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L’imperialismo è morto

Putin dà agli USA una grande lezione diplomatica: è finito quel tempo in cui si esportava la democrazia (a parole), il mondo è multipolare e bisogna rispettarlo. [Sebastiano Caputo]

L’imperialismo è morto
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14 Dicembre 2017 - 08.43


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di Sebastiano Caputo.

 

Più che l’Iraq, la Siria è stato il vero epicentro del caos vicino e mediorientale. E’ lì che Daesh ha colpito con più violenza disintegrando l’unico Paese arabo rimasto immune alla guerra. Tutte le città controllate dal sedicente Stato Islamico sono state riprese, ora non resta che la sacca di Idlib – in mano a diversi gruppi più o meno legati ad Al Sham – ma i negoziati sono già in corso perché ormai combattere non conviene a nessuno. Che lo si voglia o meno i vincitori di questa lunga battaglia hanno un nome e un cognome: Bashar Al Assad, Vladimir Putin, Hassan Nasrallah, Ali Khamenei. Sono loro che hanno sacrificato i propri uomini sui fronti più caldi, ad Aleppo, Palmira, Deir Ezzor, nel Qalamoun. Sono loro che adesso detteranno il corso di una regione tutta da ridefinire attraverso un corridoio terrestre che da Tehran arriva dritto a Beirut passando da Baghdad e Damasco.

Questa  nuova egemonia “sciita” nel Vicino e Medio Oriente – che con la guerra in Siria si voleva in realtà contenere se non addirittura indebolire – sta ridimensionando il ruolo di Israele, Arabia Saudita e Stati Uniti, che ora puntano a riorganizzarsi militarmente e strategicamente. La decisione di Donald Trump di spostare la capitale a Gerusalemme è un chiaro messaggio lanciato a Vladimir Putin. Il Cremlino del resto ha rapporti commerciali e diplomatici con tutti, anche con i governi di Tel Aviv e di Riad, alleati di Washington, nonostante la sua politica estera mediorientale negli ultimi anni sia stata filo-sciita, e dunque anti-israeliana e anti-saudita. Persa la guerra in Siria, l’obiettivo dei gruppi di pressione anti-russi che hanno preso in ostaggio l’amministrazione Usa è quello di costringere lo Zar a prendere una posizione netta , “o con noi o contro di noi”, con la speranza di scontentare in primis la Repubblica Islamica dell’Iran.

Siamo di fronte ad una partita a scacchi molto complessa: il Cow Boy ha spostato la regina, ma ancora una volta Putin ha giocato da maestro. Non si è realmente espresso sul tema, è andato in Siria per incontrare Assad, poi è volato in Turchia e ad accoglierlo c’era Erdogan. Ora non è da escludere che nei prossimi mesi vedremo una riappacificazione se non un incontro ufficiale tra Erdogan e Assad. I due prima del 2011 avevano ottimi rapporti diplomatici, poi il leader turco ha aperto la cosiddetta “autostrada della Jihad” in funzione anti-curda e anti-siriana, riposizionandosi qualche anno dopo nel campo russo-iraniano sedendosi ai tavoli diplomatici di Astana. Se così fosse sarebbe un colpo letale per il triangolo saudo-israelo-americano che verrebbe marginalizzato dalla regione.

Non solo. In visita nella base di Hmeimim in Siria, Vladimir Putin ha ordinato l’inizio del ritiro delle truppe russe dal Paese. “Ho preso una decisione: una parte considerevole del contingente russo schierato nella repubblica araba siriana tornerà a casa, in Russia”, ha annunciato. Bisogna leggere questa dichiarazione tra le righe perché si nascondono due messaggi decisivi. Primo. Ai governi mediorientali assicura di intervenire militarmente con il loro consenso, nel rispetto del diritto internazionale, da pari a pari. Secondo. Agli Stati Uniti dà una lezione diplomatica straordinaria: è finito il tempo dell’imperialismo. E’ finito quel tempo in cui si esportava la democrazia (a parole), il mondo è multipolare e bisogna rispettarlo. 

 

Il mio profilo Facebook è stato bloccato per tre giorni, senza alcun preavviso, a causa delle fotografie scattate tra Libano, Siria, Iraq e Iran. O almeno questa sembrerebbe la giustificazione ufficiale che mi è stata comunicata da chissà quale ufficio. La “Mezzaluna sciita” che ho raccontato in questi ultimi anni attraverso reportage e conferenze in giro per l’Italia, è oggi nel mirino del triangolo Washington-Riad-Tel Aviv, così anche i giornalisti come il sottoscritto, che per onestà intellettuale raccontano questo universo complesso e sconosciuto ai più, senza pregiudizi, andando sul campo, vengono ostacolati nel proprio lavoro oppure silenziati da un social network che si è auto-proclamato, attraverso la guerra alle fake news, unico legittimo custode di una presunta verità informativa. Oggi tre giorni di blocco e domani? 

Fonte: http://blog.ilgiornale.it/sebastianocaputo/2017/12/11/limperialismo-e-morto/#

 

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