Golpe in Turchia. Tutto previsto, o quasi

Il confuso colpo di Stato in Turchia non ci sorprende. È finito un ciclo storico di cui molti osservatori hanno avvertito per tempo la resa dei conti. [Pino Cabras]

Golpe in Turchia. Tutto previsto, o quasi
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15 Luglio 2016 - 23.01


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di Pino Cabras.

CON AGGIORNAMENTO

Il golpe
in corso in Turchia non ci sorprende. Un anno fa ospitammo su queste
pagine un articolo profetico di Thierry Meyssan, intitolato “Turchia in pericolo”, che prediceva un’imminente guerra
civile causata dai disastri e le convulsioni cui
Recep Tayyip Erdoğan
aveva sottoposto questo paese chiave della NATO, per non parlare dei
contraccolpi derivanti dal suo ruolo più criminale, quello di coordinatore del
terrorismo jihadista che insanguina Siria e Iraq. Sempre Meyssan annunciava in
un altro articolo: “Verso la fine del sistema Erdoğan”. Qualunque sia l’esito
finale del colpo di Stato, possiamo già dire che siamo al termine di tutti gli
equilibrismi turchi degli ultimi 15 anni, sintetizzati via via in un regime
personale sempre più repressivo, triplogiochista, antidemocratico. Che Erdoğan
sia rovesciato o che riconquisti provvisoriamente il potere, come sembra probabile, a chi prenderà in mano il
comando rimarrà un paese diviso, con le istituzioni umiliate dalla diffidenza reciproca,
l’assenza di un progetto convincente in mezzo a una situazione internazionale
esplosiva.

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Un altro
articolo interessante è stato scritto da Luisanna Deiana su SpondaSud il 13 aprile 2016, che
riproponiamo qui di seguito. In esso si fa notare come le voci di golpe
circolassero con la forza di un avvertimento potente anche negli organi d’informazione
dell’establishment statunitense, ormai stanco delle capriole del Sultano di
Ankara. Colpisce come l’avventura di Erdoğan, nata sotto lo slogan “zero
problemi con i vicini”, si sia rovesciata nel suo opposto, con la Turchia che mano
a mano accendeva focolai di guerra in diversi paesi, fino a ritrovarsi però con
mille problemi in casa propria, a partire dal riesplodere della questione curda
e sull’orlo di una guerra civile, con tanto di scontro implacabile con la rete
dell’ormai arci-nemico Fethullah Gulen
.

Vi anticipiamo
– dell’articolo che leggerete – la frase solenne che il comunicato dello Stato
Maggiore delle forze armate opponeva alle voci di golpe:
«Disciplina
e obbedienza incondizionata sono alla base delle forze armate turche. Non verrà
fatta alcuna concessione a catene di comando illegali ed estranee alla
gerarchia militare istituzionale
».

È andata un
po’ diversamente, ed era prevedibile. La Storia europea – tra Brexit, crisi
europea, terrorismo in Francia, provocazioni antirusse della NATO e veloci contorcimenti
militari, come il golpe turco – riprende a correre, chissà verso dove.
Le
scuse di
Erdoğan a Putin per l”abbattimento dell”aereo militare russo in Siria e
la sua ripresa di un dialogo con Mosca sono arrivate tardi. Di certo non sono piaciute ai padroni della NATO, ma potrebbero perdonargliele se abbasserà la cresta.

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Buona
lettura.

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Al rischio golpe
contro Erdoğan, segue il disgelo tra Turchia e Israele

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di Luisanna Deiana, SpondaSud, 13 aprile 2016.

Le voci di un probabile colpo di stato
militare in Turchia contro l’attuale presidente Recep Tayyip Erdoğan si sono
susseguite in modo frenetico sulla stampa internazionale fino all’attentato del
31 marzo scorso a Diyarbakir, città della Turchia sudorientale a maggioranza
curda, nel quale sono morti 7 militari delle forze speciali e altri 27
sarebbero rimasti feriti. L’origine militare dell’attentato è stata
immediatamente smentita dalle Forze Armate di Ankara che hanno ribadito la loro
fedeltà alle linee di comando presidenziali.

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Guerra psicologica o pura finzione, il risalto dato alla notizia a
livello internazionale ha costretto lo Stato Maggiore turco a smentire in modo
categorico l’ipotesi di un colpo di stato militare. Nella dichiarazione
pubblicata sul sito internet delle Forze Armate si legge: «Disciplina e obbedienza incondizionata
sono alla base delle forze armate turche. Non verrà fatta alcuna concessione a
catene di comando illegali ed estranee alla gerarchia militare istituzionale
».

La precisazione è insolita e va
analizzata considerando il ruolo delle forze armate nella recente storia turca.
L’esercito, che rappresenta il contingente NATO più numeroso dopo quello
americano, ha avuto un ruolo determinante nella storia del paese attuando
quattro golpe nel 1960, 1971, 1980 e nel 1997 con la destituzione del Governo
Erbakan di ispirazione filoislamica e maestro di Erdoğan.  I militari si
considerano infatti i guardiani del principio di laicità del fondatore della
Turchia moderna Atatürk e godono di un grosso sostegno presso l’opinione pubblica.
Oltre alla manipolazione della notizia da parte dei media occidentali, sui
settori militari turchi, incombe l’influenza del magnate e imam Fethullah Gülen,
in esilio negli USA dal 1999, ex alleato e ora nemico giurato di Erdoğan.

