di Giulietto Chiesa.
India e Cina hanno deciso un “disimpegno veloce”, ritirando le loro truppe dall’altopiano di Doklan, al confine himalayano nel triangolo tra Cina, India e Bhutan.
Si trattava del più serio momento di tensione tra i due giganti asiatici negli ultimi decenni. Per trovare l’ultimo episodio di vero e proprio confronto militare bisogna risalire al 1962, quando si verificarono scontri sanguinosi e di lunga durata. Doklan, formalmente territorio cinese, è stato teatro di ripetuti momenti di tensione, mai però sfociati in conflitto. Ma nel luglio scorso il confronto era improvvisamente esploso e ingenti movimenti di truppe si erano registrati, da ambo le parti dopo che il Buthan, alleato tradizionale di Nuova Delhi, aveva accusato la Cina di occupare parti del proprio territorio e di avere cominciato la costruzione di una strada al di fuori dei propri confini.
Naturalmente il ritorno al dialogo non cancella il problema, che non è solo territoriale, ma la svolta non è priva di importanza se vista all’interno della crescente tensione politico-diplomatica-militare nell’intera area del Pacifico, in connessione con la crisi tra Stati Uniti e Corea del Nord. Il ministro degli esteri indiano ha dato la notizia sottolineando che Pechino e New Delhi non hanno mai interrotto i negoziati diplomatici nel corso della crisi che durava da mesi. Il fatto è, però che entrambi i paesi sono parte — e parte di enorme rilievo — del gruppo denominato BRICS, dalle iniziali dei suoi partecipanti-fondatori: Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa. Un conflitto tra Cina e India infliggerebbe un colpo drammatico alla nuova intesa, che coinvolge cinque paesi chiave di tre continenti.
Naturalmente i buoni uffici di Mosca devono avere consigliato le due capitali a mettere da parte problemi secondari. Tanto più che non è un mistero che Washington sta spingendo, dal canto proprio, diversi paesi asiatici (Giappone, Corea del Sud, Vietnam e India) verso una coalizione militare che si contrapponga alla Cina. Siamo di fronte, dunque a un’operazione dal significato globale, in cui agiscono grandi spinte contrapposte, economiche e militari. Nuova Delhi, in particolare, è di fronte a un bivio strategico in cui una delle due varianti è letteralmente opposta all’altra: o con l’Occidente o con l’Oriente.
Quest’ultima svolta avviene infatti alla vigilia del vertice del BRICS di Xiamen (previsto alla fine di questa settimana), durante il quale siederanno allo stesso tavolo anche i presidenti di Cina, Xi Jinping, e di India, Narendra Modi. Un incontro al quale Pechino conferisce grande importanza, prova ne sia che dalla Cina è venuto l’invito a parteciparvi ai massimi leader di Thailandia, Indonesia, Kazakhstan, Egitto e ad altri paesi non alllineati al “consenso washingtoniano”. Senza dimenticare che l’Iran, dopo la grave delusione delle nuove sanzioni americane, continua la marcia di avvicinamento al progetto cino-russo. Per Pechino è la prima occasione per cominciare a discutere con gl’interlocutori più vicini, appunto il BRICS, i primi passi della realizzazione della nuova “Via della Seta”, ovvero il progetto cinese “Una cintura, una via”. Si tratta di connettere interessi diversi nel quadro di un gigantesco piano d’investimenti guidato dalla potenza economica e commerciale cinese. Ben più interessante che non un’alleanza militare in funzione anticinese. E l’India di Narendra Modi sembra incline a restare agganciata a questa prospettiva, che comprende la Russia come fornitore principale di armamenti.
Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201708304958191-disgelo-tra-India-e-Cina/.
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