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Quello che sto per raccontarvi leggetelo qui, difficilmente altri decideranno di farne un sol minino cenno.
di Mauro Pili.
TEULADA (Sardegna) – Conosco i motivi di tanto silenzio, me ne dolgo ma non ci posso far niente. Sono già tanti i nemici di questa terra che sarebbe tempo perso occuparsi anche delle censure di casa nostra.
Vado avanti, sperando che la goccia alla fine dei conti riesca a spaccare la roccia dell’omertà , del silenzio, dell’oscurantismo di Stato.
Dodici ore non sono ancora passate da quando un dirigente dell’Arpas Sardegna, in nome e per conto della Procura di Cagliari, afferma in commissione uranio impoverito che dentro la base di Teulada sono stati rinvenuti degli spezzoni di missili ancora radioattivi e che dentro il poligono esiste un deposito di materiali e residui nucleari.
Più di una volta, nell’incalzare delle mie domande in commissione, emerge la sensazione di non aver capito. Di aver traslato parole e significati. Sottolineo e ripropongo reiteratamente il quesito: mi sta dicendo che dentro Teulada sono stati esplosi missili con contenuto radioattivo? Mi sta dicendo che esiste un deposito di scorie radioattive? Mi sta dicendo che alla procura è stato negato l’accesso alla tracciabilità di queste scorie nucleari?
Non ci pensa due volte il dirigente e risponde: Sì.
Leggo e rileggo per tutta la notte gli appunti di quella che doveva essere un’anonima seduta di una blanda commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito.
Alle 8.34 del mattino di giovedì decido di porre fine ai miei dubbi: la mail parte alla volta del Ministro della Difesa. Si chiede in base alle norme vigenti di autorizzare entro le prossime 24 ore la mia visita ispettiva alla base di Teulada.
La risposta arriva in serata: dalle 8.34 di venerdì la sua visita è autorizzata. C’è un però, però: non potrà visitare nessuna area classificata, ovvero sottoposta a regime di segreto di stato.
E’ la prima volta che il solerte ministro della difesa utilizza questa formula, che tradotta significa: ti faccio vedere solo quello che voglio e quello che non voglio ti dico che c’è il segreto di stato.
Siamo all’opacità di chi ha qualcosa da nascondere. E lo manifesta nel modo più troglodita possibile. Un preavviso nemmeno troppo sussurrato che in gergo significa: è inutile che vai a Teulada perché tanto non vedrai niente!
Fisso la mia visita per il primo pomeriggio di ieri. Cerco di capire chi possa essere il mio accompagnatore autorizzato per la visita ispettiva. Alla fine opto per me stesso e nomino sul campo il mio sgangherato tablet come unico testimone. Del resto chiunque avessi portato con me avrebbero fatto storie e magari lo avrebbero anche inquisito per falsa testimonianza. Meglio non rischiare, visti i precedenti!
I tornanti per raggiungere una delle coste più belle del mondo, quella di Teulada, sono l’antipasto di uno sviluppo antropico tendente alla cancellazione. Strade volutamente tortuose e pericolose per rendere inaccessibile l’area e cancellare preventivamente le aspettative di chi vorrebbe continuare a vivere nel proprio paese.
Arrivo con qualche minuto di ritardo, un’apixedda da sola è riuscita a imporre non meno di un chilometro di fila e tempi non proprio da safety car.
Il cancello è sbarrato. Il filo spinato è il motivo conduttore. Suono. Nessuna risposta: il catenaccio della serratura scatta come un colpo di fucile. Il tabellone elettronico segna 33 gradi. Qui, però, tutto è sempre tarato al ribasso.
Mi viene incontro con un fare minaccioso una fotografa, che scatta all’impazzata. Come se dovesse documentare l’ingresso di un terrorista. Al seguito comandante e ufficiali. Per dirla senza troppi fronzoli: non vengo percepito come un portatore di rose e fiori. Nonostante il termometro segnasse temperature sahariane percepisco il gelo.
