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di Michele Giorgio – il manifesto
Haifa, 27 luglio 2013, Nena News – I colloqui israelo-palestinesi
stentano a partire nonostante l”annuncio in pompa magna fatto la scorsa
settimana dal Segretario di Stato americano John Kerry. In ogni caso Abu Mazen e Benyamin Netanyahu
mettono le mani avanti. Il presidente dell”Anp e il premier israeliano
hanno entrambi avvertito che un referendum tra le rispettive popolazioni
deciderà l”approvazione dell”eventuale accordo tra le due parti.
Referendum che sul lato israeliano solleva un interrogativo: è giusto
che la popolazione di uno Stato occupante, di fatto, decida con un voto
se approvare l”indipendenza e la libertà di un altro popolo sotto
occupazione?
E” solo una delle tante questioni che solleva il tentativo
diplomatico sul quale si gioca la reputazione il Segretario di Stato.
Ne
abbiamo parlato ad Haifa con l”autorevole storico israeliano Ilan Pappé,
professore cattedratico del Dipartimento di Storia dell”Università di
Exeter (Gb), rientrato in Israele per l”anno sabbatico. Pappé ha
pubblicato numerosi testi sulle origini del conflitto
israelo-palestinese, il sionismo e la storia della Palestina. Tra i suoi libri tradotti in italiano il più noto è “La pulizia etnica della Palestina” (Fazi, 2008).
Kerry ha annunciato con enfasi la ripresa del negoziato. Lei all”orizzonte intravede qualcosa di concreto?
Nulla. Non credo nel modo più assoluto che questo nuovo tentativo porti
da qualche parte, come i precedenti, a partire dagli accordi di Oslo
(1993). Perchè parte dalle stesse basi, ossia che è meglio avere un
processo (di pace) che non averlo. Anche se questo processo non produrrÃ
nulla. Per questa ragione non cӏ alcuna spinta reale per israeliani ed
americani a fare e a dare di più per arrivare a risultati concreti.
Non cӏ nulla di nuovo rispetto al passato?
Nessuna novità , anche perchè non si è modificata la base del cosiddetto
«consenso» (nazionale) che unisce gli israeliani quando si parla di
Cisgiordania e Striscia di Gaza. E” la stessa visione, la stessa
strategia di sempre e va riconosciuto all”attuale leadership politica
israeliana di aver ammesso che non andrà al negoziato per presentare
soluzioni nuove. Sono peraltro convinto che questo rilancio del
negoziato bilaterale, così come viene descritto dal Segretario di Stato
Kerry, non sarebbe stato possibile se non fosse intervenuta la posizione
forte manifestata dall”Unione europea nei giorni scorsi. Posizione che
stabilisce nuove linee guida nei confronti delle colonie israeliane nei
Territori arabi e palestinesi occupati e che ora, almeno sulla carta,
non potranno godere di alcuna cooperazione e aiuto da parte dell”Europa.
Anche queste pressioni hanno convinto Netanyahu che è meglio portare
avanti qualche forma di dialogo con i palestinesi, per impedire che
siano adottate sanzioni contro Israele e le sue colonie.
Decisioni frutto di necessità tattiche e non di una strategia
Esatto. Il paradigma è sempre lo stesso, non è cambiato e non cambierà . E
non cӏ alcun motivo per pensare che questo negoziato, ammesso che si
sviluppi nelle prossime settimane, possa portare a qualche soluzione.
Si avvicina l”appuntamento di settembre dell”Assemblea generale
dell”Onu, che i palestinesi in questi ultimianni hanno utilizzato per
annunciare passi verso la loro indipendenza, almeno sulla carta o in
modo simbolico. L”insistenza americana a riprendere le trattative senza
avere nulla in mano serve anche a impedire nuove mosse unilaterali da
parte palestinese?
Senza dubbio. Israeliani e americani vogliono che si porti avanti quello
che io definisco il “Piano A” e non che si realizzi un “Piano B”. Il
“Piano A” prevede che i colloqui con i palestinesi vadano avanti con
Israele padrone della situazione nei Territori occupati e libero di
espandere le sue colonie, con l”Autorità nazionale palestinese (di Abu
Mazen) impegnata a impedire lo sviluppo di qualsiasi forma di
resistenza, non solo armata, all”occupazione militare. Il “Piano B”
invece è quello che vede i palestinesi rivolgersi alle istituzioni
internazionali per ottenere la realizzazione dei loro diritti e chiedere
che sia sanzionata l”occupazione e i crimini che commette. Il “Piano B”
include un”Europa più consapevole dei diritti dei palestinesi e, forse,
una nuova rivolta popolare palestinese contro l”oppressione. Per
impedire che prenda il via il “Piano B”, gli americani e gli israeliani
rilanceranno sempre il “processo di pace”, ossia il “Piano A”, che è
quello di dialogare tanto per dialogare senza prospettive di una
soluzione fondata sulla legalità internazionale.
Siamo a quasi venti anni dalla firma degli Accordi di Oslo e dalla
stretta di mano tra lo scomparso presidente palestinese Yasser Arafat e
il premier israeliano assassinato Yitzhak Rabin. Venti anni dopo
qualcuno scrive e dice che quella del 1993 era una leadership israeliana
pacifista mentre quella attuale sarebbe ultranazionalista e interessata
solo ad espandere le colonie. Lei come la vede?
Penso che non ci siano differenze significative tra quella leadership e
l”esecutivo di Netanyahu. Tutti i governi israeliani dal 1967 a oggi
(dall”occupazione dei Territori, ndr) hanno sviluppato la stessa
strategia: 1) tutta Gerusalemme appartiene a Israele e non ci sarà un
compromesso sulla città ; 2) i profughi palestinesi non rientranno mai
alle loro città di origine; 3) Israele non può esistere senza la
Cisgiordania. Il cuore pulsante della politica israeliana era e resta
l”idea sionista che la Cisgiordania è parte di Israele, a dispetto di
qualche esponente politico apparentemente più flessibile che, rispetto
ad altri, prevede qualche “concessione” in più da fare ai palestinesi.
Certo, ci sono (tra i vari governi) delle differenze su come controllare
la Cisgiordania. Ad esempio annetterla tutta o dividerla in una zona
israeliana e una palestinese? Concedere o negare l”autonomia ai
palestinesi? Concedere o negare una sorta di indipendenza ai palestinesi
continuando ad avere il controllo della sovranità reale? Ma è solo
tattica.
Siamo fermi al punto di sempre
Già . Se esiste una differenza tra la leadership degli Accordi di Oslo e
quella attuale, allora consiste in questi aspetti tattici. Il governo in
carica, ad esempio, punta a un controllo maggiore della Cisgiordania, a
causa dei suoi legami con il movimento delle colonie. A tutto ciò
dobbiamo aggiungere un dato centrale. Oggi, rispetto a 20 anni fa, per
l”opinione pubblica israeliana non esiste più un problema palestinese,
la questione palestinese è invisibile, sparita da ogni orizzonte. Il
popolo occupato semplicemente è scomparso dalla mente di milioni di
israeliani.
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