La campagna mediatica anti-Erdoğan portata avanti per settimane dalla
stampa americana si è focalizzata sull’ipotesi di un prossimo colpo di stato in
Turchia, tanto che il 24 marzo la rivista Newsweek ha pubblicato un esplicito
articolo dell’ex funzionario della Difesa Usa, Michael Rubin, intitolato «Ci
sarà un golpe in Turchia contro Erdoğan?»
. Che i media americani stiano
cavalcando il gelo profondo nelle relazioni tra USA e Turchia seguito
all’abbattimento di un jet russo da parte di un F-16 turco lo scorso novembre,
trova conferma nel rifiuto del presidente americano Barack Obama di incontrare
il premier turco a margine del vertice sulla sicurezza nucleare, tenuto a
Washington dal 31 marzo al primo aprile. Sempre a fine marzo il Pentagono ha
inoltre dato ordine alle famiglie di diplomatici e militari americani di
lasciare il sud della Turchia a causa di “crescenti minacce da parte di gruppi
terroristici”.

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Anche in Europa non sono mancate le
occasioni per ridimensionare il ruolo del “califfo” Erdoğan. In Germania il
presidente turco è stato pesantemente ridicolizzato con un videoclip mandato in
onda dal programma satirico Extra 3, trasmesso sul canale nazionale NDR, che ha
preso di mira le sue presunte spese stravaganti e la violenta repressione delle
libertà civili. Immediata la protesta di Ankara che ha chiesto di cancellare il
video dalla programmazione del palinsesto. Altro episodio che ha screditato
Erdoğan a livello internazionale è stato il tentativo di partecipazione dei
diplomatici europei alla prima udienza, tenuta il 25 marzo a Istanbul, del
processo contro due giornalisti turchi del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, Can Dundar ed Erdem Gul,
accusati di spionaggio e divulgazione di informazioni riservate e propaganda a
favore di organizzazione terroristica. L’udienza si è poi svolta a porte chiuse
per ragioni di “sicurezza nazionale”.

Nella guerra di nervi tra Turchia e
Usa
si scorge
uno scenario ben più ampio della crisi siriana: la cooperazione turca con la
Cina, il rischio di un riavvicinamento all’Iran, il rifiuto di identificarsi
con la strategia di contenimento degli Stati Uniti, il crescente disinteresse
per il processo di adesione all’UE e il sostegno dato ad Hamas e ai Fratelli
Musulmani sono elementi sintomatici di un problema ben più grande, vale a dire
il tentativo della
Turchia di condurre in autonomia scelte di politica estera pur essendo un paese
della NATO.
Il modello di “leader musulmano moderato che
avrebbe colmato il divario tra Oriente e Occidente” identificato da Obama in
Erdoğan nel 2010 si è rivelato fallimentare e contrario alle aspettative
americane.

Ad offrire una via d’uscita al sempre
più isolato Erdoğan, il giorno dopo l’attentato di Istanbul del 19 marzo, è
accorso il direttore generale del Ministero degli Esteri israeliano Dore Gold
che si è recato in Turchia per incontrare il
sottosegretario agli Esteri Feridun Sinirlioğlu
, responsabile per la
normalizzazione dei rapporti tra Ankara e Gerusalemme. Quella di Gold è la prima visita di un
diplomatico israeliano di alto livello in Turchia dopo
l’incidente della Freedom Flotilla del
2010
.
Se infatti la Turchia resta strategica per gli USA in quanto unico alleato NATO
confinante con Siria e Iraq e risulta quindi fondamentale per contenere i costi
connessi alla logistica operativa negli sforzi di guerra in Medio Oriente, è
evidente che i ripetuti avvertimenti inviati a Erdoğan non lasciano spazio a
nuove iniziative turche fuori dalla programmazione americana.

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Il disgelo tra Israele e Turchia
annunciato l’11 aprile dagli organi ufficiali israeliani
palesa il nuovo orientamento che la
Turchia intende seguire nella gestione delle vicende medio-orientali.

Isolata dalla Russia e ai ferri corti
con gli USA che hanno appoggiato l’indipendentismo dei curdi siriani, la
Turchia riconciliata con Israele potrà usufruire di una tecnologia militare
d’avanguardia, rafforzando il suo ruolo internazionale soprattutto con l’Unione
europea, e si renderà indipendente dalle forniture energetiche russe,
usufruendo del gas che Israele si prepara a estrarre da enormi giacimenti
sottomarini.

Il nodo centrale del riavvicinamento
turco-israeliano si gioca sugli aiuti umanitari che i turchi vorrebbero
continuare a portare a Gaza.

La soluzione israeliana prevede che la Turchia prenda le distanze da Hamas e
che i carichi di rifornimenti diretti a Gaza siano controllati sulle
piattaforme israeliane in alto mare.

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Sullo sfondo delle rinate relazioni tra
Turchia e Israele, si muovono i sunniti dell’Arabia Saudita che vedono negli
israeliani un importante alleato contro un nemico comune, quell’Iran che
americani e europei hanno riabilitato a livello internazionale. Nonostante la
fine delle sanzioni, a Riyad resta alta la guardia contro il pericolo iraniano
ritenuto responsabile di alimentare la ribellione nel mondo sunnita.

AGGIORNAMENTO DEL 16 LUGLIO, ORE 08:00
Il golpe è fallito. Andate in pace.

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