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di Giulietto Chiesa – La Stampa.
Il rapporto tra la Lady di ferro e Mikhail Gorbaciov è stato più volte materia di discussione, e di curiosità non solo tra noi, ma anche nel suo entourage. Più volte, specie a tavola, se ne parlò. Scherzando, però, solo fino a un certo punto. Per Mikhail Sergeevic era una cosa seria. Non fu mai soltanto una questione politica.
Lo ha ricordato anche nella sua dichiarazione di condoglianze di ieri. Io gliel’ho sentito dire in modo molto netto in più d’una occasione: «Fin dal primo incontro del 1984, quando ancora non ero stato nominato segretario generale del PCUS, avevo capito di trovarmi di fronte a un “osso duro”. Il confronto era stato molto spinoso, pieno di asperità . Lei non faceva complimenti, andava diritta al sodo. Io anche. lei era convinta della superiorità del sistema in cui credeva. Lo ero anch’io, del mio. Sprizzavano scintille. Ma io vedevo anche un’altra cosa: era curiosa, era interessata a capire. Ed era convinta che avrebbe potuto convincere non solo me ma tutto il mondo. Insomma era una forza». Questo era, più o meno, anche il retroterra psicologico di Gorbaciov e poteva finire male.
Una volta glielo dissi con tutta franchezza. Come si puo’ pensare che leader di due paesi contrapposti, diciamo pure nemici, potessero dialogare, e perfino comprendersi al di là e oltre gl’interessi collidenti?
Gorbaciov mi rispose con una certa ironia. «Questo è un modo schematico di guardare le cose – mi disse – se fosse così come pensi, non avrei potuto nemmeno dialogare con Ronald Reagan. Anche a ReykjavÃk si riuscì a trovare un sentiero strettissimo per venirne fuori senza farci male, solo perché intervenne una specie di fattore personale. Non era simpatia, ma era una via di mezzo tra rispetto e paura. E anche di fascino della cosa misteriosa che era il comunismo. Non ci conoscevano. Si aspettavano che io fossi la continuazione e mi guardavano con sospetto. Ma poi si trovavano di fronte una persona che non coincideva con il quadro che si erano fatto. Questo, io credo, influì in modo determinante su Margareth Thatcher».
Svanita la sorpresa, Gorbaciov e la Thatcher intrattennero relazioni più personali, si scambiarono lettere, si consultarono più volte. Quando Gorbaciov divenne segretario generale tutti ricordano la loro stretta di mano al Cremlino. Non fu una stretta di mano banale. Anche da lontano si vide, e furono molti a notarlo, che erano due personalità che, insieme, collidevano e si omaggiavano reciprocamente.
Sono passati tanti anni davvero. E c’è ragione di pensare che le convinzioni dell’uno e dell’altra non fossero più, fino a ieri, identiche a quelle del 1984.
L’URSS è finita da tempo, senza essere riuscita a fare la perestrojka. Adesso è l’Occidente che non riesce a fare la propria perestrojka e si trova nei guai. Margaret lascia un mondo che non avrebbe mai immaginato di vedere così poco imperiale. Gorbaciov potrebbe oggi rivendicare la sua profezia di allora: anche l’Occidente dovrà cambiare. Ma è la profezia di uno sconfitto. Infatti non lo dice.
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