Superati i fronzoli di protocolli arriviamo al dunque.
Il comandante vuole essere chiaro: può vedere tutto tranne ciò che è area classificata, ovvero sottoposta a segreto di Stato.
Gli spiego che mai, anche nelle precedenti visite, mi era stato detto che esistevano aree sottoposte a segreto di Stato e che avrei voluto conoscere i decreti istitutivi.
Ovviamente nessuna risposta. La replica sembra un’apertura: mi dica ciò che vorrebbe vedere e vediamo se possiamo accontentarla. Cartina alla mano snocciolo i punti chiave della mia visita ispettiva: prima di tutto voglio vedere il deposito di scorie radioattive. La risposta è preparata: lo può vedere ma non possono essere fatte foto o video. Replico: se non c’è segreto di stato posso fotografare quello che ritengo necessario! E nessuno me lo può impedire!
La reazione rallenta la visita per una telefonata degli ufficiali con gabinetto del ministro che dopo un quarto d’ora sentenzia: niente immagini, vietate.
A quel punto siamo già dinanzi a quello che dovrebbe essere il luogo del deposito di scorie radioattive. Lo guardo, resto interdetto. Sono senza parole. Un lucchetto da pollaio di campagna, una rete difensiva che zio Giovanni non usava nemmeno per i maiali. E poi il trifoglio, giallo e nero. Pericolo radiazioni. I cartelli sono affissi come i post della bacheca universitaria, a penzoloni e provvisori. Quel maledetto tablet va in tilt e registra tutto fregandosene del divieto del Ministro della Difesa! E del resto è lo stesso tablet che collegandosi con il sito del ministero aveva accertato che quelle immagini non potevano essere in alcun modo vietate.
Tra comandante e ufficiali spunta un’esperta in radioprotezione. La sua missione è una sola: qui è tutto in regola, facciamo controlli semestrali, tutto radioprotetto. Mi guardo intorno e non credo nemmeno ad una monosillaba di quanto mi sta dicendo. Ho visitato depositi nucleari di bassa, media e alta intensità e mi rendo conto che qui si sta giocando!
Giocando con la vita, con l’ambiente, con il rispetto delle leggi. Questa è l’unica zona franca della Sardegna, dove tutto è possibile e non si pagano dazi. Ascolto la litania, ma mi soffermo su un dato esternato con la stessa preoccupazione di un gelato poco poco più caldo: le scorie radioattive contenute in questo deposito superano del doppio o del triplo le norme consentite.
Guardo e riguardo questo stabile che sembra appena uscito da un set cinematografico di una guerra reale. Oso commentare: lo stabile non mi sembra proprio messo bene per ospitare un deposito di scorie nucleari. Mai l’avessi detto, la replica è dura: ma sta scherzando? È il miglior stabile possibile, è un deposito temporaneo di scorie radioattive.
Temporaneo quanto? Le scorie sono qui dal 2014!
Due anni di provvisorietà per le scorie nucleari, almeno quelle rinvenute dall’Arpas. Roba da non credere. Affermazioni di una gravità inaudita raccontate come se niente fosse.
E soggiunge la responsabile radioattiva: in Italia non è facile smaltire le scorie nucleari!
Il comandante si allontana per un attimo. Un ufficiale ha da riferire l’ultima interlocuzione con il Ministro. Parlano fitto fitto, dentro le rispettive orecchie. La disposizione è pronunciata con l’aplomb dell’autorità costituita: niente foto.
Lascio correre. E’ inutile polemizzare! E del resto gli ordini erano in capo al ministro e loro dovevano solo eseguire. L’ipad, però, non percepisce sino in fondo le disposizioni. La registrazione si è inceppata e inconsapevolmente tutto viene fissato digitalmente nel rullino virtuale.
Quasi a significare che il momento clou era ormai giunto uno degli uomini addetto alla radio protezione sfoggia una tuta bianca nucleare di ultima generazione, che indossa con tanto di maschera e cappuccio.
