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di Sergio Cararo.
Do you remember le bombe su Belgrado e la “guerra umanitaria?†A
cavallo tra il 1998 e il 1999, il progetto di disintegrazione della
Jugoslavia – ostacolato dalla sola Repubblica Serba – portò la guerra in
Europa e l”Europa in guerra per la prima volta dopo la Seconda Guerra
Mondiale. Le potenze della Nato, Usa e governi europei, decisero che la
Serbia andava punita definitivamente per essersi opposta alla
dissoluzione della federazione jugoslava avviata unilateralmente dalla
Germania (e dal Vaticano) ed imposta al resto dei paesi nel 1991.
In questo progetto un ruolo decisivo le ebbero le milizie croate
nella prima fase e le milizie islamiche nella seconda. Prima in Bosnia e
poi in Kosovo, i militari e i servizi segreti statunitensi, tedeschi,
francesi, inglesi e italiani, addestrarono e supportarono militarmente i
jihadisti locali e i foreign fighters che l”Arabia Saudita aveva
arruolato prima in Afghanistan e poi in Cecenia. Dal 1993 in Bosnia e
dal 1998 in Kosovo, gli uomini della Jihad globale hanno combattuto
contro la Serbia per conto della Nato. L”Uck, l”armata delle ombre,
erano esattamente questo. Quando poi è diventato indispensabile, hanno
potuto usufruire direttamente dei bombardamenti della Nato contro le
città della Repubblica Serba di Bosnia nel 1995 e contro Belgrado e le
principali città serbe nel 1999.
Alla fine di un lungo e sanguinoso conflitto, una volta diradata la
polvere, sul terreno rimaneva una Jugoslavia fatta a pezzi, una grande
base militare statunitense in Kosovo (Campo Bondsteel), un nuovo stato
indipendente e islamizzato (il Kosovo), gruppi armati jihadisti attivi
in Bosnia, in Macedonia, in Albania e, ovviamente al governo, in Kosovo
dove sono diventate le forze armate ufficiali di un narcostato.
In pratica con diversi anni di anticipo, le potenze della Nato hanno
creato un precedente statuale di quello che oggi è lo Stato Islamico in
Medio Oriente, il terribile regno dell”Isis. Lo hanno fatto
coscientemente in funzione antiserba prima e antirussa subito dopo. Il
risultato è che adesso a ridosso delle frontiere dell”Unione Europea (e
nel prossimo futuro addirittura dentro), c”è un Isis giù fatto stato e
riconosciuto internazionalmente, dove i gruppi jihadisti godono di basi
di addestramento, appoggi logistici e possibilità di movimento. La
cellula jihadista a cavallo tra l”Italia e il Kosovo, non è la prima che
viene scoperta, e si scavasse appena un po” più in profondità se ne
scoprirebbero molte di più. A confermare questo scenario è l”articolo di
Enrico Piovesana, comparso ieri su Il Fatto Quotidiano e l”articolo di
oggi del gen. Fabio Mini, che conosce assai bene la materia essendo
stato il comandante del contingente Nato in Kosovo (la Kfor) per alcuni
anni, anni in cui si è scontrato direttamente con la rete di complicitÃ
di cui gli jihadisti in Kosovo godevano da parte dei governi in Europa e
negli Stati Uniti. In Siria si è ripetuto esattamente questo scenario e
adesso, come allora, arrivano i bombardamenti della Coalizione
Internazionale.
Il Kosovo “dimenticato dalla Nato†diventa il primo centro di reclutamento dell’Isis
di Enrico Piovesana (da Il Fatto Quotidiano del 1 dicembre)
L’operazione dell’Antiterrorismo e della Digos di Brescia, che ha portato all’arresto di quattro sospetti terroristi kosovari legati all’Isis,
è un campanello d’allarme che riaccende l’attenzione su fenomeno
pericolosamente sottovalutato e per certi versi incomprensibile. Il
protettorato euro-atlantico del Kosovo è diventato il principale vivaio
dell’Isis in Europa, nonostante sul suo piccolo territorio siano
presenti 5000 soldati della missione Nato Kfor a guida italiana e 1.500
agenti della missione di polizia europea Eulex.
Secondo i dati del Ministero degli Interni di Pristina, sono
almeno trecento i kosovari che sono andati in Siria a combattere con il
Califfato e che fanno regolarmente avanti e indietro via Turchia e
Macedonia, trasformando il Kosovo in una una pericolosa rampa di lancio
per azioni terroristiche in Europa. Questo dato fa del Kosovo, che ha
solo un milione e 800 mila abitanti, il principale serbatoio europeo
pro-capite di foreign fighter dello Stato Islamico.
Referente dei quattro kosovari arrestati dalla polizia italiana è
il comandante della ‘brigata balcanica’ dell’Isis formata da kosovari,
bosniaci, albanesi, macedoni e montenegrini: il sanguinario jihadista
kosovaro Lavdrim Muhaxheri (nome di battaglia, Abu Abdullah al Kosova),
originario di Kačanik, ex roccaforte dell’Uck divenuta oggi principale
centro di reclutamento dell’Isis in Kosovo – come racconta un recente servizio delle Iene.
Non solo Kačanik si trova a pochi chilometri dalla mega-base
militare americana di Camp Bondsteel, ma Muhaxheri in quella base ci
aveva anche lavorato fino al 2010 – come altri futuri jihadisti
kosovari, tra cui il giovane kamikaze Blerim Heta – per poi continuare a
lavorare per la Nato in Afghanistan fino al 2012, subito prima di
partire per la Siria. Com’è possibile che tutto questo accada sotto gli
occhi dell’apparato militare e di intelligence Nato e Ue che opera in
Kosovo? “Kačanik e la storia di Muhaxheri sono solo la punta
dell’iceberg – spiega a ilfattoquotidiano.it
il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo –
perché tutto il territorio kosovaro, penso alla vale di Dreniča, pullula
da anni di imam radicali che predicano la guerra santa e operano come
reclutatori nelle centinaia di moschee finanziate dalle monarchie arabe.
Questa situazione è potuta maturare nonostante le missioni
internazionali presenti sul territorio, perché da tempo l’Europa e la
Nato si disinteressano al Kosovo, e ai Balcani in generale, nonostante
questa evoluzione fosse chiara da anniâ€.
L’allarme, in effetti, lo aveva già lanciato in modo molto chiaro
nel 2009 Antonio Evangelista, ex comandante de missione Unmik in Kosovo
e tra i massimi esperti europei di antiterrorismo. Nel suo libro Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa spiegava
come gli orfani delle guerre balcaniche fossero preda, in Kosvo come in
Bosnia, di una rete di caritatevoli predicatori wahabiti finanziata da
organizzazioni pseudo-umanitarie di Arabia Saudita, Emirati Arabi,
Kuwait Qatar e Turchia, che li sottoponevano a un lavaggio del cervello
trasformandoli in futuri martiri della jihad. Oggi quei ragazzi sono
diventati grandi, pronti a combattere per l’Isis in Siria ma anche a
casa loro, in Europa.
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