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di Fulvio Scaglione.
Dunque l’amministrazione Obama ce l’ha fatta. A quasi due anni dalla proclamazione del Califfato di Al Baghdadi riconosce, tramite le parole del segretario di Stato John Kerry, che“l’Isis è responsabile di un genocidio nei confronti dei gruppi che si trovano nelle aree sotto il suo controllo, gruppi tra i quali ci sono gli yazidi, i cristiani e i musulmani sciiti†(traduzione mia di “Isis is responsible for genocide against groups in area under its control including Yazidis, Christians and Shiite Muslimsâ€).
Lasciamo per un attimo da parte il seguito perché Kerry, con sprezzo del ridicolo, ha anche detto: “Senza il nostro intervento queste persone sarebbero state massacrateâ€. A quanto pare gli sono sfuggiti un po’ di eventi dell’ultimo periodo, i due milioni e mezzo di profughi affluiti in Kurdistan a partire dal luglio 2014, e così via. Soprattutto pare sfuggirgli il fatto che l’Isis è sempre là , insediato nelle “aree sotto il suo controlloâ€, ben poco messo in crisi, almeno per ora, da quello che Kerry chiama “il nostro intervento†e forse più preoccupato da quello dei “cattivi†Siria-Iran-Hezbollah-Russia, arrivati ormai vicino a Raqqa (capitale del Califfato) e a Palmira, e dalle milizie curde.
Kerry e il Congresso
Ma pazienza, non andiamo troppo per il sottile. Quello che Kerry non dice è che è che le sue dichiarazioni sono arrivate solo dopo che la Camera dei Rappresentanti (la Camera bassa del Congresso Usa) ha votato all’unanimità (393 sì, democratici e repubblicani, e 0 no) una risoluzione che definisce “genocidio†le azioni commesse dall’Isis contro le diverse comunità cristiane di Siria e Iraq. Cosa che ha costretto la Casa Bianca ad adeguarsi (da qui l’intervento di Kerry) per non fare la figura di chi si gira dall’altra parte.
L’anno elettorale deve aver fatto la propria parte, in questo cambio di rotta. Va ricordato, infatti, che il precedente più immediato risale al 2004, quando il segretario di Stato di allora, Colin Powell, usò il termine genocidio per i massacri in Darfur, quando le tribù arabe janjawid, sostenute dal Governo centrale, si accanirono per anni contro le popolazioni stanziali, causando oltre 400 mila morti.
L’ammissione dell’esistenza di un genocidio non obbliga il Governo americano ad alcun tipo di azione concreta ma ha un certo peso politico. Non a caso gli Usa non riconoscono come genocidio, per fare un esempio clamoroso, quello degli armeni da parte dei turchi nel 1915: una sorta di “favore†fatto a un alleato ritenuto per lungo tempo indispensabile.
Sulla presa di posizione della Camera dei Rappresentanti, oltre a considerazioni politiche (e magari, come si diceva, a speculazioni elettorali) potrebbe aver influito anche la recente visita di papa Francesco. Il Pontefice parlò al Parlamento Usa in settembre, in aprile era stato in visita in Turchia dove appunto aveva usato senza paura la parola “genocidioâ€, dicendo anzi che quella era stata “la prima enorme tragedia del Ventesimo secoloâ€. E’ ovvio che un’eventuale lettura del Novecento come il secolo “dei†genocidi cambia profondamente la prospettiva e la lettura, anche politica, del secolo. Così come cambia anche la lettura dell’attuale situazione. Potremo tollerare che l’Isis, autore di un genocidio, sopravviva al nostro intervento? Potremo continuare a stringere patti politici e commerciali con chi ha sostenuto uno (pseudo) Stato islamico autore di un genocidio?