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햇볕 정책 (“Politica del sole”: nome della dottrina di relazioni internazionali della Sud Corea, detta anche “riconciliazione e cooperazione politica nei confronti della Nord Corea” 1998-2008).
di Pierluigi Fagan.
Torniamo a “Kim va alle Olimpiadi”. Alla fine, le due delegazioni coreane si sono affratellate: affare fatto per le Olimpiadi, con pattinatori, esibizione di arti marziali e le mitiche cheerleader nordcoreane (che pare gli americani considerino le migliori del mondo). Ripristinata anche la linea rossa tra i due comandi militari, di modo che -nel dubbio- meglio buttare lì una telefonata per capire meglio la dinamica di possibili fraintendimenti. Si pensa anche a un “carramba che sorpresa!” con famiglie del sud che abbracciano i parenti del nord, naturalmente in mondovisione, lacrime e sorrisi. In più, un non scontato “ehi, non perdiamoci di vista, eh?”, con aperture a trattative fraternizzanti tra le due Coree, formalmente in armistizio ma non ancora in pace.
Allora, mettiamo che io sia Kim Jong-un. Sono consapevole che il presidente sudcoreano appena eletto, Moon Jae-in, è un democratico che ha presentato agli elettori una proposta di distensione con la Corea del Nord, e so che è stato preferito proprio perché la maggioranza del popolo coreano teme di diventare vittima di un gioco geopolitico d’area con tanto di missili e migliaia di ogive che arrivano nei giardinetti di Seul prima ancora di capire cosa stia succedendo. Ma il presidente sudcoreano è stato anche segretario personale del Presidente Roh Moo-hyum (2003-2008), un politico che, nelle loro memorie, Condoleezza Rice e Robert Gates (perni dell’amministrazione Bush) definivano inaffidabile, imprevedibile e fondamentalmente anti-americano. Roh poi, non faceva altro che seguire i passi del predecessore, Kim Dae-jung (presidente nel periodo 1998-2003), insignito del Nobel per la Pace (2000) per aver portato avanti la dottrina di politica estera nota come Sunshine Policy (di cui al titolo): cioè, sostanzialmente, la riappacificazione finale con la repubblica settentrionale. Mi pare un comprensibile “interesse nazionale”, no?
Ora, mettiamo che io metta sul piatto il grande passo: facciamo questa benedetta pace, dopo sessantacinque anni ci sta. E ci sta anche per via del fatto che la Cina mi dà e mi prende l’85% dell’import-export e mi ha fatto presente che è cosa buona e giusta. Anche i russi mi hanno fatto presente la cosa, e i russi sono uomini d’onore. Mettiamo che io prometta di ritirare i 10mila pezzi di artiglieria, incastonati nelle colline nordcoreane che sovrastano i 238 chilometri del confine, la cui gittata giunge fino a Seul, e che prometta anche di molto alleggerire la presenza militare.
Diciamo che ci metto sopra anche una disponibilità ad accogliere delocalizzazioni industriali del Sud allargando la zona economica speciale (me l’hanno consigliato i cinesi che di queste cose ne capiscono) nel parco industriale di Kaesong, seguendo quella che a suo tempo già fece il conglomerato Hyundai. Diciamo che butto lì l’idea di un mercato in comune per espellere le produzioni del nemico storico, quello che entrambi odiamo nelle viscere, il Giappone. Diciamo infine che i cinesi buttano una telefonatina aggiungendoci qualche contrattino saporito e un qualche “viottolo della Seta” di cui poi noi saremmo il “raccordo anulare”.
Posso farlo, debbo solo gestire la rivolta di una parte dei vertici miliari, il cui potere discende dall’estensione quantitativa dell’esercito, laddove con questa strategia – e visti i relativi successi balistici, nucleari ed informatici – beh, punterei a un perfezionamento più qualitativo che quantitativo. Ne deriverebbero anche benefici di bilancio mica male: siccome il Paese non nuota nell’oro, la cosa mi fa pure gioco.
Chissà, magari molte epurazioni fatte in questi mesi, che in Occidente venivano raccontate come il piglio di un pazzo un po’ Nerone, un po’ Caligola, andavano già in questa nuova direzione.
Mettiamo allora che di contropartita richieda l’espulsione dei 30mila soldati USA e le batterie dei THAAD, recentemente messe al confine dagli yankee.
Come la mettiamo?
Siamo ovviamente nel campo delle ipotesi, ma potrà risultare comunque buona premessa alla lettura dei commenti che gli americani e soprattutto i giapponesi hanno fatto seguire all’incontro coreano.
A questo punto, l’ipotesi di una pace separata tra Coree si interseca con il conflitto d’area basato sul nucleare di Kim Jong-un, complicando la partita, ma anche arricchendola di possibili soluzioni innovative sulla strada di un mondo veramente multipolare.
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