di Pierluigi Fagan.
Se il mondo sta andando verso la formazione di una società complessa di Stati tra loro in interrelazione secondo geometrie complesse, gli Stati Uniti hanno allora il problema di rallentare e frenare il più possibile – e il più a lungo possibile – questa tendenza.
Il perché è ovvio: nella futura complessità, gli USA diventano un soggetto come tanti, certo più grande e massivo ma con ben meno potere di quanto non hanno avuto negli ultimi settanta anni. Quel potere è ciò che ha permesso il loro equilibrio interno e il loro benessere pur asimmetricamente ripartito internamente. La questione è quindi vitale.
Sembra allora che le menti strategiche americane abbiano varato una strategia che ricorre allo schema bipolare da guerra fredda. Bene, dimenticate il parallelo con la “guerra fredda” e concentratevi su “bipolare”.
Bipolare è lo schema “o con noi o contro di noi”. “O con noi” significa riconoscere agli USA una permanente sovranità su uno spettro di nazioni ben più ampio: questo spettro è ancora ben più del 50% della ricchezza e del potere del mondo. “O contro di noi” è il tipo di relazione da avere con l’Altro, la parte ascendente, quella che rischia di sovvertire l’intero gioco, i promoter del “multipolare” in sé per sé. Il multipolare è un gioco cooperativo-competitivo mentre il bipolare è un gioco solo competitivo.
Donald Trump avrebbe voluto disinnescare il fronte avversario capitanato dallo sfidante cinese, mettendo un cuneo nella relazione Russia-Cina, ma non gli è stato permesso. Dunque dovrà portare avanti il disegno considerando il sistema avversario ormai una “diade” (recente la notizia dell’acquisto cinese della quota Rosfnet già detenuta dal Qatar). Peraltro, Trump continua a mantenere una piccola fessura aperta con Mosca, non attaccandola mai in via diretta.
La strategia sarà allora quadruplice:
1) Rinforzare l’asse con gli alleati di primo livello ovvero monarchie del Golfo e Israele;
2) Costringere gli alleati ambigui (Europa e -in parte- Gran Bretagna, Australia) a recedere dall’ambiguità per allinearsi, volenti o nolenti;
3) Compattare l’area incerta, soprattutto il Sud America (facendo leva su Argentina, Colombia, in parte Brasile) con un locale “o di qui o di lì” in cui l’Altro prototipico è il Venezuela;
4) Conficcare cunei nel fronte avversario, dal nuovo impegno in Afghanistan, alle turbolenze che l’AS-UAE creeranno con l’islamismo radicale nei paesi islamici afro-asiatici (prossimo obiettivo Myanmar, ma è assai probabile che poi vedremo qualcosa anche in Pakistan), ai flirt con l’India preoccupata dall’attivismo del vicino cinese, al Giappone da riarmare, alla Corea del Sud.
Diciamo tutto questo nello spazio di un articolo breve, laddove la faccenda è invece molto complicata, tanto da meritare analisi “a grana fine”. Tuttavia in breve si possono aggiungere alcune cose. Il caso Corea del Nord e la prossima disdetta degli accordi sul nucleare iraniano, così come il Venezuela, sono altrettanti “casus belli” che servono per compattare il proprio fronte presentando l’imperativo “o di qua o di là”.
Il punto più sensibile di tutta la strategia è quanto gli USA riusciranno a domare le ambiguità europee, e già s’intravede un “divide et impera” di amicizia con il presidente francese Macron (e con il Regno Unito) in funzione antitedesca.
Il perno centrale della strategia verte proprio sull’Europa, senza la quale la BRI cinese non ha l’approdo finale, il motivo per il quale i cinesi sviluppano la loro strategia.
Il 24 settembre si vota in Germania e Angela Merkel avrà il suo nuovo incarico; dopo vedremo come la chimica quantistica ha intenzione di fare le sue mosse.
Mentre tutti gli occhi e i cuori palpiteranno per le precarie sorti dei focolai di tensione coreani, iraniani, venezuelani, seguendo la regola aurea di volger lo sguardo lì dove nessuno sta guardando (validando così il principio primo degli illusionisti), aspettiamoci comunque grandi turbolenze in Europa.
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