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Mayonnaise balcanica, il grande ricatto di Bruxelles

'I Balcani sotto ricatto dell''Unione Europea. Belgrado, ormai al collasso, è il simbolo del fallimento della comunità internazionale. [Stefania Elena Carnemolla]'

Mayonnaise balcanica, il grande ricatto di Bruxelles
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5 Settembre 2015 - 06.03


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di Stefania Elena Carnemolla Il 20 aprile scorso, a Belgrado, abbiamo fotografato in un parco della città,

uno dei tanti rifugi a cielo aperto, iracheni e afghani. La capitale serba, ormai

al collasso, è il simbolo del fallimento della comunità internazionale. Dopo la

guerra dei Balcani, all’orizzonte una crisi le cui spie si sono già accese.

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E dov’era la notizia? Che le frontiere sono state sfondate? Al di qua

dell’Adriatico le frontiere erano già state sfondate, questo mentre la Casa

Bianca, con i suoi alleati, destabilizzava la Siria, seminando macerie anche

altrove. Il più sincero è stato Daniel Pavlov Mitov, ministro degli Esteri

bulgaro, che da Sofia, intervistato dalla tv di Stato, accusa: “In Siria lo Stato

islamico è il maggiore generatore di flussi di rifugiati”. E fanno di riflesso

sorridere le parole del generale americano Martin Dempsey, capo di Stato

Maggiore delle Forze Armate Usa, ora preoccupato per i flussi umani dalla

Siria e dal Nord Africa verso l’Europa. “È un’emergenza enorme, una crisi

reale”, così, l’alto ufficiale, intervistato dalla Abc.

Sotto ricatto dell’Unione Europea il Montenegro, paese candidato a far parte del

club. “Fino a un anno fa” racconta una giovane montenegrina “a Podgorica

anche fra la comunità musulmana si viveva una certa normalità, poi tutto è

cambiato. Quando abbiamo visto le giovani donne coperte e velate, abbiamo

avuto uno shock. Nei luoghi di preghiera, non si prega, s’indottrina. Sottratti

alla scuola, i ragazzi vengono nutriti a odio contro l’Occidente”. Il governo tace

per amore di Bruxelles, i cui diktat sulla “società multiculturale” accetta

supinamente. Anche gli ambasciatori di Obama in Montenegro trascorrono, non

da oggi, più tempo al centro culturale islamico di Bar – Antivari, il porto

montenegrino sull’Adriatico – che altrove. Tutto, in quel centro, tranne che

cultura. Nostalgia dei bei tempi in cui in Egitto regnava il Fratello Musulmano

Mohamed Morsi, protetto e vezzeggiato dalla diplomazia americana e ingozzato

a dollari.

In mezzo ci sono loro, quelli che fuggono e che si trovano stritolati dall’una e

dall’altra parte. Nei Balcani, i più deboli cedono, diventando carne da macello

degli estremisti. Tutti gli altri, fuggono. Semplicemente.

Sotto ricatto dell’Unione Europea anche la Serbia: “Non usiamo spray al

peperoncino, non picchiamo la gente”, così Aleksandar Vučić, primo ministro

serbo, il 27 agosto scorso al Western Balkans Summit di Vienna, fra gli stucchi

dell’Hofburg, l’antico palazzo imperiale. Vučić accusa: “Stiamo trattando

queste persone nel migliore dei modi possibili, aiutandole in diversi modi.

Queste persone si trovano in una situazione davvero difficile, ecco perché le

stiamo trattando responsabilmente. Stiamo solo aspettando che la Merkel e

l’Unione Europea ci dicano cosa dobbiamo fare. Non abbiamo chiesto soldi, ad

oggi abbiamo solo ricevuto 390.000 euro”.

Una mancia. Non come quando si è trattato di aiutare la Francia, dove, allentati

i cordoni della borsa, da Bruxelles sono arrivati 5,2 milioni di euro. La Serbia, e

non solo la Serbia, abbandonata a se stessa, rischia il collasso. Bocconi amari da

inghiottire, non tanto per spirito umanitario. C’è chi pensa che la diplomazia di

Belgrado stia solo tentando di impressionare Bruxelles per mettere sul piatto

della negoziazione, per il suo ingresso fra i paesi membri, l’aver ridotto la

Serbia a una spugna, ormai logora, con cui assorbire flussi e flussi di persone

provenienti dalla Siria, dall’Iraq, dall’Eritrea, dalla Somalia, dall’Afghanistan.

Nei Balcani – dove, dopo il conflitto degli anni Novanta, gli equilibri sono

ancora deboli e dove la popolazione, piegata dalle conseguenze della guerra,

non accetta la situazione – la pentola è esplosa. Da Bruxelles solo diktat, ricatti

e nessun aiuto, questa l’accusa.

Perché l’Unione Europea ha voluto fare dei

Balcani un luogo-cuscinetto dove stivare i tanti che fuggono? E in mezzo ai

quali s’annidano anche mele marce? Perché non ha mai aiutato i governi in

difficoltà? Cui prodest? “Alla Nato”, rispondono in molti. Perché è in queste

terre che la Nato vuole allungare la sua ombra. “La Nato ci proteggerà”, così,

infatti, il battage pubblicitario su stampa, tv, locandine, grandi manifesti urbani.

“Da cosa?”, si chiedono anche i più giovani. La gente dei Balcani è acuta e

reattiva, sa e capisce, nonostante la stampa, in particolare internazionale, non

aiuti, inquinando, al guinzaglio delle cancellerie e non solo delle cancellerie, i

pozzi. Una mano all’altra “grande causa” la dà Al Jazeera Balkans, con sede a

Sarajevo.

Nessuno vuole i Balcani, e le vicine regioni, in pace. L’Unhcr, l’Alto

Commissariato per i Rifugiati dell’Onu, continua ad accusare i governi locali e

le loro politiche non all’altezza, chiedendo a paesi reduci da un sanguinoso

conflitto di fare miracoli e che, imbarazzata, ora invoca un coordinamento fra

Unione Europea, governi locali e Ong.

Nel frattempo, il 4 settembre scorso, a Ohrid in Macedonia, i ministri

dell’Interno di Austria, Serbia, Ungheria e Macedonia, paesi coinvolti dai flussi

umani lungo la rotta balcanica, hanno siglato un memorandum, che

presenteranno a Bruxelles in occasione della prossima riunione dei ministri

dell’Interno dell’Unione Europea. “Il documento”, così Mitko Cavkov, ministro

dell’Interno macedone “rappresenta una piattaforma per ulteriori nostre attività

congiunte”. Maggior coordinamento fra i paesi interessati, aiuto a migranti e

rifugiati e, soprattutto, contrasto ai trafficanti di uomini. Con uno sguardo a

Bruxelles, cui si chiede sostegno e aiuto.

Non c’era solo il mare, anche la via di terra era a rischio e non da oggi. Una

mayonnaise impazzita, che i gourmant di Bruxelles e d’oltreoceano ancora oggi

guardano con inconfessabile compiacimento.

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