quiete e contestare la legittima autorità .
Così dopo un periodo iniziale nel quale il governo di Erdogan ha chiamato Assad alla ragionevolezza, la Turchia è passata all”azione, mobilitando le truppe alla frontiera e diventando il principale protagonista della crisi, arrivato a troncare i rapporti tra la banca pubblica turca Ziraat e la controparte siriana Commercial (e con questi l”afflusso di valuta estera a Damasco) o a tagliare la fornitura di energia elettrica. Il governo turco è ormai pronto ad ospitare ufficialmente una rappresentanza del Consiglio Nazionale Siriano, che in teoria riunisce le diverse anime dell”opposizione siriana.
Una postura decisamente offensiva, che forse prelude a un intervento “umanitario” delle truppe turche in un prossimo futuro, ma che per ora si limita ad offrire protezione agli esuli e agli oppositori siriani, con grande dispiacere di Damasco, che ha visto raffreddarsi anche i suoi rapporti con Teheran, presto dissociatasi ipocritamente dalla repressione. Ipocrisia che è la vera cifra delle prese di posizione internazionali attorno alla crisi siriana e non solo perché Assad da quando è salito al potere ha sempre goduto di buona stampa e grande considerazione. E non solo perché la Siria si è accollata due milioni di profughi dall”Iraq dalla sera alla mattina senza dar di matto come un ministro leghista.
Le monarchie arabe che hanno ritirato gli ambasciatori per protesta contro la repressione non sono state meno ipocrite e le dichiarazioni di Stati Uniti e UE non hanno mancato di rimarcare l”antico istinto coloniale nell”imporre la soluzione gradita, nell”avere la pretesa di sapere cosa deve fare il regime e come dovrà evolvere la situazione in Siria.
È probabilmente per questo insieme di motivi che la Siria non fa notizia nonostante abbia forse superato il confine tra le proteste e la guerra civile e nonostante l”elevatissimo numero delle vittime, accumulato in mesi nei quali il regime è stato attendo a non compiere stragi clamorose, ma spietato come lo è sempre stato nel reprimere il dissenso.
La scarsa attenzione dei media non impedisce comunque che la situazione sul terreno evolva in senso inquietante, sia per la salute dei cittadini siriani che per gli equilibri della regione forse più esplosiva del pianeta, la Siria farà notizia, nonostante tutto.
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Articolo tratto da:Â http://mazzetta.splinder.com/post/25774552/anche-in-siria-ce-fermenti.
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