di Giulietto Chiesa.
“Chiunque vi dica cosa vuole la Corea del Nord, vi sta mentendo, oppure tira a indovinare”. Parola di Jon Wolfstahl del Carnegie Endowment for International Peace.
Nei fatti, tra una valanga di chiacchiere senza fondamento, noi non sappiamo nemmeno cosa Kim mangia a colazione e come passa il suo tempo libero. Vediamo le sue comparsate televisive, cioè come lui ama essere visto dal resto del mondo, il che non ci porta molto oltre l’apparenza. Anche noi occidentali facciamo altrettanto. Sono pochissimi quelli che hanno incontrato Kim Jong Un nei suoi sette anni di governo, inclusi coloro che, in Occidente, sono considerati i suoi protettori, cioè i cinesi. Siccome non è così nemmeno questo, figuriamoci il resto. Xi Jinping, per esempio, non lo ha mai incontrato. E nemmeno Vladimir Putin.
Edward Snowden, qualche anno fa, rivelò che gli hackers dei servizi segreti americani erano riusciti a penetrare addirittura nell'”Ufficio Generale di Investigazione”, cioè nella CIA nord-coreana. Ma aggiunse che avevano capito poco o niente delle loro attività. Questo è lo stato reale delle cose.
I dati che abbiamo a disposizione, al netto della nostra ridicola propaganda, ci mostrano un piccolo paese di 25 milioni di abitanti, con una piccola economia, quasi totalmente militarizzata, senza nessuna influenza economica con l’esterno, con una popolazione del tutto ignara di cosa sta succedendo nel mondo, totalmente focalizzata sugli obiettivi di difesa. Una anomalia economica, politica, sociale che non s’inscrive in nessuna delle nostre “narrazioni” del mondo. Sappiamo così poco che non possiamo nemmeno essere certi che l’ultimo test atomico sotterraneo sia stato davvero “all’idrogeno”. Abbiamo preferito credere alle vanterie di Kim, e non sappiamo se siano vanterie. Ma adesso non c’è dubbio: il potenziale nucleare esiste. Calcoli più o meno attendibili, dicono che la Corea del Nord “potrebbe” possedere una decina di armi atomiche. Il condizionale è d’obbligo. Ma, nonostante i (e anzi proprio a causa dei) lanci missilistici sperimentali, sappiamo che per il momento non può arrivare lontano. Lo stesso Kim ha fatto sapere che i suoi missili potrebbero giungere fino all’Isola di Guam. Cioè molto lontano dalla costa occidentale degli Stati Uniti.
Si può dire però che Kim Jong Un è riuscito a fare sì che il mondo esterno lo tema. Se era questo uno dei suoi obiettivi, dobbiamo dire che ha fatto centro. Ma questo è solo l’antipasto. Cosa c’è dietro? Gli “esperti” occidentali, specie quelli americani, s’ingegnano a studiare le ragioni di fondo che potrebbero muovere il “dittatore”. Partiamo dalle più banali: un narcisista che sopravvaluta le sue possibilità? Non è escluso, ma non ci dice molto. Possono essere problemi di tenuta interna del suo regime assoluto? Anche questa è una possibilità, ma non esiste la minima informazione al riguardo. Ogni tanto qualche fuggiasco approda in qualche capitale del nemico, in America, o a Seul, ma le informazioni di cui dispongono sono pressoché nulle. Non c’è notizia di una sovversione interna, neppure di una qualche alternativa politica al regime. Pyong Yang non sembra il posto adatto ad ospitare una “rivoluzione colorata”.
Un obiettivo che viene considerato possibile è quello dell’ambizione di riunificare le due Coree. Ma come? Un negoziato in tal senso non è mai esistito (non esiste neppure un trattato di pace tra le due Coree e con gli Stati Uniti). Una riunificazione, nelle presenti condizioni, sarebbe tra un gigante industriale di livello mondiale, come Seul, è un nano con qualche protesi nucleare ma con un tenore di vita trenta volte inferiore. Equivarrebbe a una annessione del Nord da parte del Sud. Cioè a un cambio di regime a Pyong Yang. L’altra “riunificazione” ipotizzabile sarebbe quella della forza. Cioè una guerra. Ma una tale riunificazione è impensabile la voglia Kim Jong Un. Pazzo, forse (e non sarebbe l’unico), ma sicuramente non suicida.
Ma non è neppure certo che la riunificazione sia un obiettivo di Kim Jong Un. In ogni caso non sarebbe gestibile con lui (e il suo entourage) al potere, o in vita. La cosa più sensata sembra potersi riassumere così: “Io non sono Gheddafi”. Kim difende semplicemente se stesso e il suo regime. Nel 2003 Gheddafi, sotto una potente pressione politica dell’Occidente, rinunciò al suo programma nucleare. E dopo otto anni fu massacrato coram populo. Come fidarsi dell’America? Questo spiegherebbe bene la tattica di Kim: fino a che sarò temuto resterò vivo. Se questo fosse davvero il ragionamento del leader nord coreano, difficilmente potremmo definirlo un pazzo.
Questo ragionamento potrebbe essere accompagnato da un corollario tutt’altro che sciocco: un paese nucleare, abbastanza armato da poter colpire, in caso di aggressione nei suoi confronti, gli alleati più vicini del suo nemico principale, potrebbe acconsentire a un negoziato, ad esempio a un congelamento del suo sviluppo nucleare. Per ottenere uno status simile a quello di Pakistan e India, il riconoscimento internazionale e qualche affare economico.
Ma un negoziato di questo tipo non è possibile se gli Stati Uniti non pongono fine alle esercitazioni militari annuali sul territorio e nel mare coreano, ai sistemi missilistici che stanno dislocando sul territorio di Seul. Una verifica di queste intenzioni di Kim non è stata neppure tentata. I nostri media sbandierano le sue minacce, ma non parlano delle sue proposte. Una semplice, quieta analisi della situazione reale ci porta a concludere che un’offensiva, nucleare o convenzionale di Pyongyang contro il sud è inimmaginabile e impensabile. Tre o quattro milioni di morti (al nord e al sud) e la totale distruzione della Corea del Nord sarebbero il risultato. Perché dunque ci troviamo in questa situazione terrificante?
Perché il viceversa è invece tutt’altro che impensabile. Gli Stati Uniti hanno già ottenuto, da questa crisi, almeno tre vantaggi strategici. Hanno rafforzato è trasformato in modi estremamente aggressivi la loro presenza armata nucleare sul territorio della Corea del Sud. Hanno mobilitato il Giappone e lo stanno spingendo rapidamente verso un riarmo strategico. Infine hanno portato la loro flotta nelle immediate vicinanze delle coste cinesi. In altri termini hanno predisposto le pedine cruciali per un confronto militare strategico con la Cina.
Quando, a Washington, questa preparazione sarà considerata conclusa, allora avremo un esito della crisi coreana attuale. Che potrà essere letale per Kim Jong Un, oppure no, a seconda dello stato delle cose nel mondo, e in primo luogo dei rapporti tra USA e Cina. Ma non sarà certamente Kim Jong Un a decidere il tempo e il modo. Lui sta vivendo la vita grama del topo, costretto a nascondersi. Sicuramente i satelliti USA sono impegnati all time a localizzarlo. E, se si deciderà, colpirlo. Non è poi così difficile.
Fonte: https://it.sputniknews.com/opinioni/201709064986463-opinione-corea-cosa-vuole-kim/.
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