di Lorenzo Vita.
Il Medio Oriente non trova pace, e il Libano è certamente uno dei Paesi maggiormente interessati dall’instabilità della regione e dalle guerre al suo confine. Il Paese è piccolo, ma estremamente complesso: minoranze religiose, etniche e politiche, si intersecano in una struttura statale difficile che si regge grazie al duro lavoro della popolazione, della politica e anche della sostanziale tregua dei Paesi terzi che influenza le fazioni interne allo Stato. La guerra in Siria, con l’impegno in particolare di Hezbollah, ha coinvolto il Libano in un gioco molto più grande di lui, facendo sì che diventasse anch’esso un terreno di scontro della politica internazionale. Beirut, infatti, si trova al centro di un intricato sistema di alleanze: l’Iran appoggia Hezbollah, il governo centrale è invece legato all’Occidente e anche in parte al blocco saudita. L’incontro con Trump da parte del premier libanese Saad Hariri è un’immagine molto evidente di questa frattura interna al Paese: da una parte c’è un movimento politico e militare sciita legato a Teheran e parte della cosiddetta “mezzaluna sciita” che collegherebbe l’Iran al Mediterraneo; dall’altra parte, il governo di Beirut ha un premier vissuto a Riad, fortemente legato ai sauditi, e quindi in rapporti sostanzialmente pacifici con Washington. L’equilibrio è fragile, e, soprattutto da Israele, l’idea di una prossima guerra con Hezbollah, che coinvolgerebbe inevitabilmente il Libano, è vista come una possibilità tutt’altro che remota.
In questo contesto la comunità internazionale viaggia su binari molto pericolosi. Gli Stati Uniti hanno messo in cima alla black-list mondiale l’Iran, e quindi, di conseguenza, tutti gli alleati iraniani nel mondo. Questo si traduce evidentemente nel colpire Hezbollah, considerato una minaccia da Washington e da Tel Aviv, oltre che dal blocco sunnita legato alle monarche del Golfo Persico. Ma per muoversi in Libano, Usa e Israele devono fare i conti non soltanto con l’evidente forza militare degli sciiti libanesi, collegati anche alla Russia, ma soprattutto con una missione internazionale delle Nazioni Unite che svolge un fondamentale ruolo di stabilizzazione in quel Paese: Unifil. E sembra essere proprio Unifil la chiave di volta della politica americana per quanto riguarda il Libano. Negli ultimi giorni, il rappresentante statunitense all’Onu, Nikki Haley ha, infatti, lanciato una proposta che potrebbe stravolgere completamente la ratio della missione: contrastare il traffico di armi che giungono in Libano dall’Iran, utilizzando il confine con la Siria.
Il mandato Unifil scade a fine agosto. Ci sono 10.500 soldati delle Nazioni Unite impegnati sul territorio, e la loro missione, per ora, è stata utile nel dividere le forze in campo israeliane e libanesi ogni volta che sia stato utile. Gli Stati Uniti, per rinnovare il mandato, vorrebbero imporre questa nuova linea, che ha ricevuto il plauso di Israele, ma che nello stesso tempo esporrebbe la comunità internazionale ai rischi politici di una missione fatta ad hoc contro Hezbollah e che metterebbe a repentaglio i buoni rapporti dell’Europa con l’Iran. Proprio per questo motivo, la Francia, tramite Anne Gueguen, vice rappresentante permanente della Francia alle Nazioni Unite, è stata categorica, confermando di volere mantenere la missione “così com’è”. Una posizione di netto rifiuto alla proposta dell’amministrazione Trump che evidenzia, ancora una volta, la scelta della Francia di giocare un ruolo diverso in Medio Oriente, soprattutto in Paesi in cui storicamente ha avuto un peso politico e culturale non indifferente.
La Francia ha ottenuto il supporto anche della Russia, che non vuole assolutamente che sia destabilizzato un fronte già fragile come l Libano, anche per evitare un’escalation militare che interessi Israele, Hezbollah e quindi la Siria. E che esporrebbe, di fatto, gli stessi soldati russi nelle aree di de-escalation a un pericolo non indifferente. Ma quello che per ora sembra mancare, è il contributo italiano in questa discussione, che non sarebbe affatto irrilevante dal momento che le forze armate italiane rappresentano il contingente più numeroso in Libano sotto il comando Unifil. L’Italia non è una potenza marginale nel contesto di Unifil, e dunque sarebbe necessaria una sua presa di posizione: magari non forte come quella francese, perché l’Italia non siede nel Consiglio di Sicurezza, ma quantomeno di supporto alla politica del dialogo avanzata da Parigi e condivisa da Mosca. Non tanto per inimicarsi Israele e gli Stati Uniti, quanto per evitare di essere inseriti in un conflitto che può condurre esclusivamente alla rottura d’importanti legami commerciali con l’Iran, oltre che per evitare, in generale di esporre il Libano alla guerra.
Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/trump-vuole-la-guerra-hezbollah-francia-russia-si-oppongono/.