Varchiamo il cancello dove il simbolo nucleare segna il confine teorico tra il lecito e l’illecito. Vengo tenuto a distanza. Le ante scorrevoli del secondo cancello non sono né blindate né ignifughe. Ai lati il simbolo giallo nero del trifoglio nucleare. L’uomo di bianco vestito le fa scorrere. Manco farlo apposta sparati lì da davanti tre fusti, con la numerazione a tinta rossa ben in vista. Sistemati davanti la porta, piazzati li per essere visti da curiosi e ipad insubordinati. Sembra tutto preparato, per essere visto senza entrare dentro. In fondo un”altra porta, questa volta in legno, priva di qualsiasi resistenza anche ad un modesto colpo di vento. Resto senza parole. Guardo i vetri dello stabile, tutti divelti dal tempo. I muri corrosi dalle intemperie e dalla vetustà dell’età . Del resto questa era una vecchia officina degli anni 60/70. Abbandonata a se stessa. Ed ora deposito temporaneo di scorie radioattive. Per i vertici militari, ovviamente, tutto sotto controllo. Ma il buon senso dissente, come non mai. Gli spiego che un deposito temporaneo di scorie radioattive ha un processo autorizzativo lunghissimo. Rilanciano: ma tutti gli organismi preposti hanno dato l’autorizzazione. Domando, ma anche la Regione Sarda ha dato l’autorizzazione? Risposta secca: la regione Sarda non è competente a queste autorizzazioni. Dissento: guardi lei non conosce le più elementari leggi di questa regione. Qui un deposito di scorie nucleari non poteva essere fatto né provvisoriamente né permanentemente.
Penso e ripenso. Scorro i nomi di quelle tante vittime silenziose, giovani militari e civili, che per quella maledetta radioattività hanno smesso di vivere anzitempo.
Sono passati 17 anni dal primo impiego in questo poligono dei missili Milan carichi di Torio. Ed ancor oggi scorie e residui di quella radioattività sono qui.
Sempre con lo stesso spirito: non bisogna parlare, bisogna stare in silenzio, bisogna nascondere tutto.
E del resto me lo ripetono sistematicamente in questa visita: qui ci lavorano tanti sardi.
E tra me e me rifletto: sardi sotto ricatto. Mi fanno l’elenco di quanti prendono i soldi per il fermo pesca, quanti bambini vengono presi con il pulmino dell’esercito per andare al mare, quanta acqua viene data al comune di Sant’Anna Arresi nei periodi di siccità , quante spiagge sono concesse ai sardi per due mesi all’anno.
Insomma, vi diamo da bere, da mangiare e possiamo, dunque, stoccare anche le scorie radioattive del poligono.
Replico: in realtà tutte queste cose non dovrebbero essere un favore ma un diritto. Se fosse per me, gli spiego, i militari sarebbero anche di più. Ma li userei diversamente, non per farli morire tra torio e uranio, ma per proteggere i cittadini, l’ambiente, per la sicurezza e la protezione civile.
Mi guardano come un povero illuso. E loro sanno che la Oto Melara la fabbrica che ha prodotto i missili della morte, quella dei nostri militari, è ricca e potente. Poco importa, poi, se le scorie nucleari prodotte da quei missili sono conservate dentro un fabbricato dove nemmeno polli e galline sarebbero al sicuro.
Lascio la base alle 21. Pubblicherò domani la seconda parte della visita ispettiva nelle aree dove sono stati trovati gli spezzoni radioattivi dei missili.
Pubblico ora le prime immagini del deposito radioattivo. E come amava ripetere Pertini: a brigante, brigante e mezzo.
Mai nascondere, mai vietare, mai prevaricare, quando in gioco c’è la vita.
Serve rispetto per una terra da sempre violentata da uno Stato vigliacco che tratta questa povera isola come una colonia. Reagire è il minimo. Senza se e senza ma. Sapendo che il silenzio è complice.
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